Lo sfogo di un sacerdote dopo  Anno Zero

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Lo sfogo di un sacerdote dopo Anno Zero

02 Giugno 2007

“Speriamo di no!”: non è riuscito a trattenere questo grido uno dei presenti in studio durante l’annunciata trasmissione di Santoro, quando il giornalista non poteva che riconoscere l’inutilità della propria trasmissione ai fini della distruzione della Chiesa, “istituzione che esiste da millenni e che durerà anche dopo di noi”.

Ecco, è questo che mi mette tristezza: al centro della trasmissione, c’era un gruppo di ‘assetati di giustizia’, che non mi ricordavano affatto quelli esaltati dalle parole universali delle Beatitudini, ma piuttosto l’irragionevole folla che assisteva alle esecuzioni nelle piazze durante la rivoluzione francese. La vera rabbia non è contro i preti pedofili (è chiaro che per tutti vanno deprecati e condannati), ma contro la Chiesa. Quell’istituzione strana che non si assoggetta al potere attuale e alla mentalità comune, che non ripete all’unisono l’opinione delle anime belle, che di fronte alla vita, alla morte, alla sofferenza suggerisce un atteggiamento che vuole essere più umano dell’aborto, dell’eutanasia, della distrazione da sé e dal proprio senso. Allora con ogni pretesto si va contro la ragione accusando la religione di essere irrazionale; si va contro la libertà, invocando la soppressione di un’evidenza sociale sempre ingombrante; si va contro la libertà di parola, attaccando una presunta censura; ci si proclama democratici, mentre ci si apre senza condizioni a tradizioni antidemocratiche e si tenta di azzerare la voce di quella storia (la giudaico-cristiana) che ha insegnato il valore della persona e quindi i suoi diritti e la democrazia.

Con profonda sofferenza vedo dimenticati testimoni (molti lo sono stati fino allo spargimento del sangue), che hanno difeso la libertà in ogni secolo, ma soprattutto in questo tragico ventesimo che s’è appena concluso; obliati con una tracotanza tanto superba quanto becera uomini e donne che hanno condiviso la sofferenza di popoli in ogni latitudine, in nome della loro appartenenza a Cristo; eroi (i più senza volto) che in tutto il mondo hanno sostenuto e sostengono la disperata resistenza della dignità della gente altrimenti abbandonata.

In questi secoli l’uomo ha imparato dalla Chiesa il rispetto del diverso, l’uguaglianza tra i differenti sessi, condizioni sociali, responsabilità personali e pubbliche, la dignità del lavoro, la giustizia sociale, le libertà personali, la democrazia. Ma c’è una cosa che l’uomo da solo non potrà mai vivere, senza l’orizzonte infinito in cui un Giudeo, di una piccola provincia dell’Impero romano, lo introduce continuamente: la misericordia. La capacità di abbracciare l’altro per come è, chiamando l’errore per nome, senza consentire però che nessuno possa essere ridotto al proprio sbaglio.

Libertà e democrazia saranno sempre messe in discussione in modo violento (come hanno tentato di fare il comunismo e gli altri totalitarismi passati) o in modo subdolo ma non meno prepotente (come sta facendo il laicismo), se si crede che la soluzione dell’uomo venga dalle sole proprie capacità (che si chiamino diritti o scienza, non importa), prescindendo dalla misericordia. L’uomo può solo nascondere o condannare il proprio errore; ma desidera sempre una soluzione più adeguata, più proporzionata al proprio cuore: una ragione che perdoni.

Siamo arrivati a disprezzare tutti i luoghi comuni, tranne quelli contro la Chiesa cattolica; a deprecare ogni censura, eccettuando quella contro il papa e i vescovi; a stigmatizzare ogni violenza, tranne quella che eccita la massa contro i preti. Anche lo spettacolo libero ed esuberante di piazza san Giovanni nel mese scorso valeva nella misura in cui “non c’erano soltanto i cattolici”.

Il popolo, il nostro popolo, è in pericolo: è messa a repentaglio la possibilità di educazione dei nostri figli. Quando uomini e donne sono indicati come portatori di ogni infamità, mentre stanno semplicemente giocandosi -senza dubbio con tutte le loro fragilità- per testimoniare che per quest’uomo, per ogni uomo, è possibile una misericordia più grande, allora mi pare davvero un’emergenza.

Il metodo dell’Incarnazione, che è alla base del Cristianesimo, è l’occasione più laica e meno sacralizzata per la realizzazione di tutto l’umano. Era e rimane la possibilità affinché l’uomo conosca e sperimenti la sua personale libertà e dignità e la conseguente responsabilità nei confronti di sé, degli altri e della società.

Ora mi si accuserà di voler coprire i pedofili con il coraggio lucido e ragionevole di preti come don Santoro (tanto per fare un nome, ma che non è nemmeno parente dell’omonimo giornalista): non è la mia intenzione. Circa i preti pedofili, tutti coloro che vogliono capire, partendo dalla realtà e non da un pregiudizio, hanno compreso che la Chiesa guarda a quei crimini, ai quali applica le sanzioni più gravi che le competono, con dolore e non tenta di nascondere nessuno, ma semmai di preservare possibili innocenti da linciaggi massmediatici.

Intendo soltanto esprimere il mio rammarico per questa veemente violenza contro la Chiesa. Nel servizio che Santoro ha mandato in onda si sottolineava che decine di milioni di ragazzi sono affidati all’opera educativa della Chiesa. Certo, lì si voleva alludere al rischio che tutti costoro siano in mano di possibili violenti e pedofili e che su di loro si eserciti solo plagio. Sappiamo bene che non è così. Sappiamo che oggi, nel nostro mondo occidentale, le scuole cattoliche rimangono ancora esempio di educazione e che altrove, specialmente in Paesi “in via di sviluppo” (probabilmente lo sono proprio per una presenza capillare di missionari e istituzioni educative) la dignità delle persone è difesa ed educata proprio da possibilità nuove che sono loro offerte, non certo dal mercato internazionale o dai giustizialisti con la sciarpa multicolore. Potrei parlare di università quartieri più poveri di Lima o di scuole e laboratori nelle baraccopoli di Manila, dove operano alcuni miei amici; mi limito a rilevare che il “Crucifige” di Santoro non credo dia molte speranze agli uomini. La misericordia e la ragione, educate nella tradizione giudaico-cristiana, probabilmente sì. A me, innanzitutto.