
“L’Italia non corre rischi. L’Europa? Segua il modello tedesco”

17 Febbraio 2011
I Paesi europei debbono seguire l’esempio della Germania che ha migliorato la propria competitività portando avanti riforme strutturali. Così il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, in una lunga intervista al Frankurter Allgemeine Zeitung. Candidato alla successione della BCE, Draghi è convinto che l’Italia non sia rischio: il debito è uno dei più bassi nella Ue, la struttura industriale tiene ed è molto diversificata, il deficit dei conti correnti è limitato e quello di bilancio sotto controllo…
Governatore Draghi, c’è una crisi di fiducia nei confronti dell’Euro?
Assolutamente no. L’Euro è una storia di successi ed ha portato vantaggi a tutti. Ed a paesi come l’Italia ha anche portato un valore fondamentale, ovvero la stabilità, alla quale, oggi, nessuno potrebbe rinunciare. La cultura della stabilità è oggi parte integrante della vita economica in Italia come in tutta l’Europa e per questo deve essere preservata. Soltanto la stabilità garantisce una crescita stabile.
Al momento però ci sono molti dubbi.
Se prendiamo in considerazione l’Euro e l’area euro, i bilanci pubblici sono in uno stato migliore rispetto agli altri paesi del mondo. I prezzi sono più stabili. L’indebitamento privato è minore, la quota di risparmio superiore, i conti corrente sono in regola.
[…]
E la disciplina di bilancio?
La disciplina di bilancio è fondamentale, perchè in un’unione monetaria non è accettabile che i singoli stati sfruttino gli altri. Per evitarlo è necessario che vengano rafforzati i controlli e la disciplina di bilancio, con regole che devono essere, a mio avviso, rigide e semiautomatiche.
Cos’è importante in questi controlli?
Due esempi: il Giappone ha un rapporto tra debito e prodotto interno lordo (PIL) di circa il 200 per cento, tuttavia nessuno ha mai dubitato della capacita di pagamento del Giappone. L’Argentina, al contrario, non aveva capacità di pagamento con un rapporto tra debito e PIL del 50 per cento. E’ una questione di fiducia: i mercati l’avevano nei confronti del giappone ma non nei confronti dell’Argentina. Anche nell’unione monetaria non sono tutti uguali. Tuttavia i paesi con istituzioni deboli possono prendere in prestito le regole più rigide dai paesi con istituzioni più solide. In realtà i paesi piu deboli dovrebbero desiderare regole piu rigide, qualora, per ragioni storiche e politiche, non hanno potuto fare ciò che avrebbero dovuto.
Al momento però proprio i paesi in difficoltà la vedono diversamente – sbagliano?
Fondamentalmente dobbiamo stabilire che le procedure di risanamento che ora vengono richiedono dal Portogallo o la Grecia, sono proprio quelle riforme che un paese con istituzioni forti comunque affronterebbe anche senza la pressione esterna. Le regole devono dunque essere un sostegno dei governi per far comunque il necessario.
Lei ha detto che le regole devono essere semiautomatiche. Perchè?
Le regole devono essere semiautomatiche altrimenti la poltica ne fa un gioco che ne rende più complicata e difficile l’applicazione.
Accanto alla disciplina di bilancio cos’è necessario per la sopravvivenza dell’unione monetaria?
La seconda importante condizione è che tutti i paesi conducano riforme strutturali per accellerare la crescita economica. La crescita è la seconda colonna sulla quale si costruisce la stabilità finanziaria. Avremmo bisogno di un secondo sistema di regole simile ai criteri di Maastricht e del patto di stabilitaà per il bilancio. Si potrebbero stabilire per esempio regole per la riforma delle pensioni, con controlli reciproci. Naturalmente si però il problema del perchè voi avete l’età pensionabile fissata a 57 anni e non a 67 o oltre come in altri casi.
Se si seguono le sue idee, la Germania non dovrebbe avere paura di perdere competitività in una europeizzazione della politica economica?
Al contrario, noi tutti dobbiamo seguire l’esempio della Germania e questo l’ho detto apertamentte in diverse occasioni. la Germania ha migliorato la propria forza di competitività portando avanti riforme strutturali. Deve essere questo il nostro modello.
[…]
L’Italia è un paese a rischio?
No e per molti motivi. Il debito delle famiglie e delle imprese è uno dei piu bassi in Europa. La struttura industriale è molto diversficata e capace di resistenza. Il deficit dei conti correnti è limitato e quello di bilancio non è andato fuori controllo durante la crisi come in altri paesi. […]
Ma all’estero l’Italia viene considerato un paese simbolo dell’instanbilità?
L’Italia ha vissuto fasi di stabilità ed instanbilità, tanto economica quanto politica. Io stesso ho vissuto gli anni cinquanta e sessanta come tempi di straordinaria crescita e stabilità. L’instabilità è iniziata alla fine degli anni Sessanta. Negli anni Settanta avevamo l’inflazione fino anche al 20 per cento all’anno. La Germania è riuscita allora a risolvere in tempi brevi i propri problemi legati all’inflazione ed è cresciuta ulteriormente sulla base di prezzi stabili. Si trattava del “Modello Bundesbank” della politica monetaria, sulla quale si è basato lo sviluppo dell’economia tedesca. Al tempo l’Italia ha intrapreso la via della svalutazione e per questo viene spesso associata all’instabilità. Tuttavia, almeno dal governo di Romano Prodi del 1997, l’Italia ha realizzato un duro programma di convergenza, al fine di restare nell’unione monetaria. Abbiamo bosogno tuttavia di regole rigide per ridurre il debito. E l’Italia ha bisogno anche di maggior crescita. Lo dico da quando sono Governatore della Banca d’Italia.
In Germania ci sono economisti che prendeno anche in considerazione l’ipotesi che la Repubblica Federale possa uscire dall’unione monetaria, nel caso in cui il prezzo da pagare fosse troppo alto.
Non credo che sia giusto. Queste affermazioni sono semplicemente sintomo di un disagio, perchè nessun paese vuole essere sfruttato. Se proponiamo nuove regole del gioco più rigide, se indichiamo che i paesi più deboli possono trovare le giuste risposte, allora il malesse sparirà.
I tedeschi temono che prima o poi gli Eurobonds potranno esser utilizzati per il finanziamento dei debiti italiani. Che posizione avete a riguardo?
Se l’Europa non fosse soltanto un’unione monetaria, ma anche con un sistema fiscale unitario ed una politica di bilancio comune, gli Eurobonds potrebbero avere un senso. Ma non lo siamo ed al momento i cittadini di un paese non sono disponibili a pagare tasse per finanziare un altro paese. C’è naturalmente l’idea di utilizzare gli Eurobonds come leva per procedere ad un sistema fiscale unitario. Tuttavia cosidero quest’ipotesi estremamente difficile.
Come vede lo sviluppo futuro dell’unione monetaria?
Siamo a metà strada. Nell’unione monetaria sono confluiti i paesi che aspiravano ad una moneta comune ed alla stabilità di prezzi e pensavano che questo poteva essere sufficiente. Si sono poi resi conto che avevano bisogno di un patto di stabilità. Dopo si è evidenziato che questo patto deve essere rafforzato ed è ciò che facciamo proprio ora. In futuro credo che prenderemo atto che il patto di stabilità dovrà essere ulteriormente rafforzato.
A volte sembra che la politica di stabilità secondo l’impostazione della Bundesbank abbia pochi sostenitori in Europa. E’ un problema di comunicazione?
La comunicazione è importante, non soltanto quando si tratta delle aspettative del mercato, ma anche per comunicare il significato della stabilità. si deve comprendere che la stabilità del prezzo è stata il fondamento della crescita tedesca e ora deve diventare un principio per l’intera Europa. In questo senso siamo sulla strada giusta.
In banca d’italia alcuni pensano che lei sia più americano che italiano. E’ veramente cosi?
Sono e mi sento europeo. Ho dedicato gran parte della mia vita all’Europa. Nel 1991 ho guidato, nelle trattative per il Trattato di Maastrich, la delegazione come rappresentante italiano. Dei colleghi di allora ci tengo a citare soprattutto Horst Köhler e Jean-Claude Trichet così come anche Hans Tietmeyer della Bundesbank. Da allora l’Europa – con le sue istituzioni, con le sue crisi e con il suo futuro – è al centro della mia vita lavorativa.
Tratto da Frankfurter Allgemeine Zeitung
Traduzione di Ubaldo Villani-Lubelli