L’Italia deve aprire gli occhi sul mondo che cambia

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L’Italia deve aprire gli occhi sul mondo che cambia

03 Ottobre 2007

In genere evito di leggere le analisi di Barbara Spinelli,
perché è enfatica. Domenica però, pur con l’abituale fervore tocca un problema
reale della situazione mediorientale, quando afferma che l’unico a guadagnarci
dalla guerra in Iraq e la scomparsa di Saddam è 
Ahmadinejad, il nuovo uomo forte del Medioriente, e sarà difficile
attaccare un paese  importante come
l’Iran, ammesso sia davvero questo l’intento di Washington. L’invito della
Columbia in fondo è stata una strizzatina d’occhio. L’Iran non è avversario
facile  per gli Stati Uniti, che
passarono mesi umilianti dal 4 novembre 1979 al 20 gennaio 1981 quando furono
presi in ostaggio tutti i membri dell’ambasciata americana a Teheran. Allora
era presidente Jimmy Carter e per i democratici americani fu quasi peggio del
Vietnam.

Gli americani non partirono in quarta come  nel 1990-91 al tempo  dell’invasione del Kwait e dei 300 scudi
umani di Saddam Hussein, la cui liberazione non evitò all’Iraq  la prima Guerra del Golfo. Ai tempi di
Teheran, che si lasciò dietro anche lo scandalo dell’Irangate, c’era ancora
l’Urss, dal 1979 all’89  i russi
occupavano l’Afghanistan  e dal 1980
all’’88 c’era la guerra tra Iran e Iraq con Saddam Hussein sostenuto
militarmente dagli Stati Uniti. Certamente non è il caso di mettersi a fare i
moralisti in politica estera, ma il problema principale per noi non è la crisi
della leadership americana, come conclude Spinelli. In realtà,  un presidente degli Stati Uniti ha il potere
di un sovrano eletto, ma deve vedersela non solo con gli avversari politici, ma
anche con le innumerevoli lobbies di ogni tipo degli States.

L’impero americano all’interno assomiglia un po’ a
quell’Italia rinascimentale tanto studiata dagli storici americani, dove i
principati e gli staterelli italiani di allora equivalgono alle potenti lobbies
americane di oggi  e non c’è neppure
un’autorità potente come il papato, perché l’Onu non pare avere la forza di un
Leone III che incorona Carlo Magno o bandisce una crociata. L’Europa nicchia
perché ha interessi vitali in Iran: basta ricordare la defenestrazione nel ‘51
di Mossadeq che aveva nazionalizzato l’Anglo-Iranian Oil Company e nel ‘56 la
crisi di Suez con francesi e inglesi alleati per il controllo del canale, la
minaccia di intervento della Russia e l’ordine americano a francesi e inglesi
di ritirarsi.

Adesso la situazione in Medioriente è caotica perché l’Afghanistan
e l’Iraq, nonostante la volontà di iracheni e afghani di tornare alla
normalità, non è pacificata, i governi di quei paesi sono instabili, devono
vedersela col terrorismo, col banditismo, i narcotrafficanti. Gli americani
arrancano, gli alleati europei in Afghanistan non partecipano ad operazioni di
combattimento, perché non hanno le idee chiare sulla strategia da seguire, ma
se gli americani dovessero ritirarsi dall’Afghanistan per gli Stati Uniti un
insuccesso militare non sarà la fine del mondo. Sono pur sempre una grande
potenza protetta da due oceani, mentre noi europei abbiamo il Mediterraneo a
due passi.  L’Urss ha lasciato un posto
vuoto e l’Ue non l’ha riempito: l’Ue non è in grado di stabilire una politica
estera, né di organizzare un esercito. Noi italiani siamo abituati a delegare
la difesa allo zio Sam e ci aspettiamo che magari in futuro siano i francesi o
i tedeschi a toglierci le castagne dal fuoco.

In realtà, dovremmo cominciare a discutere seriamente del
mondo intorno, essendo proprio nel Mediterraneo: capire in primo luogo quali
sono i nostri interessi ed attrezzarci per la difesa.  Se il centrosinistra non è in grado di porsi
questi problemi, dovrebbe farlo il centrodestra.  E’ chiaro dovremo discutere dell’emigrazione,
stabilire con i governi i flussi di lavoratori che possiamo ospitare, non
concedere moschee se non siamo sicuri degli imam a cui vanno in mano, ma il
problema principale è che non abbiamo alcuna conoscenza del mondo arabo,
africano e asiatico, a differenza per esempio dei francesi, che hanno centri di
studi etnografici, antropologici, asiatici, africani, arabi. Nei nostri
dipartimenti di storia si studia storica locale, storia italiana, storia
europea, qualche cattedra di storia americana, ma non abbiamo cattedre di
storia cinese, araba, africana. Lo stesso vale per la geografia, per le lingue,
per l’economia di questi continenti. Il mondo sta cambiando e forse dovremo
cominciare ad aprire gli occhi.