Lo stato islamico di Gerusalemme
15 Ottobre 2016
Con una risoluzione balzana, l’agenzia culturale delle nazioni unite, l’Unesco, ha cancellato le radici ebraico-cristiane di Gerusalemme. Il Monte del Tempio, luogo sacro all’ebraismo, diventa unicamente “Al Aqsa”, la spianata delle moschee. E’ un colpo basso sferrato al già pericolante principio “due popoli due stati”, una decisione che danneggia le prospettive di pace tra Israele e palestinesi. Di stato, a quanto pare, ne resta solo uno: quello islamico.
La risoluzione è stata votata da 24 paesi, 6 contrari, 26 gli astenuti tra cui l’Italia. La Casa Bianca e i leader israeliani hanno condannato il testo, Washington l’ha giudicata una mossa “di parte”, ricordando che l’Unesco non è nuova a sortite del genere. Gli Usa fanno sapere che continueranno a opporsi “a un uso politicizzato di questi meeting della organizzazione”. Israele invece ha deciso di andarsene.
La direttrice dell’Unesco ha cercato di spegnere l’incendio, dicendo che “l’eredità di Gerusalemme è indivisibile, e ognuna delle sue comunità ha diritto al riconoscimento esplicito della sua storia e il suo rapporto con la città”, ma al di là delle frasi fatte ormai sappiamo da tempo che le Nazioni Unite hanno un atteggiamento punitivo nei confronti di Israele, alimentando come in questo caso la tensione in uno dei luoghi storici del conflitto israelo-palestinese, ma soprattutto “fornendo supporto al terrorismo islamico”, come ha detto il ministro dell’istruzione israeliano Bennett.
Venerdì un attacco di Isis nel Sinai ha fatto dodici vittime tra i soldati egiziani, ferendone altri sei. L’Egitto denuncia legami tra Isis e i palestinesi di Hamas: gli islamisti collaborano al confine tra Gaza e Sinai, scambiandosi armi e facendo contrabbando attraverso i tunnel costruiti a Gaza. Sempre secondo fonti egiziane, Hamas provvede a fornire “decine di migliaia di dollari” al mese all’Isis nel Sinai, oltre ad addestrare i combattenti del Califfato nel costruire e piazzare ordigni esplosivi improvvisati (IEDs) e ad usare batterie antimissile.
Gli “ufficiali” delle due gruppi terroristi si incontrano abitualmente sul confine. Almeno uno dei capibastone di Hamas sarebbe stato eliminato in uno scontro tra militari egiziani e Isis. L’intelligence definisce quella tra jihadisti e palestinesi della Striscia una “stretta collaborazione”. Dall’ottobre di un anno fa l’Intifada dei coltelli insanguina Israele, diretta contro i civili, con morti e feriti.
A quanto pare il terrorismo che si alimenta della ormai decennale questione palestinese, destabilizzando tutta l’area, per l’Unesco non è un problema culturale. Per l’Unesco, Israele ha “invaso la spianata delle Moschee”. Non c’è molto altro da aggiungere dopo aver letto frasi come questa.
L’Italia. Nel marzo del 2015, stesso governo, stesso ministro degli esteri, grazie a una mozione delle forze di centrodestra in maggioranza, il nostro paese legò il riconoscimento dello Stato di Palestina a una soluzione negoziale e condivisa, diversa da quella sponsorizzata dall’Onu, appiattita sulla visione unilaterale dei palestinesi, altra mossa che non ha aiutato il processo di pace.
Stavolta però il nostro governo si è comportato male, molto male, schierandosi con il vasto fronte dei “non allineati”, astenendosi, un “ni” che la dice lunga anche sul peso rimasto alla componente di centrodestra nella maggioranza che sostiene Renzi quando c’è da far valere le proprie ragioni. Sui temi di politica estera, ormai ondeggiamo come l’albero di una nave in tempesta.