L’Italia piange i suoi Alpini, uccisi in Afghanistan a 23, 26, 27 e 32 anni
12 Ottobre 2010
I feretri dei quattro militari caduti in Afghanistan, avvolti nel tricolore, arrivano nella basilica di Santa Maria degli Angeli, per i funerali di Stato. Le salme, trasportate dagli alpini, vengono accolte con un solenne silenzio poi rotto da un fragoroso applauso. Dopo la benedizione, uno squillo di tromba, poi, l’atto di dolore: "Per mia colpa, per mia grandissima colpa".
Una chiesa gremita questa mattina per i funerali dei quattro giovani caduti sotto l’agguato di sabato scorso. Vicino ad ogni feretro, i cappelli piumati su cuscinetto rosso. Sono i cappelli di Francesco Vannozzi, Gianmarco Manca, Sebastiano Ville e Marco Pedone, vittime di un agguato nella provincia di Farah. Oltre al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e ai presidenti di Camera e Senato, Gianfranco Fini e Renato Schifani, sono arrivati il ministro degli Esteri Frattini e della Difesa La Russa, dell’Ambiente Prestigiacomo, delle Riforme Umberto Bossi. Nei banchi anche i leader di partito Pierluigi Bersani (Pd) e Pierferdinando Casini (Udc), il vicesindaco di Roma Mauro Cutrufo, il presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti.
A celebrare la solenne messa è l’arcivescovo Vincenzo Pelvi, ordinario militare per l’Italia. "Marco, Francesco, Giammarco, Sebastiano, hanno testimoniato l’amore nel servizio ai più deboli ed emarginati, non rivendicando diritti ma rispondendo ai bisogni". Così l’ordinario militare ha ricordato nel corso dell’omelia i quattro alpini uccisi, "profeti del bene comune, decisi a pagare di persona ciò in cui hanno creduto e per cui hanno vissuto".
Erano in Afghanistan per difendere, aiutare, addestrare. "Compito dei nostri militari – ha aggiunto – in quella martoriata terra, è il mantenimento della sicurezza, la formazione dell’esercito e della polizia afgani, la realizzazione di progetti civili come ponti, scuole, ambulatori e pozzi". Pelvi ha ricordato che nella basilica di Santa Maria degli Angeli "è oggi raccolta simbolicamente l’Italia, che abbraccia nella preghiera" i quattro caduti. Poi si è rivolto ai genitori delle vittime che, sul lato destro della basilica, sono assistiti dagli psicologi dell’Esercito: "Proprio voi avete insegnato quell’amore gratuito, disinteressato e generoso, che si è manifestato poi nella professione militare dei vostri figli, educati a quegli slanci di solidarietà creativa capaci di allargare il cuore, verso le necessità dei deboli, e fare quanto concretamente possibile per venire loro in soccorso".
Già ieri il Presidente Napolitano e il Presidente del Consiglio Berlusconi avevano portato il loro omaggio ai caduti al momento del rientro delle salme all’aeroporto militare di Ciampino, dove lo zio di una delle vittime si è sfogato rivolgendosi al ministro della Difesa La Russa: "Signor ministro, godetevi lo spettacolo". Così, ancora una volta, il mondo politico resta diviso tra ritiro e cambio delle regole d’ingaggio. Ma oggi c’è soltanto il silenzio, nel rispetto dei militari caduti e della sofferenza delle loro famiglie.
Con i quattro alpini, sale a 34 il numero dei militari italiani morti in Afghanistan dall’inizio della missione Isaf, nel 2004. L’ultimo in ordine di tempo risale allo scorso 17 settembre: il tenente Alessandro Romani, incursore del Col Moschin, morto durante una sparatoria, sempre nella provincia di Farah. L’area occidentale del Paese che si trova sotto il controllo del contingente italiano ha registrato negli ultimi tempi massicce pressioni dalle forze talebane, in fuga dai settori meridionali controllati dagli Stati Uniti , dalla Gran Bretagna e dall’Australia. Proprio per questo si sta verificando un’intensificazione di episodi che vedono coinvolti i militari italiani.
Il contingente italiano inizierà gradualmente a lasciare l’Afghanistan, ha detto il ministro degli Esteri Franco Frattini: "Il ritiro inizierà la prossima estate", con "l’intenzione di completarlo nel 2014". Lo ha detto in un’ intervista a Repubblica, sottolineando che il ritiro avverrà "al tempo giusto e in totale coordinamento con gli alleati". Al vertice di Lisbona, a novembre, spiega il titolare della Farnesina, si cercherà di capire "quali criteri adottare per segnare la road map che ci porterà a trasferire il potere agli afgani". Ma si stanno già definendo, chiarisce, i tempi e le modalità dell’operazione di disimpegno.
I soldati italiani, ha detto Frattini, hanno tutto il diritto di essere stanchi della missione, ma "noi del governo, noi della politica dobbiamo ripetere con chiarezza che i nostri militari sono lì innanzitutto per proteggere l’Italia, per evitare che i terroristi collegati ai gruppi presenti in Afghanistan e in Pakistan possano arrivare fin qui, in Europa, a casa nostra". E alle famiglie dei militari che hanno perso la vita, "che per me sono caduti da eroi", il ministro dice che "non sono morti perché spediti a giocare inutilmente alla guerra in un deserto sperduto. Difendono un’idea di civiltà e di politica che vuole rafforzare pace e democrazia".
Una responsabilità straziante quella delle vittime, così come quella dei familiari, che durante la solenne messa stringono al petto le foto dei loro ragazzi sorridenti. Tra queste si distingue quella di Marco Pedone, il più giovane dei militari morti, stretta al petto del padre. Marco aveva 23 anni.