Lo spazio è la nuova frontiera della concorrenza tra i paesi, Italia in primis
02 Novembre 2011
In mezzo al marasma della nuova finanza globale, pare siano rimasti alcuni settori industriali su cui puntare forte per uscire da questa crisi. Si tratta di tutti quei settori che sono ad alto contenuto tecnologico e quindi (per ora) virtualmente inattaccabili dalla concorrenza generalista dei cinesi o degli indiani. Il settore spaziale, in particolare, è una sorta di nuova frontiera della concorrenza tra i paesi tecnologicamente più avanzati, che si daranno inevitabilmente battaglia per ottenerne il controllo strategico. L’Italia si trova in una posizione tutto sommato privilegiata in tale ambito, dato il suo notevole bagaglio culturale, scientifico e tecnologico.
Il testo recentemente pubblicato da Passigli editori e curato dai ricercatori dell’Università la Sapienza di Roma e dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), intitolato “Spazio, Scenari di competizione” è di conseguenza uno strumento indispensabile per interpretare e decifrare il contesto in cui si muove la nuova realtà multipolare delle relazioni internazionali: quello spaziale. Si tratta di una raccolta di saggi accademici che coprono i vari aspetti della vicenda spaziale arricchita da una premessa del Presidente dell’ASI, Enrico Saggese secondo cui questo libro serve a “colmare una lacuna…proponendo con chiarezza i termini dei problemi che vanno risolti con urgenza e individuando senza ambiguità la posta in gioco”. Già perché la gestione dello spazio ha presentato (e presenta tutt’oggi) una serie di problemi strategici non indifferente. Pensate alla Guerra Fredda e a come le conquiste spaziali, prima russe e poi americane, abbiano scandito il suo svolgersi. Pensate all’eccitazione che si creò intorno al lancio del primo satellite sovietico, lo Sputnik, nel 1957 e a come questo fece pendere la bilancia del consenso mondiale verso la Russia sovietica, almeno fino a che gli americani capirono che lo spazio era veramente “l’ultima frontiera” e cominciarono anche loro a mandare in orbita satelliti e razzi vari (interessante, in questo senso, il saggio del professor Daniel Pommier Vincelli). Per dirla con Antonello Biagini, insomma, “ritenere che lo spazio costituisca una res communis rivela, nella migliore delle ipotesi, una pericolosa ingenuità. Lo spazio è solo un nuovo ambito in cui si proiettano e si continuano le contrapposizioni della terra”.
Non bisogna illudersi, d’altronde, neanche sul fatto che lo spazio sia un luogo di conquista pacifica. Soprattutto ora che il controllo satellitare militare è una realtà imprescindibile (la Guerra del Golfo fu il primo conflitto in cui i satelliti giocarono un ruolo strategico di primo piano). Nasce da qui l’esigenza, per noi europei, di prendere una volta per tutte coscienza del nostro ruolo nel mondo, senza ipocrisia. Secondo Biagini, in questa nuova epoca spaziale, l’Europa non può più permettersi di “trincerarsi dietro un antistorico e asimmetrico ripudio della guerra, confidando nella buona volontà e capacità di intervento di terzi” anche perché “ostinarsi nel volersi presentare come ‘potenza civile’ – confidando nella potenza militare dell’alleato USA – non è solo un’ipocrisia, ma un errore grave che porta ad ignorare” lo scenario strategico in cui l’Europa è immersa fino al collo. Il controllo dello spazio permette anche di manipolare il fattore tempo. Infatti, lungi dall’essere un luogo pacifico, l’elemento spaziale ha ormai del tutto sostituito quello geografico in campo bellico: se prima dell’avvento dello Sputnik, il controllo del territorio permetteva di controllare anche l’esito di un conflitto, dopo il 1957 il tempo ha di fatto sostituito lo spazio geografico come fattore strategico dominante. Di conseguenza, una nazione che sia portata a trascurare questo elemento, dovrà necessariamente assumere un rango strategico-militare inferiore a quelle che non l’hanno trascurato (ricordate i fichi freschi di Catone, venuti da Cartagine durante la terza guerra punica?).
L’Italia nello scenario spaziale non si trova, per una volta, in condizioni di arretratezza, anzi. Il nostro settore spaziale può dirsi per certi versi all’avanguardia. Italiani sono molti dei componenti ad altro contenuto tecnologico che hanno equipaggiato le varie missioni spaziali degli ultimi vent’anni. D’altronde il nostro, come ci ricorda Andrea Carteny, è stato il terzo paese in ordine di tempo capace di mandare un satellite nello spazio: il San Marco I, nel 1964. Del “progetto San Marco”, messo in piedi per fare in modo che il nostro paese diventasse una potenza spaziale autonoma in collaborazione con gli USA, facevano parte sia il CNR, sia La Sapienza di Roma che collaborarono ai lanci Italo-americani dalla piattaforma di lancio keniota di Malindi. In Kenya esiste anche un centro per la raccolta e l’elaborazione dei dati che è stato recentemente dedicato alla memoria di uno dei più importanti ingegneri aerospaziali italiani, Luigi Broglio, tra l’altro fondatore della scuola di Ingegneria Aerospaziale de La Sapienza. E Italiani sono anche due degli astronauti presenti all’interno della Stazione Spaziale Internazionale: Paolo Nespoli e Roberto Vittori (seguiteli o fategli domande online: http://www.asi.it/it/eventi/convegni/paolo_nespoli_e_roberto_vittori_on_air).
Sempre a proposito di tecnologia, un altro saggio molto interessante contenuto in questo libro, è quello di Mariano Bizzarri e Mario Cosmo su “la tecnologia duale e lo spazio”. Si tratta di un compendio indispensabile per entrare in confidenza con il gergo dell’ingegneria spaziale che di contro, però, diventa anche linguaggio comune in tema di relazioni internazionali. Così si apprende che il termine “tecnologia duale” indica il fatto che un dato oggetto possa essere utilizzato sia in campo civile, sia militare. Chiaro è che le tecnologie cosiddette “dual-use” e la loro libera circolazione andrebbero tenute sotto controllo. Oppure s’impara a distinguere tra la militarizzazione (militarization) o l’armamento (weaponization) dello spazio. La prima sta già avvenendo da qualche tempo e riguarda lo sfruttamento dell’outer space per fini bellici, come per esempio è avvenuto durante la prima Guerra del Golfo, mentre la seconda non è ancora una realtà e riguarda lo schieramento nello spazio di armamenti veri e propri. In questo contesto si raccomando anche la lettura del saggio di Walter Villadei sull’utilizzo militare dello spazio.
Semplicemente imprescindibile, invece, per chiunque abbia interesse a inquadrare il problema spaziale da un punto di vista più strettamente Europeo, il saggio di Marcello Ricottilli sulla politica di difesa e dello spazio dell’Unione Europea. La stessa commissione Europea aveva individuato lo spazio come settore strategico importantissimo non più tardi del 2007, in una comunicazione al Parlamento Europeo in cui si definiscono le attività spaziali come fondamentali ai fini della sicurezza dei cittadini Europei: “la Commissione ha individuato nella sicurezza dei cittadini UE uno dei tre principali obbiettivi del proprio programma di lavoro. Per affrontare le suddette sfide in continua evoluzione, occorre una miscela di soluzioni civili e militari, e in questo contesto le attività spaziali possono apportare un contributo significativo”.
Tirando le somme, possiamo senz’altro affermare che “Spazio. Scenari di Competizione” (a cura di Antonello Biagini e Mariano Bizzarri) è un testo sì accademico e per certi versi anche specializzato, ma che allo stesso non può e non deve mancare nella libreria di chiunque abbia interesse ad approfondire temi di politica sia internazionale, sia interna, visto che oramai possiamo considerare lo spazio come parte integrante del nostro vivere quotidiano.