L’Italia di Prodi è amica pure del Sudan

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L’Italia di Prodi è amica pure del Sudan

14 Settembre 2007

La politica estera italiana è ancora una volta al centro della bufera. Stavolta a finire sul banco degli imputati è il presidente del Consiglio Romano Prodi (e anche quello della repubblica Giorgio Napolitano) per l’accoglienza con tutti gli onori riservata al presidente golpista della Repubblica Islamica del Sudan, Omar Hassan al-Bashir, da ieri notte in visita ufficiale nel nostro paese.

Ad aprire le ostilità contro la scelta italiana di ricevere un dittatore che molti vorrebbero davanti al tribunale dell’Aja per crimini contro l’umanità, come un qualsiasi Milosevic, sono stati 25 deputati inglesi e francesi al parlamento europeo che hanno scritto una pesante lettera aperta allo stesso Prodi. E ieri la polemica era stata ripresa anche da Amnesty International, per una volta non strabica nelle proprie denuncie contro chi viola i diritti umani. Oggi, poi, l’International Herald Tribune dava molto risalto a questa polemica in un articolo intitolato “La visita in Italia del leader del Sudan fa crescere la preoccupazione internazionale”.

Durante l’incontro mattutino con Prodi, al-Bashir dichiarava di essere pronto al cessate il fuoco alla vigilia della missione internazionale nel Darfur dove dovrebbero essere dislocate alcune migliaia di soldati Onu. Ma il problema è che al-Bashir, secondo le statistiche di Amnesty international del 2006, dopo la sigla dell’inutile precedente accordo di pace, parla con la doppiezza tipica di tutti i rais arabi. E se è vero che anche papa Benedetto XVI lo riceverà a Castelgandolfo, la cosa non può essere spesa dal dittatore come “riconoscimento” ma al massimo come “mediazione” disperata per evitare altri lutti ai cristiani del Sudan.

Sia come sia, l’ultimo rapporto di Amnesty parla chiaro.  Basta leggere quanto segue: “…il governo del Sudan ha recentemente lanciato la più imponente offensiva militare da oltre un anno nel Darfur settentrionale, nella regione stanno avendo luogo bombardamenti su vasta scala, questa offensiva è caratterizzata da gravi violazioni del diritto umanitario, tra cui attacchi indiscriminati e sproporzionati e attacchi diretti contro i civili”.

Tutto ciò veniva scritto nel dicembre del 2006, a cinque mesi dalla sigla di un accordo di pace che non è mai arrivata. Spesso, come nel caso dell’incursione su al-Hassan del 29 luglio 2006, sono stati presi di mira ospedali e scuole. Nel bombardamento di Kusa Kuma, a

nordest di al-Fasher, avvenuto il 27 settembre dello stesso anno, sono state uccise tre donne: Halima ‘Issa Abaker e due sorelle, Maryam e Hawa Ishaq Omar.

Il rapporto di Amnesty International denuncia come in ampie zone del Darfur occidentale, i Janjawid (le milizie a cavallo filo-governative) abbiano ormai assunto il quasi completo controllo delle terre e le stiano occupando dopo averle rese inabitabili a seguito delle massicce offensive del 2003 e del 2004. Gli sfollati vivono come prigionieri all’interno di campi, mentre all’esterno di questi le forze di sicurezza e i Janjawid continuano a rendersi responsabili di uccisioni, sequestri, espulsioni e stupri.

Come se non bastasse, il conflitto si sta allargando al Ciad orientale. Gli attacchi dei Janjawid contro la popolazione del Ciad, attraverso la frontiera del Darfur, iniziati alla fine del 2005, sono ancora in corso in questi giorni. I bloggers che fanno riferimento alle Ong che si occupano di diritti umani, come Secondoprotocollo.org, hanno accolto la notizia della visita di stato di al-Bashir con sarcasmo: “E’ strano che ad attenderlo ci sia la banda presidenziale e non un cellulare con le forze dell’ordine”.

Amnesty parla di coincidenza curiosa di questa visita di stato in Italia, unico paese a essersi sinora sbilanciato così tanto con il Sudan, proprio alla vigilia della conferenza di Tripoli di ottobre dove per l’ennesima volta verrà promesso un cessate il fuoco che forse non ci sarà.

Tutta la questione infatti si gioca sull’estrema ambiguità del contendere: il governo sudanese sostiene falsamente  di non potere fare niente contro i Janjaweed, i diavoli a cavallo, e di non manovrarli. Di fatto però non li ha mai contrastati e sinora si è sempre opposto a forze straniere nel paese per operazioni di ordine pubblico e di peace keeping.

Si vedrà come andrà a finire, di certo però l’Europa non mostra di credere a questa azzardata mediazione all’italiana, se è vero come è vero che ieri Prodi ha dovuto passare la maggior parte del suo tempo a rispondere a quei 25 eurodeputati francesi e inglesi (tra cui Glennys Kinnock) che gli chiedevano conto di questa, a loro avviso, “improvvida iniziativa”. E ha usato l’espressione di “occasione utile”, slogan coniato per l’occasione.

In Europa tutti però si chiedono in cosa consista questa presunta utilità. E se non ci sia invece il rischio di legittimare un governo andato al potere nel 1989 con un colpo di stato islamista. Vaglielo a spiegare che l’Italia tratta un po’ con tutti i boia del mondo, da Ahmadinejad, ad Assad di Siria, passando per i leader di Hamas e adesso anche per il presidente genocida del Sudan.