L’Italia ha bisogno di un progetto chiaro per il futuro
17 Gennaio 2011
Al di là della propaganda questo è un governo riformista, che vive un’epoca di grande trasformazione. Dal 2008 ad oggi ha messo mano alla riforma della Pubblica Amministrazione, al Federalismo, alla riforma della Scuola e dell’Università, alla riforma della Giustizia e della professione forense. In questo contesto, s’inseriscono altresì il referendum di Pomigliano prima e di Mirafiori adesso, che stanno riscrivendo la storia delle relazioni industriali e sindacali in Italia.
Questo sforzo riformatore, ma anche quello che verrà, viene letto da gran parte dei commentatori come una diminuzione delle garanzie (e dei privilegi) delle categorie toccate dalla riforma: pubblici dipendenti, professori universitari, avvocati, operai. Tutti si chiedono perché dovrebbero rinunciare ad un pezzetto delle proprie libertà (o privilegi), in virtù di che cosa sia necessario farlo e quale ne sia lo scopo. Coloro che si oppongono a queste riforme, in sostanza, molto spesso difendono semplicemente il loro status quo, senza proporre un progetto alternativo.
La scorsa settimana, a Bari, il Vicepresidente Vicario del gruppo Pdl al Senato Gaetano Quagliariello diceva, a margine della presentazione del libro di Caferra sui rapporti tra politica e giustizia, che non si può vivere in uno stato di riformismo permanente, bisogna anche governare, amministrare. Il riformismo permanente, in effetti, è come un cantiere aperto. Ma un cantiere ha senso se c’è un progetto a guidare l’attività degli uomini. Uno scopo, appunto.
La gente si augura che, dopo le anzidette categorie di persone, siano colpite da questa furia livellatrice anche altre e più nobili “caste”: i politici, i magistrati, i notai, i farmacisti, tutti coloro che hanno una posizione anomala nel mercato globale, tutti gli sprechi e le inefficienze. Ma qual è l’obiettivo di tutto ciò, qual è la società che si vuol creare dopo aver eliminato sprechi e privilegi? La risposta non può essere soltanto la convenienza economica o la diminuzione delle tasse.
A questa domanda, in tanti hanno provato a dare una risposta, sia in Italia che nel resto dell’Occidente. Barack Obama, Angela Merkel e Nick Clegg, in particolare, hanno cercato di dare segnali importanti. In Italia, di futuro – anche se con molta più vaghezza – parlano Nichi Vendola e Gianfranco Fini (o meglio, gli intellettuali di Fare Futuro). Ma da noi manca, tuttavia, un progetto globale che dia giustificazione alle riforme e ai sacrifici che vengono chiesti alle persone. Dove si vuole arrivare, qual è la società che verrà realizzata al termine di questo percorso?
Obama, nell’estate del 2009, ebbe il coraggio di andare nelle zone depresse dell’Indiana e fare uno dei discorsi più memorabili della sua presidenza. Che parlava di auto del futuro, di compatibilità della produzione con l’ambiente, di una nuova vita, un nuovo rapporto tra produzione e consumo, lavoro e tempo libero, Stato e persone. La Merkel, grazie allo spirito di servizio che ha accompagnato il sistema tedesco in quella fase storica, ha convinto il suo Paese a fare passi avanti enormi sul versante delle relazioni industriali, sugli investimenti in materia di energie rinnovabili e biocarburanti, a mantenere il nucleare e sviluppare rapporti importanti con l’ex blocco sovietico.
Per rilanciare l’attività riformatrice del governo nazionale (e di quelli locali), per dare un significato intrinseco e importante ai sacrifici già richiesti e da richiedersi, occorre dipingere l’Italia del futuro, far vedere concretamente ai cittadini il mondo che verrà. Solo avendo ben chiaro l’obiettivo finale, il progetto, tutti gli sforzi costruttivi avranno un senso. Solo così si potrà avere la collaborazione di tutti, si potrà rifondare quello spirito di unità nazionale che ha fatto l’Italia grande nel mondo.