L’Italia vista da “Maggie”
08 Aprile 2013
Dopo la Seconda Guerra mondiale le relazioni italo-inglesi sono sempre state orientate a una reciproca amichevolezza e i due Paesi oggi sono membri dell’Unione Europea, della Nato, dell’Ocse e del G8. Ma negli anni Ottanta della compianta Margaret Thatcher i rapporti con Giulio Andreotti prima e Bettino Craxi dopo furono spesso arroventati. Soprattutto dalla metà del decennio, quando la Lady di Ferro dovette ammettere il "sorpasso" italiano sulla Gran Bretagna, con il nostro PIL al 12,8 contro l’11,7 degli inglesi. Ma andiamo con ordine.
Racconta un funzionario del Foreign Office che Maggie era quasi all’oscuro delle alchimie politiche del Belpaese quando prese il potere nel ’79. I fuochi si accesero subito quando la diplomazia inglese si trovò a fronteggiare l’affare Itavia, la compagnia aerea della scuderia democristiana che in un felice momento di espansione nel Mediterraneo reclamava prezzi e carburanti più vantaggiosi dagli scali inglesi. All’epoca, nonostante le incomprensioni bilaterali, il pragmatismo del "Divo Giulio" era comunque funzionale all’antieuropeismo thatcheriano, considerando che Maggie vedeva nel Belpaese un antidoto all’asse franco-tedesco e che Andreotti nell’alleanza intermittente con Londra trovava fiato rispetto all’asse strategico con Berlino e Parigi. Ricordiamo anche che negli anni Sessanta l’Italia aveva sostenuto l’ingresso della Gran Bretagna nella CEE.
Il giudizio di Maggie su Andreotti sarà sempre severo: "Sembrava nutrire – Giulio (nda) – una solida avversione nei confronti dei principii e riteneva che qualsiasi uomo integro fosse votato al ridicolo", avrebbe scritto nelle sue memorie, "Io e il signor Andretto non eravamo esattamente grandi amici". Le piaceva invece il futuro picconatore Cossiga, "uomo di grande integrità e di profondi principii. Con lui mi sono sempre trovata a mio agio. Condividiamo molte idee politiche" e giù altri complimenti su come Cossiga aveva gestito il Caso Moro da ministro degli interni. "Un altro uomo politico italiano da me apprezzato è Giovanni Spadolini. Andavamo d’accordo".
L’avversario divenne poi il primo ministro socialista Bettino Craxi, il leader del sorpasso italiano sulla Gran Bretagna, espressione di una visione economica e delle relazioni internazionali per certi aspetti irriducibile al thatcherismo (anche se le cose vanno sempre guardate in filigrana e bisogna ammettere che Craxi fu molto più "liberista", se si può dir così, di un De Mita). Quel Craxi convinto a differenza sua dei benefici di una Europa unita politicamente. Certo a vederla con le lenti di oggi Maggie aveva intuito il flop europeo. Il suo scetticismo ormai è condiviso da una larga fetta dei cittadini del Vecchio Continente. Il suo odio per l’ambizione dei burocrati, per il "superstato" artificiale di Bruxelles, l’aveva spinta a predire un finale da "Torre di Babele" per la Ue, che oggi sperimentiamo con la trazione tedesca, il rigore nordico e la polverizzazione dei PIGS.
Ma in un certo senso Maggie anticipava il freno a mano tirato della cancelliera Merkel. Nell’84 aveva esposto chiaramente in una intervista il suo rifiuto di una Comunità divisa tra stati "pagatori" e stati "beneficiari", includendo la Gran Bretagna tra i primi e l’Italia tra i secondi (mettendo in guardia il pontiere Craxi sulle Falkland, "il primo ministro italiano ha realizzato che dei negoziati diretti in queste circostanze sono molto meglio"). L’anno dopo, al castello sforzesco di Milano, la Thatcher avrebbe incassato un brutto colpo con l’adozione dell’Atto unico europeo fortemente voluto dall’Italia che in Consiglio guidava il fronte europeista.
In realtà "TINA" non ebbe mai alcun dubbio su quale fosse il posizionamento della Gran Bretagna nelle relazioni internazionali, cioè tra l’asse con gli Stati Uniti reaganiani o una adesione più convinta all’Europa. Nell’86, a differenza di quanto avrebbe fatto l’Italia, diede il via libera all’utilizzo delle basi e delle portaerei inglesi per gli aerei americani che bombardarono la Libia. Alcuni italiani rimasero feriti all’Ospedale di Tripoli in un raid durante il quale persero la vita almeno un centinaio di persone.
L’idea che la Difesa inglese fosse sinonimo di salde relazioni con gli Stati Uniti divenne ancora più chiara con l’affaire Westland, scoppiato sempre a metà degli anni Ottanta. Maggie rifiutò le offerte del cartello europeo che comprendeva anche l’italiana Agusta preferendo altri fornitori americani per lo sviluppo dell’industria degli elicotteri di Sua Maestà. L’affaire provocò uno sconquasso nel governo inglese fino alle dimissioni per protesta del segretario della Difesa, Heseltine, che aveva invece sostenuto l’accordo con gli italiani.
E ancora, a differenza dell’atteggiamento avuto con gli americani sulla restituzione dei terroristi dell’IRA alla Gran Bretagna, la Thatcher avrebbe avuto un comportamento più oscillante nella vicenda del rimpatrio dei neofascisti italiani arrestati sul suolo inglese. Nell’86, i due Paesi avrebbero raggiunto un accordo sottoscritto a Firenze da Maggie e Bettino.
Il boccone amaro rimase sempre il "sorpasso". In una conferenza stampa congiunta con Craxi nel febbraio dell’87, Maggie fu costretta a congratularsi con il nostro primo ministro per la "very strong performance of Italian economy" non senza togliersi qualche sassolino dalla scarpa, " I would only say that it depends upon what figures and exchange rates you take". L’Europa restava il paracadute per l’Italia spendacciona, noi paghiamo voi ne beneficiate, questo il sunto in pillole dell’intervento di Maggie, dove si metteva in guardia i partner dalle politiche del debito, chiedendo una amministrazione "rigorosa e disciplinata" dell’economia comunitaria. "Come lo sono le finanze della Gran Bretagna".
Nel 1990, quando la stella della Thatcher ormai è al tramonto, c’è ancora spazio per il gossip diplomatico sulle acredini con il Belpaese. Gli strali della Lady d’acciaio stavolta si rivolgono al socialista De Michelis e al solito Andreotti, considerati responsabili di aver anticipato il suo ‘pensionamento’ dopo il vertice europeo di Roma. Quello che avrebbe dovuto essere il solito incontro tra i Paesi membri divenne infatti una "trappola" per gli inglesi, con la decisione di procedere verso la strada della moneta unica e dell’integrazione politica. Ancora una volta l’Italia faceva sponda con francesi e tedeschi puntando all’isolamento di Londra. In patria, Maggie se la dovrò vedere con la rabbia dei conservatori euroscettici, prima di cedere il trono.
Di Tangentopoli disse: "Credo che finalmente stiate affrontando seriamente i vostri problemi. Alcune persone straordinariamente coraggiose sono alla testa di questa battaglia di rinnovamento e ciò augura bene per il futuro. Tutti i grandi cambiamenti avvengono perché pochi individui coraggiosi e decisi assumono l’ iniziativa. Il resto della gente riconosce che i mutamenti sono giusti e segue. La leadership, quando vale, è sempre riconosciuta".
Alla fine del decennio, nel ’90-’91, i due Paesi avrebbero partecipato insieme alla Guerra del Golfo. Ma se a distanza di oltre vent’anni dobbiamo mettere sulla bilancia il credo liberista e fortemente atlantico del conservatorismo thatcheriano, da un lato, e la visione ‘mediterranea’, filoaraba, e basata sulla crescita drogata dal debito pubblico dei governi della Prima Repubblica, dall’altro, viene da chiedersi quale delle due opzioni sia stata preferibile. Se il capitalismo anglosassone messo alle strette dai guasti della deregulation e della superfinanziarizzazione, oppure l’idea di una BCE pagatore di ultima istanza per le crisi della moneta e della industria che hanno piegato il Vecchio Continente.