L’Italia è entrata nell’euro solo perché aveva bisogno di trovare un’identità
25 Giugno 2012
di Daniela Coli
Euro sì, euro nì, euro no, finalmente si è cominciato a discutere senza tabù dell’euro, in cui siamo entrati senza riflettere, alla ricerca d’identità. Per Panebianco, che in un precedente editoriale aveva immaginato un’Europa senza euro in preda ai nazionalismi, l’Italia senza euro sarebbe una zattera alla deriva nel Mediterraneo ( Il Corriere, 21 giugno), mentre per Stefano Cingolani ( Il Foglio, 22 giugno) è giunto il momento di chiedersi se sia meglio un trauma subito o un’agonia senza fine. Nessuna decisione è facile e noi italiani abbiamo paura a decidere da soli, siamo divisi, gregari, non abbiamo la sicurezza degli inglesi. Sergio Romano su Sette del Corriere (22 giugno) si schiera senz’indugi per la federazione degli Stati Uniti d’Europa. Panebianco dà un giudizio politico più che monetario-economico. Dal punto di vista economico non c’è bisogno di essere economisti per rendersi conto che se una famiglia ha un mutuo di 200mila euro ed entrate per 5.000 euro al mese ( spread 400), può farcela.
Però, se aumentano in continuazione le bollette, la benzina, le tasse, ecc., e se uno dei due coniugi perde il lavoro per la crisi, per andare avanti deve prendere un prestito e magari, andando avanti, ancora qualche altro prestito. La famiglia finirà per essere sempre più indebitata, e pur riducendo al minimo i consumi, finirà per fallire, perché arriva sempre una spesa imprevista. È quanto sta accadendo alla Grecia, alla Spagna e anche a noi. Il Fondo salva stati dà prestiti, ma poi vanno rimborsati con gli interessi e si finisce come quelle famiglie che per pagare il mutuo finiscono per chiedere un altro prestito, mettendosi in un vicolo cieco. È un metodo per fare bancarotta e trovarsi poveri, a vendere le case come sta accadendo agli spagnoli e agli americani. Inutile pensare di risolvere il debito pubblico licenziando d’un colpo tutti gli statali: avremmo caos sociale, potrebbe anche essere represso, ma calerebbe drasticamente la domanda interna, oltre alla massa di senza tetto e cibo da sistemare da qualche parte.
Bisogna renderci conto che il nostro sviluppo, la nostra americanizzazione, il nostro miracolo si è basato, come per molti altri paesi europei, sull’urbanizzazione delle masse contadine, la gran parte delle quali sono state assunte dallo stato perché consumassero. Questo sistema ha funzionato finché il debito pubblico era tutto in mani italiane: la famiglia Rossi metteva i suoi risparmi in bot, un figlio era docente universitario, uno impiegato comunale. Un circolo chiuso che ha funzionato finché la famiglia Rossi ha diversificato i suoi risparmi comprando titoli tossici americani o azioni di imprese poi fallite e ha subito una perdita oppure si è buttata sul mattone e ora si trova una casa che vale sempre meno e su cui deve pagare l’Imu. L’Italia ha seguito il trend americano. La crisi finanziaria americana del 2008, risultato della bolla edilizia, non è solo una crisi finanziaria, ma anche un indicatore della crisi economica. Come dicono Bill Emmott e Niall Ferguson, non si va avanti solo col Mac: la crisi è sistemica e nessuno ha la palla di vetro per vedere cosa verrà fuori da questa distruzione creativa in atto.
La crisi dell’euro è la spia della crisi di un modello di sviluppo, ma è anche una crisi politica. Non è affatto detto che facendo la federazione degli Stati Uniti d’Europa risolveremmo la crisi economica, poiché i tedeschi non si metterebbero mai sulle spalle i paesi più deboli come hanno fatto per l’ex Ddr ed è del tutto comprensibile. Con la federazione degli Stati Uniti d’Europa ogni stato ha diritto alle tasse che raccoglie, come la Lega voleva accadesse in Italia. Con questo sistema leghista applicato all’Europa, gli stati si smembrerebbero rapidamente, perché p.e. i settentrionali italiani voterebbero insieme con i tedeschi e gli olandesi “leghisti” d’Europa. Le regioni europee che producono più ricchezza si alleerebbero per decidere la politica interna ed estera della Federazione. Come sappiamo, gli stati del Nord America fecero la guerra a quelli del Sud per imporre il loro modello economico e gli Stati Uniti decollarono. Nella federazione degli Stati Uniti d’Europa, poiché le zone più ricche non sono concentrate geograficamente nella stessa area, ma sparse per l’Europa, non si assisterebbe ad una guerra Nord contro Sud, ma a una serie di guerre civili all’interno dei vari stati nazionali e sarebbe una catastrofe inimmaginabile.
Poiché quando siamo entrati nell’euro non abbiamo affatto riflettuto su quanto poteva accaderci, non dobbiamo prendere alla leggera l’idea degli Stati Uniti d’Europa. Non si capisce neppure perché se vogliamo un’Europa leghista abbiamo strombazzato tanto i 150 anni di Italia unita e criminalizzato la Lega. Con la federazione degli Stati Uniti d’Europa la geografia politica italiana sarebbe destabilizzata e non si sa cosa farebbe il Sud, che potrebbe anche fare la secessione, e senza grandi problemi trovare nazioni forti pronti a sostenerlo. E come il nostro Sud potrebbero secessionare gli altri “Sud” europei, conducendo a conflitti da cui l’Europa sarebbe distrutta, e tenendo anche conto che non ha due oceani a separarla dal mondo potrebbe essere invasa facilmente.
Neppure ritorneremmo al Sacro Romano Impero, come pensa Niall Ferguson, un periodo che a me piace con la Firenze dei Medici, i Rothschild del tempo, Venezia con un impero, Roma col potere di scomunicare sovrani come l’Onu attuale, di mettere su coalizioni militari e con l’egemonia culturale e politica. I regni e i ducati d’Italia erano tutt’altro che gli staterelli della vulgata risorgimentalista tornata di moda. Il Sacro Romano Impero, di cui Roma non ha mai fatto parte, ha funzionato bene per l’Italia e proprio per questo agli stati italiani non veniva in mente di unificarsi, pur sapendo di fare parte di una stessa penisola. Il Sacro Romano Impero, che non aveva una moneta ed era un sistema economico-politico-militare il cui simbolo era il papa, non può ripetersi perché dopo la Guerra dei Trent’anni ad esso si è contrapposto un altro sistema economico-politico-militare, quello atlantico, fondato sull’alleanza tra le protestanti Inghilterra e Olanda: è riuscito vincente, perché ha conquistato e colonizzato il Nord America, che ha egemonizzato l’America latina e nel ‘900 ha ottenuto la direzione anche dell’Europa occidentale. Questo sistema, l’”Occidente”, è però in crisi e noi dell’eurozona stiamo vivendo la crisi di questo modello. Però siamo anche nell’era dei Brics, e occorre non scegliere con la pancia, ma col cervello e la ragione è calcolo e immaginazione.
È logico che chi ha vissuto la fine della seconda guerra mondiale o chi è concentrato sul ‘900 sia atlantista e immagini gli Stati Uniti d’Europa, che nacquero nella testa di un’Europa sconfitta che vedeva negli Stati Uniti il modello vincente e li assumeva come modello politico, economico, militare. Va però considerato che l’antifascista europeista Ernesto Rossi accoglieva nel ’44 lo stupore addolorato di Salvemini per l’Italia ridotta a colonia britannica, come l’Irlanda. L’idea dell’unione europea è nata dalla sconfitta europea. “Se non ci fosse stata l’Europa, l’Italia sarebbe stata ricordata all’estero solo per il papa e lo stato del Vaticano” ha risposto a un lettore tempo fa Sergio Romano nella sua rubrica sul Corriere. Secondo Francesco Sisci, corrispondente della Stampa in Cina, per i cinesi di oggi l’Italia è solo un ammasso informe intorno allo stato del Vaticano e al papa, un’aerea geografica che è stata per alcuni decenni un regno filofrancese governato dai Savoia.
Queste cose Sisci non le scrive sulla Stampa, ma su Asia Times online. E non hanno tutti i torti i cinesi, perché all’estero si studia la storia medievale e rinascimentale italiana, la storia della chiesa e il fascismo. Se riflettiamo, ci rendiamo conto che nessun capo di stato italiano ha avuto ai propri funerali i grandi della terra: l’unico ad avere avuto un funerale con quasi tutti i capi di stato del mondo è stato papa Wojtyla e questo dice qualcosa in politica. Occorre quindi realismo politico e immaginazione. Christopher Hitchsen diceva di essere un ateo protestante, quando saremo atei cattolici ci saremo riconciliati con la nostra identità.
Purtroppo, a differenza della Germania, l’Italia non ha vissuto il lutto post-45, ha rimosso e negato la sconfitta, e gli italiani hanno maturato una specie di odio di sé, come ha notato Sergio Romano. Un disprezzo e un’autodenigrazione continua che sono ormai un intercalare nazionale, una debolezza che impedisce qualsiasi discussione seria sul presente e il futuro del nostro paese. Quest’odio di sé, questo disprezzo, non nasce tanto dal fatto, come sostiene Romano, che gli italiani in massa da fascisti diventarono antifascisti, perché può accadere di perdere una guerra e dopo una guerra persa inevitabilmente ci si adegua al nuovo regime, ma dal trauma di avere perso. E per questo o si nega la sconfitta con iperboliche lodi degli angloamericani, o si esagera affermando addirittura di essersi “liberati” da soli, oppure si rimane fedeli per decenni al capo ucciso e ci si sente stranieri in patria. Qualsiasi paese avrebbe trovato il modo per ammettere di avere perso, al di là delle necessarie dichiarazioni ufficiali e pubbliche.
Per questo odio di sé, gli italiani hanno un rapporto squilibrato con tutta la loro storia passata. Occorre renderci conto che la nostra posizione geografica, considerata negli ultimi settant’anni una iattura è stata la nostra fortuna per diciassette secoli d.C. e nei secoli precedenti. Il grande patrimonio artistico italiano, la bellezza delle nostre città, la nostra ricchezza, dimostra che non siamo stati tanto sfortunati e facevamo buoni affari. Dobbiamo quindi concentrarci sulla nostra posizione geografica. I romani non erano alti, biondi e con gli occhi celesti, non erano vichinghi, erano bruni con la pelle olivastra e non alti, ma conquistarono la Britannia: però prima di giungere all’Atlantico guardarono al Mediterraneo. La storia non si ripete mai, sappiamo quale sconfitta abbia prodotto il mito della terza Roma, ma la geografia non si cambia e su questo dobbiamo lavorare. Dobbiamo guardare ai nostri vicini sull’altra sponda del Mediterraneo. Se i cinesi sono ben accolti da nordafricani e arabi è perché sono in grado di fornire infrastrutture senza chiedere loro di diventare democratici o liberali, e non si vede perché non potremmo anche farlo noi. Occorre quindi realismo e immaginazione.
Teniamo anche conto che l’euro può dissolversi da solo e a decidere di uscire potrebbero essere proprio i tedeschi, che sono stanchi di essere considerati egoisti, tiranni, nuovi nazisti. Chi se la prende con l’egoismo tedesco dovrebbe leggere l’autobiografia di Paul Feyerabend, il grande filosofo della scienza morto nel 1994. Scoprirebbe i primi terribili inverni tedeschi dopo il 1945. Feyerabend ricorda come si rifugiasse a letto per sopportare il freddo e la fame e come Wittgenstein e Popper lo salvassero portandolo a Londra. Con quieta ironia racconta come seppe della sconfitta a Weimar su una sedia a rotelle, la sua vita di uomo innamorato delle donne uscito impotente dalla guerra e la speranza che la scienza l’aiutasse ad avere un figlio. Non ci si rende conto quanto sia cambiata la Germania e come il mondo sia cambiato. I tedeschi potrebbero tranquillamente tornare al marco e allearsi con inglesi e russi. Formerebbero una coalizione impareggiabile. Il ‘900 è finito e prima del ‘900 inglesi e tedeschi non si erano mai fatti una guerra, le principesse inglesi sposavano regolarmente principi tedeschi e si erano alleati con i russi contro Napoleone. L’ultimo zar di Russia, Nicola II era sposato con la nipote della regina Vittoria, l’ultima Hannover, sposata con Alberto di Sassonia Coburgo-Gotha. Il ‘900 è finito da un pezzo e la storia ha una grande immaginazione. Cerchiamo di averne anche noi e di guardare oltre al ‘900.