
“L’Italia ha avuto un ruolo importante nella missione ICJP negli USA”

13 Settembre 2011
Si è conclusa giovedì scorso la tre giorni di missione negli Stati Uniti del direttivo dell’International Council of Jewish Parliamentarians (ICJP), organizzazione che riunisce oltre 300 parlamentari ebrei da tutto il mondo, durante i quali la delegazione composta da 11 parlamentari, di diverso orientamento politico, provenienti da Canada, USA, Brasile, Australia, Italia, Costa Rica, Belgio, Ungheria, Inghilterra, ha tenuto una serie di incontri all’ONU e al Congresso Americano in vista dell’imminente presentazione il 20 settembre, all’Assemblea Generale, di una risoluzione per il riconoscimento unilaterale dello Stato Palestinese. Abbiamo chiesto all’On. Fiamma Nirenstein, vicepresidente della Commissione Esteri della Camera dei Deputati, che presiede l’ICJP, qual è stato l’esito di questo importante summit.
On. Nirenstein, può spiegarci in che cosa consiste e qual è l’obiettivo del Council of Jewish Parliamentarians?
Sono stata nominata presidente dell’ICJP, organizzazione che mette insieme 300 tra senatori, ministri e deputati di tutto il mondo, abbiamo un direttivo composto da persone che vengono da 11 paesi diversi che vanno dall’Italia, all’Australia agli Stati Uniti al Sud America. Ci siamo ritrovati tutti a New York per svolgere una nostra riunione di direttivo perché abbiamo pensato che era necessario andare all’Onu per cercare di salvare il processo di pace.
In che modo?
Dire all’Organizzazione delle Nazioni Unite che quest’idea di votare a favore del riconoscimento unilaterale dello stato palestinese romperebbe qualsiasi trattativa tra le due parti. Noi siamo convinti che una pace vera si faccia guardandosi negli occhi tra nemici. Non è che uno va e decide ciò che vuole, ciò che gli sta bene, quali sono i suoi confini, le sue caratteristiche, la sua capitale, insomma tutte quelle cose che da anni e anni, cioè dal 1948, Israele offre e i palestinesi rifiutano nei termini che possano garantire il rispetto del contenuto della risoluzione 242, riconosciuta dall’Onu dopo la guerra dei sei giorni, che sancisce che ai Palestinesi è dato uno stato ma che agli Israeliani è data la sicurezza dei propri confini.
Cosa provocherebbe questo voto?
Non porterebbe a nessuna pace ma solo a una presa di posizione furiosamente contraria allo stato d’Israele. I Palestinesi avrebbero senz’altro la maggioranza automatica perché raccoglierebbero i voti di tutti i paesi islamici e dei paesi non allineati, senza contare che ci sono molte incertezze da parte di alcuni paesi europei. Una dichiarazione unilaterale non vale niente, rompe il principio della legalità internazionale che si acquisisce stipulando accordi, fa cadere il significato e il ruolo dell’Onu, cancella tutte le relazioni bilaterali che ci sono state fin’ora. Questa è una cosa terribile perché significa porre tutto sul piede di guerra. Con la situazione che c’è in tutto il Medio Oriente questo susciterebbe un’ondata di odio anti israeliano, un senso di rivincita e di vittoria che scuoterebbe l’intera area.
Cosa chiedete, dunque?
Noi vogliamo che le due parti si siedano a tavolino, discutano e arrivino a un accordo di pace tra due stati e due popoli.
Quali sono state le posizioni dei vari Paesi partecipanti al summit sulla questione?
Abbiamo fatto una cena con i rappresentanti europei all’Onu. Quello che è emerso che l’Italia, la Polonia e i vari paesi dell’est sono contro la richiesta unilaterale, la Germania è incerta, il suo ambasciatore ha fatto un intervento complesso. Invece sono molto preoccupata per la posizione di Francia e Russia che sono apparsi molto titubanti.
Per quale motivo secondo lei?
Non so, posso attribuire questa incertezza solo a loro motivi di opportunità statali.
Ad ogni modo, quale è il bilancio dell’incontro?
Il bilancio è estremamente positivo perché ci siamo confrontati, ma dirti che vinceranno i nostri intenti è più difficile. Sta di fatto che il giorno dopo abbiamo fatto una grande conferenza stampa all’Onu, sono venuti tantissimi giornalisti di tutti i paesi del mondo e anche lì abbiamo spiegato le nostre posizioni, abbiamo raccontato del nostro incontro, insomma abbiamo fatto del nostro meglio in una realtà in cui ci sono tanti parlamenti in cui c’è una forte diffidenza rispetto a questa presa di posizione. La sera stessa, poi, siamo stati a Washington dove abbiamo fatto un incontro con i membri del Congresso e con l’ambasciatore israeliano negli Stati Uniti, Michael Oren che abbiamo trovato molto preparati sull’argomento e che hanno dibattuto con noi con piacere.
Come è stata accolta la posizione dell’Italia, in questo contesto?
Noi abbiamo fatto una cosa che mai quest’organizzazione parlamentare aveva fatto prima, ci siamo esposti in prima persona e posso dire, in qualità di presidente, posso dire che l’Italia ha avuto un ruolo molto importante e molto rispettato in questa occasione e, più in generale, c’è grande interesse per le posizioni dell’ICJP.
Come si pone la Casa Bianca rispetto alla questione della risoluzione per il riconoscimento dello stato palestinese?
Obama ha già dichiarato che voterà contro e che è dell’avviso che nessuna posizione unilaterale porterà alla pace, per questo concordano con noi che le due parti dialoghino. Purtroppo questo dibattito che si presenta all’orizzonte intanto viene a coincidere con un altro evento: la conferenza di Durban 3, in cui vengono presentati tutta una serie di principi anti israeliani. Questo in un contesto di odio contro Israele, basti pensare il giro che sta facendo questi giorni Erdogan in Egitto, in Libia e Tunisia per propagandare posizioni anti israeliane e unificare tutte queste rivoluzioni cosiddette della “primavera araba” sotto invece una bandiera anti israeliana, che diventa l’unico vessillo unificante in una situazione di caos e confusione. È una situazione di allarme estremo, noi abbiamo cercato di fare del nostro meglio dicendo la nostra, speriamo che altre nazioni si adeguino.