Lo spread alle stelle ci dimostra che Monti non è Mago Merlino e il Cav. non è Belzebù

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Lo spread alle stelle ci dimostra che Monti non è Mago Merlino e il Cav. non è Belzebù

29 Dicembre 2011

Diciamo la verità, al di là delle simpatie e delle idee che ognuno può avere su questo e sul passato governo, tutto ruota intorno a una sola questione: il debito. Si potrebbe discutere molto su come si è creato e chi ha contribuito di più a gonfiarlo, oltre il limite di sicurezza, ma ormai c’è. E l’imperativo categorico è abbatterlo. Ci avevano detto che con il passo indietro di Berlusconi e il conseguente avvento di Mario Monti lo spread, ormai divenuto a tutti familiare, sarebbe crollato di 150-200, alcuni si spingevano a dire 300 punti. Purtroppo abbiamo capito che Monti non è Mago Merlino e che Berlusconi non è Belzebù.

Peraltro, in attesa di poter giudicare la cosiddetta fase 2 del nuovo esecutivo dedicata alla crescita, possiamo dire che a concepire una manovra siffatta, come già osservato da più parti, ci voleva ben poco. A metter nuove tasse e ad alzare sigarette, benzina, Iva e quant’altro son veramente buoni tutti. Con un unico risultato: deprimere i consumi (i numeri per Natale sono emblematici: i peggiori degli ultimi dieci anni!) e indurre ancor più di prima al sommerso e alla fuga dalla fiscalità tartassante, con la conseguenza di dover inseguire gli evasori (sui quali andrebbe fatta una distinzione netta tra coloro che lo fanno per reale necessità e quelli che lo fanno per criminale avidità), tra un po’ anche nelle camere da letto. L’altro risultato per ora è il ritorno degli spalloni. Per chi fosse più giovane e meno informato son quelli che porta(va)no valori e contanti in Svizzera. Si chieda alla polizia sul confine per credere.

Tutto questo per cosa? Per pagare i pesantissimi interessi sui Btp schizzati in pochi mesi di 4-5 punti percentuali. Certo, ieri l’asta dei Bot è andata bene, ma è solo un brodino e i mercati, leggi investitori-speculatori, lo sanno. Il problema è sempre lo stesso: c’è una porzione troppo grande di debito in balìa della volubilità e della speculazione dei “mercati”. E anche il risultato di oggi sui biennali e i decennali non influirà più di tanto. Tant’è che il differenziale, o meglio il famigerato spread, ha sfondato nuovamente i 500 punti base.

La realtà è che la partita si gioca nel 2012, nel corso del quale il Tesoro dovrà collocare ben 400 miliardi dei 1900 miliardi di euro di debito. Su questa consistente fetta del nostro debito pubblico si gioca il futuro del Paese e, probabilmente, dell’euro. E allora se la posta in gioco è così alta, può la politica ritrarsi dal giocare un ruolo decisivo negli orientamenti dell’Esecutivo? No non può. Ma quale potrebbe essere una risposta politicamente qualificante? Noi pensiamo che si debba porre agli italiani la questione in termini chiari. Quelli italiani che, stando alle statistiche della Banca d’Italia, sono i cittadini più ricchi e meno indebitati del panorama Ocse, vanno messi davanti a una secca alternativa: o continuare a subire tasse e balzelli che continueranno a deprimere la crescita – rendendo necessari ulteriori manovre – in una spirale nella quale si andrà lentamente verso il baratro. Con l’aggravante di pagare interessi a chissà chi e chissà dove nel globo.

O, al contrario, comprarsi 3-400 miliardi di debito, riequilibrando così quel dato strutturale paradossale: tra i maggiori debiti pubblici e contemporaneamente tra i minori debiti privati dell’orbe terracqueo, con un patrimonio pubblico e privato incredibilmente ingente. Chi ha una visione collettivistica propone il prelievo forzoso, o la patrimoniale. Ma, al di là delle evidenti riserve su una misura di questo tipo, siamo alle solite: sarebbero risorse bruciate sull’altare della finanza globale, senza alcun vantaggio per l’economia italiana e grande vantaggio per qualche finanziere di vattelapesca. E allora, quale miglior sistema può esserci che incitare un investimento di una piccola parte di patrimonio privato sulla finanza pubblica? Si tratterebbe solo, stando alle statistiche che parlano di 8000 miliardi, del 5%, poca roba insomma. Se si accordasse un tasso vantaggioso per lo Stato e non penalizzante per gli investitori, diciamo indicativamente il 3%, allora si che lo spread crollerebbe di colpo. Con la conseguenza di liberare risorse statali, risparmiate sugli interessi, per investimenti seri sulla crescita. Per ora si è visto solo qualche meritevole tentativo fatto in casa: Btp day et similia. E’ giunto il momento che tutto ciò sia oggetto di una proposta politica organizzata e non lasciato alla volenterosa iniziativa dei singoli. Forse le banche non saranno così contente.

Come non sarebbero contente dell’alienazione del patrimonio immobiliare pubblico. Talmente ingente da provocare uno shock ai valori del mercato. E così i nostri istituti di credito, soprattutto alcuni, vedrebbero abbattersi il valore dei loro immobili. Ma fino a prova contraria i partiti, il Pdl per esempio, dovrebbero fare gli interessi dei cittadini, o no? O vogliamo continuare a sostenere buoni buoni il governo di garanzia (delle banche)?