L’Italia non è stata inventata da Dante
27 Marzo 2011
di Zeno Cavalla
In questi giorni si è fatto un gran parlare, e non potrebbe essere altrimenti, del centocinquantenario dell’Unità d’Italia. E difatti ci sono, sull’argomento, molte cose da dire. C’è chi si rifà a Garibaldi come ad uno dei grandi combattenti per la libertà; chi parla di guerra di conquista, ricordando come le ricche casse borboniche siano state saccheggiate dai Savoia; chi grida all’errore storico, facendo presente che il 17 marzo di centocinquant’anni fa il Veneto non era stato affatto annesso allo stato sabaudo e cercando di dimostrare che allora nel nord-est la stragrande maggioranza si sentiva piuttosto erede della ben più fresca Repubblica della Serenissima.
Vi è, infine, chi ripete quanto sentito a scuola, quando ci raccontavano che l’Italia sarebbe stata edificata con i mattoni delle lettere e delle belle arti e ci invitavano ad acclamare in Dante il padre della patria. Per il sentimento di unità nazionale che ci lega, ammesso che ci leghi, dovremmo dunque ringraziare una élite di poeti che avrebbe resuscitato attorno al 1300 una identità ormai perduta. Premesso che non sono uno storico di professione, mi chiedo: quando mai si è smesso di parlare d’Italia? Un breve excursus mostrerà, a chi avrà pazienza di leggerlo, che dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente ai tempi di Dante il territorio è stato unificato più volte e che ogni quaranta o cinquant’anni la questione italiana si è posta con veemenza. Tanto che viene da chiedersi: non è che ad essere mancata, per lunghi tratti del nostro percorso, non è la coscienza nazionale, ma la presenza di un potere militare espansionistico all’esterno e fortemente centralizzato all’interno, spesso legata all’esperienza degli stati-nazione, presenza non meno inquietante delle lotte intestine che ci hanno caratterizzato?
L’ultimo imperatore romano, Romolo Augustolo, viene deposto nel 476 d.c. da Odoacre, il quale fin da subito cercò di integrarsi con la popolazione locale. Poco dopo, nel 488, il re degli ostrogoti Teodorico riceve incarico dall’imperatore d’oriente Zenone di riappropriarsi a suo nome dell’Italia, la quale viene chiaramente percepita come un unicum. Rivoltatosi contro la classe dirigente romana, che quindi conservava una coscienza identitaria di sé, Teodorico entra in conflitto con Costantinopoli e viene sconfitto. Nel 552 l’Italia era completamente unificata sotto il dominio bizantino, né mai era stata divisa.
Questo fino al 568, quando in Italia scendono i longobardi. Se il trattato infine concluso tra questi ultimi e i bizantini nel 603 spezza l’unità territoriale della penisola, non si può però concludere che recida anche i legami culturali interni alla popolazione. Anzi, statuendo i conquistatori norme gravemente repressive verso gli italici e uccidendo o spingendo all’esilio la classe dirigente presente in loco, rafforzarono una distinzione tra governanti longobardi e governati italiani che i precedenti regni romani-barbari avevano invece cercato di smussare. Sono dunque i primi a volere rimanere attivamente alieni alle popolazioni locali, che intendevano semplicemente sottomettere.
Per la prima volta l’Italia è divisa. Da una parte i possedimenti imperiali e dall’altra quelli longobardi. Questa situazione dura poco più di centocinquant’anni, durante i quali le popolazioni rimangono separate con una certa nettezza, pur con gli inevitabili scambi culturali e linguistici. Nel 722 si giunge alla rivolta, prima contro i bizantini e poi contro i longobardi. Questo porta ad una situazione di disordine a seguito del quale, nel 755, il primo dei re carolingi, Pipino il Breve, scende in Italia e la riconquista per intero (ad eccezione delle isole, di Venezia e di piccole parti della Calabria e della Puglia). Nello stesso anno dona poi a papa Stefano II vasti territori nell’Italia centrale, costituendo quello che diverrà poi lo Stato della Chiesa.
La maggior parte del Paese è dunque unita e tale resterà a lungo. Nell’843 con l’accordo di Verdun, l’impero carolingio viene separato in Regno di Francia, Regno di Germania e Regno d’Italia. Quella italiana veniva dunque considerata una delle tre principali identità del Sacro Romano Impero. Il Regno d’Italia divenne addirittura indipendente nell’877 e lo restò, sconquassato da lotte intestine per la corona, fino al 951, quando Ottone I di germania assunse anche il titolo, per l’appunto, di re d’Italia. Si noti che nel 962 promulgò il cosiddetto Privilegio ottoniano con cui, tra le altre cose, sanciva il divieto di eleggere imperatori che non fossero di stirpe germanica (contrapponendo dunque, allo stato delle sue conquiste, i germanici agli italiani). Pochi anni più tardi, Ottone III spostò addirittura a Roma la capitale dell’Impero, venendo però cacciato dalla stessa aristocrazia locale che non voleva i governanti tedeschi troppo vicini ai propri interessi.
Nel frattempo nell’Italia meridionale si erano prima avuti prima scontri con l’espansionismo islamico, in una lunga serie di conquiste e riconquiste, quindi si era instaurato il regno Normanno. In quella centro-settentrionale vennero invece affermandosi i comuni; ma è bene ricordare che, da principio, essi non furono tanto in lotta gli uni contro gli altri, come sarebbero stati poi, ma fecero al contrario lega comune contro le pretese imperiali, dimostrando uno spirito unitario ben superiore a quello che, al tempo, legava i tedeschi. La stagione degli scontri col Barbarossa si concluse solo nel 1183, con la pace di Costanza, quando i comuni dell’Italia centro-settentrionale si videro riconoscere le loro autonomie in cambio di una formale sottomissione all’imperatore come re d’Italia. Successivamente, in grazia di matrimonio, il figlio del Barbarossa, Enrico, seppure con qualche difficoltà, si fece proclamare re di Sicilia e dunque, almeno in linea teorica, di tutto il territorio italiano meno lo Stato della Chiesa. In meno di due secoli l’Italia giunge nuovamente all’unificazione, questa volta comprendente anche le isole.
Si può dunque osservare come, ferma l’importante eccezione costituita dallo stato pontificio, lo stivale resti unito fino al 603. Dal 603 al 755 è diviso, ma le popolazioni locali sono in grado di organizzare una ribellione di massa, segno di una coscienza identitaria per nulla sopita. Dal 755 è nuovamente unito e per un lungo periodo indipendente e, quando i comuni cominciano a formarsi, questo è inizialmente un movimento nel senso della coesione e non delle lotte intestine. In meridione, invece, un regno autoritario era forse necessario per respingere il pericolo dei mori.
E qui ci fermiamo. All’epoca di Dante alcuni comuni erano ormai ricchissimi e potenti, in lotta gli uni con gli altri per il dominio di importanti rotte commerciali. Dante invoca la discesa in Italia di Arrigo VII auspicando che possa unificarla, ma non lo fa per esaltazione nazionalistica, ma perché vede nell’unità sotto l’Impero la via per la pace. Dante e i letterati delle generazioni successive non saranno gli inventori o i recuperatori di una patria dimenticata, saranno anzi se mai, i testimoni del sovrapporsi, a quella italiana, di altre forti identità locali, come quella siciliana, quella toscana e quella veneziana.
E qui mi sentirei di ripetere, senza cambiare una virgola: non è che ad essere mancata, per lunghi tratti del nostro percorso, non è la coscienza nazionale, ma la presenza di un potere militare espansionistico all’esterno e fortemente centralizzato all’interno, spesso legata all’esperienza degli stati-nazione, presenza non meno inquietante delle lotte intestine che ci hanno caratterizzato?