Lo scudo spaziale in Europa serve a neutralizzare l’Iran

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Lo scudo spaziale in Europa serve a neutralizzare l’Iran

11 Novembre 2008

Il progetto per il sistema di difesa dai missili balistici (BMD) da realizzarsi in Europa rappresenta uno degli elementi che vanno ad inserirsi in un più ampio programma voluto dagli Stati Uniti e approvato dalla NATO il 14 giugno 2007 come parte del sistema di sicurezza collettivo dell’Alleanza. Il cosiddetto “Terzo Sito” europeo (che si va a sommare ai due già esistenti a Fort Greeley, in Alaska, e Vandenberg, in California) comprenderà una stazione radar nella Repubblica Ceca e una serie di dieci missili intercettori in Polonia; il suo scopo è quello di difendere l’Europa da un eventuale attacco da parte di paesi mediorientali ostili – uno scenario quanto mai realistico dopo le ultime dichiarazioni del presidente Ahmadinejad, secondo le quali l’Iran non intende abbandonare il proprio cammino verso il nucleare.

Nel suo studio “European Missile Defense: Looking at the Heart and Soul of the U.S.-European Alliance”, lo studioso dell’American Enterprise Institute Reuel Marc Gerecht – che in passato ha collaborato con la CIA ed il Dipartimento di Stato come esperto per le politiche mediorientali – riflette su questo tema, soffermandosi inizialmente su una delle caratteristiche che dominano le relazioni transatlantiche sin dal termine della Guerra Fredda: il fatto che gli europei e gli americani spesso vedono le cose in maniera dissimile. Seppur non vi siano contrasti insanabili nelle relazioni tra Stati Uniti ed Europa, spesso la cooperazione non è intrapresa con un’aderenza totale – o quantomeno diffusa – di vedute. L’opinione di Gerecht è che un maggiore impiego di "soft power" da parte degli USA potrebbe fare molto per avvicinare ulteriormente le due sponde dell’Atlantico.

Lo studioso riconduce queste considerazioni all’ambito specifico del sistema di difesa missilistica europea. Va ricordato che questo progetto è stato concepito a scopi puramente difensivi e le sue caratteristiche tecniche rendono impossibile utilizzare gli intercettori per sferrare improbabili attacchi contro la Russia; il loro scopo è unicamente quello di proteggere l’Europa dall’Iran e da altre potenze ostili dell’area mediorientale. Ciò nonostante, il Presidente russo Dmytry Medvedev ha ribadito in occasione del suo primo discorso annuale alle camere riunite la propria totale contrarietà al terzo sito europeo. Medvedev ha promesso che Mosca non resterà a guardare l’attuarsi di quella che non ha esitato a definire una “minaccia” per il suo paese: facendo seguire alle parole i fatti, il presidente russo ha confermato la propria decisione di revocare lo smantellamento della divisione missilistica di SS-18 (gittata 10mila chilometri) a Kozelsk, e ha varato il dispiegamento di missili Iskander (gittata 300 chilometri) nella regione baltica di Kaliningrad.

Nel suo studio, Gerecht nota come gli europei – contrariamente agli USA – mantengano un’incrollabile speranza nel fatto che si possa arrivare a mediazioni, o persino accordi, con la Russia sulla costruzione del terzo sito. Pur tenendo ben presenti le velleità neoimperialiste di Medvedev e Putin, l’Europa non sembra intenzionata a prendere posizioni drastiche nei confronti di Mosca e vuole proseguire il dialogo, nonostante la Russia abbia dimostrato in più occasioni la propria natura ostile collaborando alla costruzione del reattore nucleare iraniano di Bushehr, opponendosi con veemenza alle sanzioni proposte dall’ONU contro Tehran e vendendo ai mullah sofisticati missili terra-aria da posizionare a protezione dei loro più importanti impianti nucleari. Gli europei non temono (ancora) la prospettiva di leader religiosi armati di testate nucleari, ma non nutrono nemmeno paura nei confronti della Russia. L’Europa non si sente però di poter affrontare il mondo senza l’appoggio degli Stati Uniti, ed ha dunque deciso di cooperare con gli USA sul tema della difesa missilistica dell’Europa.

Al di là delle complesse relazioni del triangolo Europa-USA-Russia, quello che Gerecht vuole evidenziare è come, nonostante il consenso formale al progetto del terzo sito da parte della NATO e le promesse di collaborazione all’iniziativa dei singoli paesi europei, è possibile riscontrare una crescente opposizione, diffusa in maniera capillare su tutto il suolo europeo  – e dunque non solo nei paesi direttamente interessati, in Polonia e Repubblica Ceca – all’idea del nuovo sistema di difesa missilistica. I dettagli di questa opposizione, che vanno oltre all’esecrabile per quanto marginale antiamericanismo di fazioni interne ai vari paesi, sono indice di un disagio più profondo che oggi è compito degli Stati Uniti affrontare.

Lo studioso dell’AEI nota che in generale l’appoggio dell’opinione pubblica europea al programma che prevede il radar e gli intercettori è sempre stato scarso, principalmente a causa della sottovalutazione del rischio costituito dagli "Stati canaglia", nonostante sia cresciuta in la consapevolezza della pericolosità dell’Iran sin dalla costituzione dell’EU3 (il gruppo costituitosi per la mediazione con Tehran riguardo all’arricchimento dell’uranio nell’ottobre 2003 e che comprende Francia, Gran Bretagna e Germania).

Inoltre, i paesi coinvolti direttamente – Polonia e Repubblica Ceca – sembrano in primo luogo fronteggiare difficoltà sul piano politico a livello nazionale che, seppur non pongono in discussione la realizzazione del progetto, di certo non favoriscono quel clima di cooperazione che dovrebbe essere alla base delle relazioni transatlantiche tra alleati nel Ventunesimo secolo. Secondo Gerecht, tutto ciò è dovuto ad una certa insofferenza da parte dei due paesi ospitanti verso le tattiche di negoziazione statunitensi, la burocrazia di Washington ed in generale l’atteggiamento del Dipartimento di Stato americano, che spesso privilegia un approccio eccessivamente unilateralista.

In secondo luogo, la posizione della Polonia appare poco incisiva nei confronti della Russia. Secondo lo studioso, infatti, quest’ultima non si augura – a differenza della Repubblica Ceca – la minima presenza indispensabile di truppe statunitensi sul suo territorio in cambio della massima protezione; anzi, secondo Gerecht una base americana su suolo polacco – quanto più grande possibile – sembra essere l’unica rassicurazione che il governo di Varsavia sia disposto ad accettare a conferma dell’accordo. Ma se da un lato la Polonia ha ripetutamente chiesto agli Stati Uniti una difesa missilistica Patriot o THAAD, che la tutelerebbe da eventuali minacce con missili a medio raggio da parte della Russia, d’altro canto Varsavia richiede un maggiore impegno da parte degli USA per convincere Medvedev che gli intercettatori non minacciano in alcun modo Mosca, e preme per tenere aperta la via del dialogo.

Gerecht nota come l’invasione della Georgia lo scorso 8 agosto abbia in parte cambiato le cose. Il consenso della Polonia al posizionamento di un certo numero di militari statunitensi sul proprio territorio è divenuto maggiormente consapevole e meno controverso; più lento resta il cammino alla ricerca di approvazione diffusa da parte della Repubblica Ceca, dove la tradizione neutralista è più radicata e gli investimenti della Russia sul territorio hanno indubbiamente segnato gli interessi di alcuni gruppi industriali del paese.

Infine Gerecht ricorda come la Polonia abbia più volte sottolineato la propria partecipazione alle missioni in Iraq ed Afghanistan come richiesto degli Stati Uniti, e si aspetti ora un ritorno in termini di assistenza economica e militare per il proprio impegno. Dopo aver inviato migliaia di soldati a combattere per la coalizione con a capo gli Stati Uniti nella liberazione dell’Iraq, dopo aver aumentato il proprio contingente in Afghanistan e dopo aver combattuto duramente riportando feriti e vittime tra i propri ranghi, la Polonia sente di aver sinora ricevuto in cambio meno di quanto abbia diritto a riscuotere.

Gerecht evidenzia qui il punto focale della sua ricerca: sebbene gli accordi siano già sottoscritti, e dunque non si tratti di "approvare" bensì di tener fede agli impegni ed ai tempi previsti per l’approntamento del sito europeo di difesa missilistica, è importante che gli Stati Uniti realizzino la presenza di quello che appare come un consenso al progetto talvolta riluttante, talvolta prettamente utilitarista, ma mai inserito in un progetto più ampio, una "vision" come invece accade per gli USA. Gli Stati Uniti non devono sottovalutare il pericolo che il progetto slitti all’infinito per questioni burocratiche o di budget, e necessitano di affrontare esaurientemente le perplessità degli alleati, impegnandosi a creare e radicare in Europa un consenso forte che ponga la sua sicurezza e difesa al primo posto di fronte delle minacce mediorientali.

Nell’ultima parte dello studio, Gerecht analizza l’impatto di una (al momento della stesura ancora eventuale) presidenza di Barack Obama sul progetto di difesa missilistica statunitense. È questa una parte molto importante del lavoro dello studioso, nel quale si evidenzia la necessità per il nuovo Presidente di tener fede senza tentennamenti agli impegni assunti dall’Amministrazione Bush in materia di difesa europea. Se Obama non intende colpire direttamente gli impianti nucleari iraniani, come pare sia il caso, allora diverrà ancor più fondamentale per la sua Amministrazione studiare una strategia difensiva basata sulla logica del containment per neutralizzare i mullah in possesso di armi nucleari. In quest’ottica, il progetto per la difesa missilistica può, o meglio deve, rappresentare un punto cardine sul quale far ruotare la difesa dell’Occidente – se abbandonato, o magari ritardato a data da definirsi, in futuro potrebbe non esserci tempo sufficiente per cambiare ancora una volta idea. Per il momento, lo staff di Obama ha suggerito che l’approccio del neopresidente sarà “costruttivo”, sebbene non siano ancora state rilasciate dichiarazioni ufficiali che confermino l’appoggio ai negoziati sinora condotti.

Nell’attesa che queste pervengano celermente, Gerecht ribadisce ancora una volta l’importanza fondamentale dell’accordo per la difesa missilistica dell’Europa. Se quest’ultimo venisse a meno, afferma lo studioso, gli effetti sul piano delle relazioni transatlantiche sarebbero devastanti. I governi della Repubblica Ceca e della Polonia ne risulterebbero indeboliti, la tentazione dell’Europa di inneggiare ancora una volta all’appeasement verso la Russia crescerebbe in maniera esponenziale e Medvedev e Putin dichiarerebbero vittoria, certi che le loro provocazioni possano rientrare in una strategia vincente e utile nel gestire le relazioni con l’Occidente. Infine, il regime clericale di Tehran – che sinora ha adottato un approccio nei confronti degli Stati Uniti e dell’Europa secondo il principio di divide et impera – proclamerebbe un nuovo successo.

La conclusione di Gerecht nel complesso richiama gli Stati Uniti alla consapevolezza del proprio ruolo e alla valorizzazione del legame con l’Europa. Seppur si sia asserito più volte che sarà l’Afghanistan a decidere le sorti della NATO  – ed è ancora troppo presto per sapere se gli alleati saranno in grado di individuare una strategia vincente di contro insorgenza per gestire il complesso scenario afgano -, come afferma lo studioso un fallimento sul fronte della difesa missilistica in Europa potrebbe infliggere una ferita altrettanto profonda alla partnership atlantica. Tuttavia, prosegue Gerecht, l’alleanza transatlantica – per quanto in alcune occasioni possa essersi rivelata frustrante e deludente – costituisce l’elemento chiave all’interno di qualsiasi seria strategia per il futuro dell’America. A differenza dell’Afghanistan, dove molti sono gli elementi che gli Stati Uniti non sono in grado di controllare, Gerecht ricorda che se in Europa gli americani vedranno fallire il progetto per la difesa missilistica dovranno incolpare solo se stessi.