L’Italia non dovrebbe stare in un sistema monetario fatto dalla Germania

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L’Italia non dovrebbe stare in un sistema monetario fatto dalla Germania

09 Novembre 2011

Non più tardi di venerdì scorso, il rendimento di un bond italiano a 10 anni rispetto a un Bund tedesco ha toccato il picco di 458 punti base sancendo il record dall’istituzione dell’Emu – l’Unione monetaria europea (ndt. l’altro ieri è stato raggiunto il record di 490 punti base). Un punto di non ritorno in prossimità del quale le vendite non si fermano più e la situazione sfugge di mano.

La Banca centrale europea ha fino ad ora giocato a prendere tempo, mantenendo posizioni di seconda linea: da una parte forse ha raggiunto i limiti di accumulo con 80 mld. di euro in debito italiano; dall’altra forse aspetta ad acquistare nella speranza di far cadere il governo Berlusconi – se così fosse sarebbe davvero un gioco dannoso.

Le mani della Banca centrale europea sono ovviamente legate. Il veto della Germania e gli impedimenti che discendono dai trattati europei ne bloccano un intervento maggiore e vigoroso come prestatore di ultima istanza. In più la banca centrale è essa stessa a rischio di sovra-estensione nell’acquisto dei titoli, senza un tesoro dell’Ue e una singola entità sovrana a sostenerla.

Questa mancanza di un garante che assicuri l’acquisto di quei titoli andati invenduti, è una falla imperdonabile nella struttura istituzionale dell’Unione monetaria europea. Come ha spiegato in suo paper Brad DeLong, professore a Berkeley, tale “assoluta mancanza di riguardo rispetto alla stabilità finanziaria – e ancor meno per il welfare dei lavoratori e per le imprese che fanno l’economia – è un radicale allontanamento dalla tradizione della banca centrale”.

La Banca d’Inghilterra fu costretta ad alleggerirsi da tali idiozie reazionarie nel 1825 in seguito all’esplosione della bolla del canale. Intervenne in violazione del proprio stesso mandato, sommersa da urla di protesta dai sostenitori della moneta forte, i quali mettevano in guardia dal “millennio degli spacciatori di carta moneta”. Ne è seguito un secolo di gentile deflazione.

Mario Draghi ha seguito ubbidientemente la linea della Germania al suo debutto da capo della Bce la scorsa settimana – a dispetto forse da quel che questo studente di Robert Sollow al MIT di Boston pensi veramente – affermando che l’acquisto di titoli di debito sia giustificato solo se assunti “temporaneamente”, per “ammontari limitati”, e se compiuto per restituire al sistema una “trasmissione monetaria”. Sarebbe “inutile” per la Bce tentare di portare giù i tassi di rendimenti per un qualsiasi periodo di tempo.

Potrebbe difficilmente dire altrimenti, specialmente da italiano che cerca di sedurre un pletora di critiche da parte tedesca. I politici in Germani hanno giorni addietro deciso che la Bce deve recedere dal continuare l’acquisto di titoli di debito come condizione perché il Bundestag approvasse il piano di capitalizzazione del fondo di stabilizzazione europeo, l’Efsf.

Nonostante la sua istituzione, la macchina fiscale europea rimane una mera finzione, e l’Efsf solo un’entità disegnata per Grecia, Irlanda e Portogallo, messo terribilmente sotto stress da una serie di artifici per sostenere (alla buona) l’intero edificio della Unione monetaria europea.

Il mercato ha già emesso il suo verdetto sulla terza versione da 1 trilione di euro del Efsf –  quello che avrebbe dovuto essere l’assicuratore ‘first – loss’ sui titoli italiani e spagnoli – vedendo in esso uno schema che concentra rischi letali sugli Stati creditori – spacciando chiaramente la tripla AAA della Francia – e destinato probabilmente a contaminare il resto del centro molto velocemente.

Lo spread sui titoli emessi dal Efsf è già triplicato, attestandosi a 151 punti base oltre i titoli di debito tedesco, lasciando il Giappone e gli altri acquirenti della prima ora in odor di perdite. Il fondo di stabilizzazione europea ha già subito un’asta a vuoto la scorsa settimana, con un taglio sull’emissione da 5 mld. a 3 mld. di euro.

Gary Jenkins di ‘Evolution Securities’ ha dichiarato che lo “spaventevole” sviluppo delle cose è che l’Efsf è stato di fatto messo alla porta dai mercati di capitale. “Se la situazione continua ad andare in questa direzione, allora lo stesso fondo di salvataggio avrà bisogno di un salvataggio”, ha aggiunto Jenkins.

Il tentativo europeo di allargare la rete di credito andando a prendere denaro nelle riserve mondiali degli Stati (ndt. il Fondo monetario internazionale) ha suscitato l’irritazione di quasi tutti a Cannes, e una sferzante  presidente del Brasile, Dilma Rousseff, non ha risparmiato le sue critiche: “Non ho la minima intenzione di contribuire direttamente allo Efsf; se non lo fanno loro, perché dovrei farlo io?”.

L’Europa sta tirando fuori dal cilindro queste pagliacciate perché i suoi Stati più ricchi – in primis la Germania – ancora rifiutano di fare i conti con le devastanti implicazioni di cui è portatrice una moneta che loro stessi hanno creato, e che ha generato danni a perdita d’occhio visto che ha permesso il dilagare di denaro a basso costo verso quella metà vulnerabile dell’unione monetaria.

Si può discutere sui dettagli, ma la formula necessaria per  salvare l’Emu, ha a che vedere con una qualche forma di eurobond, debt-pooling (ndt. una sorta di accordo informale tra debitore e creditore per un abbattimento sui rendimenti dei titoli di debito), trasferimenti fiscali, e chiaramente la rivoluzione costituzionale che ne discenderebbe. Questo almeno farebbe guadagnare un po’ di tempo, benché sia difficile pensare che anche un’unione fiscale possa ridurre il divario Nord–Sud in Europa.

I tribolamenti dell’Italia hanno poco a che fare con il dramma della Grecia. Non si tratta di contagio, qualsiasi cosa ciò possa voler dire. L’Italia è d’un tratto sotto attacco dei mercarti per la semplice ragione che la sua economia sta facendo rotta verso una dura recessione, prevedibile risultato delle politiche di contrazione fiscale e monetaria da anni ’30 del secolo scorso, messe in campo dall’Unione Europea.

Le implicazioni delle doppia–recessione dell’Italia sono orribili, già alle prese con una caduta del 40% in competitività della propria manodopera rispetto a quella della Germania e a un collasso del 70% in investimenti diretti esteri dal 2007 a oggi.

Un rapporto recentemente stilato da REF Ricerche mette in guardia sul futuro dell’economia italiana, sottolineando come l’Italia rimarrà intrappolata in una recessione per tutto il 2012, finanche per tutto il 2013. Questa ricaduta economica sta già provocando un abbassamento del gettito fiscale, e non certo una mancanza di rigore nei conti pubblici. “Quel che sta trascinando sul fondo la credibilità dei conti pubblici italiani nel medio periodo è la mancanza di prospettive di crescita”, si dice nel rapporto REF.

Ciononostante il tandem Merkel e Sarkozy continua a chiedere all’Italia d’intraprendere ulteriori misure stringenti in materia fiscale mentre lo stivale accelera la sua entrata in una nuova recessione, anche se è uno dei pochi paesi dell’OECD con un avanzo primario e benché il suo debito nella sua combinazione privato-pubblico, sia solo del 250% del Pil – ben sotto quello di Olanda, Francia, Regno Unito, Stati Uniti e Giappone. Ciò a dimostrazione di come la politica dell’Unione Europea sia diventata assolutamente demente.

Il sig. Berlusconi ha fatto sorridere a Cannes quando si è fatto sfuggire che “i ristoranti sono ancora pieni”. Di un’altra sua dichiarazione però si è dato minor conto, ovvero di quella con la quale il premier italiano ha commentato il fatto che il tasso di cambio del suo paese dentro l’Emu sia mal allineato e che ciò sia stato “paralizzante per l’Italia”.

Questo è un punto fondamentale. L’Italia sta nella moneta sbagliata. Non dovrebbe affatto trovarsi nell’unione monetaria della Germania.

La crisi dell’Italia si farà più acuta per della ragioni fondamentali che vanno al di là dal tardo impero in disintegrazione del sig. Berlusconi. E’ difficile immaginare che una missione di polizia della Ue – sotto le mentite spoglie del Fondo monetario internazionale – possa raggiungere qualche risultato positivo a Roma, salvo quello di suscitare un’ondata di fervore patriottico da parte italiana.

Il ministro per la semplificazione normativa, Roberto Calderoli (Lega Nord) ha dato la misura di dove questa incauta euro-intromissione porterà in ultima istanza, quando gli è stata posta la domanda “se valesse ancora la candela” restare nell’Unione Europea: “Il trattato di Lisbona ha un sacco di aspetti negativi ma uno positivo: si può uscire dall’Europa”.

Tratto dal quotidiano britannico The Telegraph

Traduzione di E.F.