L’Italia finalmente punta sul breve periodo ma l’Ue va in un’altra direzione

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L’Italia finalmente punta sul breve periodo ma l’Ue va in un’altra direzione

01 Luglio 2008

 

Dopo i dati di maggio, ecco che dall’Istat giungono quelli per giugno. Il tasso d’inflazione registrato nel mese appena trascorso per l’Italia è pari al 3,8%, il più elevato dal luglio 1996. I rincari sono diffusi, ma la tendenza è sempre più quella riguardo i beni di prima necessità, alimentari in primis. Quello che deve preoccupare ora è come trovare una politica economica in grado di contrastare questo trend negativo.

Proprio ieri, come consuetudine, erano emerse le prime indiscrezioni sull’indice dei prezzi al consumo italiano (Nic) per il mese di giugno. Indiscrezioni che saranno ampiamente confermate dai dati reali, che vedono un’economia italiana sempre più in difficoltà. I dati, nudi e crudi, decretano come il tasso inflattivo sui beni di largo consumo abbia raggiungo quota 5,8%, dal 5,4% di maggio. Pasta in aumento, in un solo anno, di oltre il 20%, mentre su base mensile ha subito un rincaro dell’1,8%. Anche il pane vede il suo prezzo al dettaglio maggiorarsi del 13,8% su base annua, in diretta dipendenza dai rialzi delle commodities agricole ed il settore dei trasporti continua ad accusare il colpo dovuto allo shock petrolifero ed alla crisi alimentare (senza dimenticare i subprime), con un incremento dei dati di giugno (+1,4% la variazione mensile).

Risulta quindi colmo di ostacoli il cammino verso il riassetto dei mercati finanziari – in primis – e delle varie economie reale – in seconda istanza – ma quello che deve porre più timori è la politica economica portata avanti dalla Bce su un fronte e dall’Italia, dall’altro.

Dal punto di vista europeo si sta fronteggiando, secondo il mandato stesso dell’istituzione guidata da Jean-Claude Trichet, solo l’instabilità dei prezzi, ignorando del tutto la crescita e facendo finta che non sia successo nulla sui mercati dallo scorso luglio ad oggi. Si, perché la decisione, preannunciata con (forse) troppo anticipo, di alzare i tassi nel prossimo meeting del board della Bce non sta tenendo conto del fattore esterno all’Ue nella determinazione dei rincari. Peccato che i dati siano spietati e parlino del record europeo dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo (Ipca) dal gennaio 1997. Pensare che tutta l’inflazione si prodotta dentro Eurolandia, agendo così sulla base monetaria e limitando una crescita già flebile, significa gettar via il bambino con l’acqua sporca e non comprendere le variabili esogene che stanno dietro al problema. L’obiettivo comunitario non può limitarsi al semplice aumento dei tassi di sconto, perché quando la bolla inflattiva si sarà ridimensionata ci troveremo con un trend congiunturale del tutto inadeguato, senza contare l’instabilità dei mercati che non terminerà velocemente.

Una possibile soluzione quindi potrebbe essere quella di temporeggiare, mantenendo il polso fermo sulle decisioni vincolanti nel breve periodo, almeno a livello macroeconomico. Fior fiore di analisti, dal Goldman Sachs a JP Morgan, hanno ribadito l’esternalità oggettiva dei fenomeni inflazionistici verificatisi in Europa. Bene, cioè male, perché si dovrebbe mantenere lo status quo e non cedere alla tentazione della restrizione. Le aspettative degli operatori sono fin troppo pessimiste, alla luce di ciò che stiamo vedendo. L’importazione dell’inflazione non è un fenomeno del tutto marginale nel mondo economico ed ammetterlo senza remore sarebbe un grande passo avanti della Bce.

Sul fronte italiano, meglio non va. Ma potrebbe andare peggio. Giulio Tremonti, ministro dell’Economia, ha ribadito più volte che si deve «ridare credito» alle famiglie italiane per evitare situazioni già vissute in passato. In un periodo come quello odierno, in cui (deo gratias) non esiste più la sovranità nazionale sulla leva monetaria e si può solo agire sulle politiche economiche, il gioco del riassetto è presto fatto. Defiscalizzazione decisa per imprese e persone fisiche, incentivi alla creazione di nuove imprese, applicazione delle liberalizzazioni sui mercati che le necessitano (quasi tutti, a dir la verità) sono misure concrete ed attuabili, ma che hanno bisogno di essere portate avanti. Allo stesso modo, invece di colpire i pochi, meglio coadiuvare chi può aiutare tutti (i mercati). Come? Favorendo lo sviluppo dei vantaggi competitivi italiani e sganciandoci dalla dipendenza energetica nei confronti degli altri paesi a noi attigui. Questo per poter operare con maggior grado d’incisività sul mercato nazionale, portandolo verso un indice di concorrenzialità molto superiore a quello attuale, condizione che permetterebbe una concreta riduzione dei prezzi al consumo. Il Documento di Programmazione Economico-Finanziaria (Dpef) va nella giusta direzione, quella del breve periodo, cercando di limitar gli effetti esogeni dell’inflazione. Purtroppo, sembra che Tremonti, in Europa, sia uno dei pochi che ha compreso queste cause.

Le famiglie che operano quotidianamente nel ciclo economico non hanno bisogno di troppe parole, ma di fatti. L’obiettivo per l’economia reale deve essere quello del breve periodo, per il medio-lungo ci sarà tempo per riassestare i danni, ma non si può ragionare distaccandosi dalla realtà quotidiana.