Lo sciopero della Cgil più che al governo creerà probemi al Pd
07 Dicembre 2008
Alla fine di questa settimana, per l’esattezza venerdì prossimo, si svolgerà lo sciopero generale proclamato dalla Cgil. Più che vuotare le aziende, lo sciopero riempirà le piazze, mobilitando tutto l’armamentario di un certo sinistrismo.
Paradossalmente tale iniziativa potrebbe essere sottoposta alla medesima critica che il sindacato di Guglielmo Epifani rivolge al Governo: quella di aver sottovalutato, nel varare il decreto anti-crisi, il rapido, repentino ed accelerato aggravamento della congiuntura economica e sociale. In effetti negli ultimi 40 giorni è successo di tutto. E’ precipitata la crisi dei mercati finanziari, la cui intensità si è rivelata sostanzialmente indifferente alle misure di contenimento e di reazione assunte dai Governi; il clima di sfiducia che ne è derivato si è scaricato sull’economia reale aggravando la recessione in atto. Su tutto ciò permane una situazione di grave incertezza dal momento che i produttori e i consumatori si domandano con angoscia quali saranno le ulteriori ‘mosse’ di una crisi i cui effetti sono largamente inconsueti ed imprevedibili, non affrontabili con le tradizionali terapie (ma quelle adeguate e congrue rimangono tuttora da scoprire).
E’ fin troppo facile, allora, criticare, come fa la Cgil, la manovra del Governo, oggettivamente improntata ad alleviare le conseguenze più gravi della crisi (come se fosse possibile la ‘svolta’ che viene rivendicata dando sfoggio di un "ottimismo della volontà" strumentale, a fini politici, piuttosto che di un realistico "pessimismo dell’intelligenza"). Ma lo stesso ragionamento potrebbe valere per lo sciopero generale, che è stato pensato e proclamato, quando la crisi mordeva molto di meno.
In realtà, la decisione di Epifani è stata fortemente condizionata dai rapporti interni alla Confederazione. La Fiom – senza chiedere l’opinione delle consorelle di categoria – aveva assunto la decisione dello sciopero generale contro le proposte della Confindustria in materia di riforma dei contratti (un tema destinato a rientrare nell’ombra). Dal canto suo, la Funzione pubblica doveva dare un seguito coerente alla scelta di non sottoscrivere il rinnovo contrattuale proposto dal ministro Renato Brunetta. La convergenza tra i due più importanti sindacati ha costretto la Cgil – che già aveva cavalcato tutti i movimenti vecchi e nuovi contro il Governo e i suoi provvedimenti – a seguire la deriva dello sciopero, mobilitando tutte le categorie. Solo che l’astensione dal lavoro si svolgerà in un momento molto grave e contribuirà ad aumentare i problemi anziché a risolverli.
Ha ragione Raffaele Bonanni: in nessun Paese moderno e civile vi sono sindacati che pensano a scioperare in situazioni tanto difficili come quelle in cui versa l’Italia. Soprattutto quando al centro dell’azione di lotta stanno quelle categorie del pubblico impiego che non solo non rischiano la cassa integrazione e i licenziamenti, ma hanno ottenuto persino degli aumenti retributivi (cosa non affatto garantita ai dipendenti privati). Lo sciopero del 12 dicembre, poi, più che al Governo creerà problemi al Pd, in quanto la giornata di lotta sta diventando un motivo ulteriore di conflitto interiore. La componente ex Margherita non può accettare che il Partito abbia un rapporto privilegiato con la Cgil, tanto stretto da gettare la Cisl e la Uil nelle braccia del Governo. Ma c’è di più. Quaranta giorni or sono, il vertice del Pd poteva essere tentato dalla prospettiva della "spallata" sindacale al ‘cattivo’ Governo (una scelta comunque di breve respiro perché l’esecutivo e la maggioranza sono solidi e vanno avanti senza paura). Ma adesso? Non può essere credibile il Partito democratico nel rivendicare il tavolo congiunto per affrontare l’emergenza mentre il "suo" sindacato continua a scioperare in modo vistosamente strumentale.