Lo spartiacque del 1948 e l'”armata rossa” della sinistra contro De Gasperi (di F. Agnoli)

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Lo spartiacque del 1948 e l'”armata rossa” della sinistra contro De Gasperi (di F. Agnoli)

22 Ottobre 2021

E’ in libreria l’ultimo libro di Francesco Agnoli, “Alcide Degasperi. Vita e pensiero di un antifascista che sconfisse le sinistre“, edizioni Cantagalli (https://www.edizionicantagalli.com/shop/alcide-degasperi/). Si tratta di una biografia piuttosto controcorrente: la figura di Degasperi viene ripulita dall’uso strumentale che ne hanno fatto e ne continuano a fare a destra e a sinistra e soprattutto dalla falsificazione ad opera della sinistra DC, che di Degasperi fu sempre acerrima nemica, pur non esitando, dopo la sua morte, ad impadronirsi della sua memoria.

Riportiamo alcune pagine del libro, dedicate alla storica vittoria del 1948.

 

18 aprile 1948: l’Italia è finalmente libera!

Le elezioni del 18 aprile 1948 sono quelle decisive. Le sinistre fanno il possibile e l’impossibile per surriscaldare il clima. Mediaticamente sono molto più forti: godono del sostegno di intellettuali, giornalisti, scrittori, artisti, registi e pittori, cercati, lusingati, vezzeggiati… e attingono all’ “oro di Mosca”. Esercitano un vero e proprio monopolio culturale, non senza il sostegno attivo di tanti ex fascisti fulminati dal verbo marxista, o dall’ansia di emergere, di sentirsi “maestri”, “rivoluzionari”, “anti-borghesi”…

Sul banco degli imputati mettono Pio XII, il papa che condanna il materialismo e la violenza dei comunisti, e il solito Degasperi.

Molti di loro scalpitano, lucidano le armi nascoste dopo la fine della guerra: “I partigiani comunisti avevano conservato i loro arsenali e una struttura militare ben collaudata, capace di muoversi in qualsiasi momento. A quasi tre anni dalla fine della guerra, la maggioranza dei rossi era pronta alla rivoluzione. Non gli importava nulla che Stalin avesse detto a Secchia: guarda, compagno Pietro, che in Italia non si può fare. Se ne fregavano persino di Togliatti che non voleva colpi di testa… Anche i partigiani bianchi non erano certo a mani nude… però erano molto pochi rispetto ai comunisti. E partivano in svantaggio: il loro proposito era soltanto difendersi, non attaccare. Mentre i rossi erano gasati e vogliosi di metter fuori gioco i democristiani” (G.Pansa). Degasperi lo sa, è consapevole di rischiare la vita, prima e dopo le elezioni. Per questo il 21 marzo 1948, presso il santuario di Crea, incontra il francese Georges Bidault, che davanti alla Madonna nera garantisce asilo politico a lui e agli altri capi della Dc in caso di vittoria elettorale comunista.

Prima delle elezioni lo statista trentino viene accusato dalle sinistre, come già dai fascisti, di essere un “austriacante”, un “cecchino” austriaco: si vuole far intendere al paese che è uno “straniero”, nemico dell’Italia, in quanto amico dell’Austria ieri, e degli Usa oggi.

Non votate un nemico, uno straniero!

Si mette persino in guardia l’elettorato dalla sua presunta volontà di preparare un “colpo di stato”, “un complotto insurrezionale tramato dalle organizzazioni segrete anticomuniste”, tanto che non passa giorno che l’Unità non gli chieda, in modo retorico, se è davvero disponibile ad accettare il responso delle urne.

Ai lettori – con particolare impegno volto a spaventare le donne – assicura che, in caso di vittoria elettorale della DC, o di un colpo di stato del “fascista” Degasperi, l’Italia andrà incontro alla “guerra”, a “Fame, miseria e nel migliore dei casi emigrazione”.

Le sinistre, che si dichiarano certe della vittoria, sicure di avere con loro “il popolo”, sono riunite nel Fronte democratico popolare: l’aggettivo “democratico” è lo stesso utilizzato da vari regimi comunisti, ad esempio nella Germania dell’est (detta anche DDR: Repubblica Democratica Tedesca); la scelta di non utilizzare il simbolo del comunismo, è analoga alla decisione, molti anni prima, da parte di Mussolini, di mascherare i suoi candidati fascisti nel Listone giolittiano; il simbolo del Fronte, il volto risorgimentale di Garibaldi, è un’altra mossa propagandistica per coprire, sotto una patina di mitico patriottismo, l’obbedienza del PCI italiano a Mosca.

Il paradosso è che, per attaccare la DC di Degasperi, le sinistre non esitano a condurre una campagna zeppa di accenti nazionalisti: non si estrae soltanto dal cilindro della storia patria il “mitico” Garibaldi; anche Cesare Battisti – a cui il regime fascista ha fatto costruire, a Trento, nel 1935, un mausoleo, per onorare il suo interventismo -, è ora utilizzato strumentalmente dai compagni: viene diffuso nel paese un volantino, riportato anche su l’Unità del 1 aprile 1948, con la foto di Battisti impiccato dagli austriaci, e una maligna didascalia che recita: “Quando lo impiccarono, Degasperi approvò”. Qualche giorno dopo, il 13 aprile, l’Unità chiede: “von Gasperi è italiano?”. Nello stesso tempo si solidarizza con i paesi comunisti, Jugoslavia e Urss, che non intendono restituire Trieste all’Italia.