
Lo spettro delle urne getta il Pd nello scompiglio

01 Febbraio 2008
La
disfida sui pesi e contrappesi da applicare ai poteri del segretario del
Partito Democratico continua ad animare, in maniera più o meno sotterranea, gli
ultimi scampoli della legislatura. La gerarchia dei poteri, al momento è
cristallizzata e ferma alla fotografia scattata nell’ottobre scorso. Gli unici
organi riconosciuti ufficialmente sono l’assemblea eletta con le primarie, il
segretario e il presidente dell’assemblea. Insomma, per farla breve, ogni
decisione viene assunta solamente da Veltroni.
Fino
a qualche settimana fa lo strapotere veltroniano veniva vissuto come un
accidente momentaneo dal resto del partito. Ora, nell’imminenza delle elezioni,
la temperatura sta salendo. E la domanda inizia a circolare con sempre maggiore
forza: chi deciderà le candidature nel Pd se si andrà subito al voto, mentre il
partito è ancora privo di organismi eletti (tranne il segretario) e non sono
stati ancora delineati e chiariti i rapporti di forza interni? Veltroni sarà il
referente unico o anche altri potranno avere diritto di parola?
Gli
ex diellini, fedelissimi del presidente del Senato Franco Marini e gli ex
diessini, legati al ministro degli Esteri Massimo D’Alema puntavano al
congresso del Pd nella primavera del 2008, al fine di riequilibrare lo strapotere
del sindaco di Roma. Ma anche per andare alla conta: contro i veltroniani
schierati sulla linea del partito leggero (o “liquido”, senza tessere e
strutture) erano pronti a dire la loro dalemiani, fassiniani e popolari,
schierati a difesa del partito solido o “pesante”. Già prima che la contingenza
politica – ovvero la caduta del governo Prodi – entrasse con forza nel
dibattito, insomma, la partita era aperta e infuocata, con malumori diffusi per
l’intenzione veltroniana di convocare il primo congresso non prima del 2009. Lo
statuto in via di compilazione prevede infatti l’elezione del segretario ogni due
anni e mezzo con le primarie. I candidati verrebbero selezionati attraverso un
congresso vero e proprio che proporrebbe ai cittadini le personalità che hanno
superato una determinata soglia di consensi. Quindi, avendo fatto le primarie
lo scorso 14 ottobre, il prossimo congresso si dovrebbe tenere nel 2009.
Tempi
lunghi, insomma, ma accettabili senza lo spettro delle elezioni. Ora tutto è
precipitato. E la questione è diventata se
tenere o meno delle primarie per scegliere i candidati di Camera e Senato,
specie se si andrà a votare con il “porcellum” e le liste bloccate. Nelle
scorse settimane il tema era stato sollevato dai Ds e dai Popolari che, con
Maurizio Migliavacca e Nico Oliverio, avevano proposto una norma dello statuto
che prevedesse le primarie tra gli iscritti al partito per scegliere i
candidati nei collegi. I veltroniani avevano sollevato precise obiezioni,
interpretate da alcuni come segno dell’intenzione del segretario di mantenere
in capo a sè tutti i poteri di scelta. In particolare Dario Franceschini, nella
riunione della commissione del 18 gennaio, aveva spiegato i motivi delle
resistenze alle primarie di collegio: «Se vogliamo candidare Umberto Eco –
osservò allora – che facciamo? Lo sottoponiamo a primarie?». Dentro il partito,
però, il “reparto arrabbiati” si va allargando. Tra questi ci sono, ad esempio,
gli esponenti dell’area vicina a Enrico Letta. «Noi – spiegava all’Ansa, Francesco
Sanna – siamo per la formula primarie senza se e senza ma. Se si vota con le
liste bloccate o i collegi uninominali, i candidati vengano scelti con
primarie, in cui possano correre il maggior numero di persone (per esempio
basterebbe raccogliere un certo numero di firme)». Su questa linea sono anche
gli esponenti dell’area Bindi-Parisi: «Un parito nato nei gazebo, non può
rinunciare alle primarie per i candidati».
Veltroni
pare sia disponibile a una mediazione. E i suoi fedelissimi fanno notare che la
convocazione della cosiddetta unità di crisi, che comprende tutti i leader del
Pd, nelle ore immediatamente successive alla caduta del governo, non era
prevista da nessuna parte ma comunque si è riunita. Ma con il precipitare della
situazione politica una certezza si va facendo strada: se si vota a giugno allora
ci sarà il tempo per le primarie; se invece le urne saranno aperte ad aprile
(eventualità molto più probabile) allora le primarie saranno quasi impossibili.
Ma in qualche modo dovrà passare almeno il principio della “consultazione
allargata” anche ai segretari regionali. Una maniera per tenere in qualche modo in
considerazione i rapporti di forza dentro il partito. E rassicurare i
dalemian-mariniani sempre più sul piede di guerra.