Lo stop dei mercati è un segnale al Cav: tradurre gli intenti in atti
31 Ottobre 2011
Col timbro dell’Europa sulla lettera-manifesto Berlusconi è riuscito a ribaltare il tavolo al quale in tanti fuori dalla maggioranza e qualcuno dentro, stanno tentando da mesi di segare le gambe. Il timbro doc di Bruxelles ha anche un effetto governativo: spezzare il refrain tremontian-rigorista del ‘niente che non sia a costo zero’ ridimensionando il peso del superministro che oltretutto si è sfilato dal documento sulla crescita portato in Europa dal Cav. e per questo si è tirato addosso nuovi strali dal centrodestra.
Nella maggioranza, l’effetto è stato depotenziare la fronda pidiellina anti-tremontiana che da mesi chiede misure per la crescita. Ora quelle stesse misure sono nero su bianco e a quelle misure Berlusconi e il suo esecutivo devono stare. Eppure quella che fino a pochi giorni fa appariva come una strada complicata (sempre con l’incognita dell’incidente parlamentare) ma comunque percorribile, da ieri è diventata accidentata perché i mercati hanno dimostrato di non credere alla lettera del Cav. e neppure al sì dell’Europa nei confronti dell’Italia.
Un lunedì da bollino rosso con lo spread tra titoli italiani e bund tedeschi che supera la soglia psicologica dei 400 punti arrivando a quota 410; Milano chiude col segno in meno e registra la peggiore performance a livello europeo. Che vuol dire? Alla fine saranno i mercati a staccare la spina? Interrogativi ai quali solo parzialmente è possibile provare a dare risposte, visto che in tempi di crisi e crisi di questa portata, è difficile fare previsioni a medio termine. Meglio navigare a vista e guardare un faccia un giorno alla volta.
Un motivo che evidentemente spinge i mercati ad essere scettici sugli impegni assunti dall’Italia sta nei ritardi che il governo sconta prima di arrivare alla lettera-manifesto. Sono passati buoni buoni due mesi di discussioni, veti incrociati, ‘ni’ che in qualche modo hanno imbalsamato ciò che il governo aveva annunciato ad agosto, subito dopo la manovra (versione quattro) lacrime e sangue. E’ anche per questo che il Cav. è stato costretto a indicare in quella lettera un timing serrato con date e tempi certi di realizzazione per trasformare in atti gli impegni. E il fatto che nonostante l’iniezione della Bce di titoli italiani acquistati, i mercati reagiscono con diffidenza è lo scoglio che il premier deve superare, anche qui con atti diretti e fermi.
Non a caso i rumors di palazzo accreditano la tesi del ricorso alla decretazione per accelerare la road map parlamentare evitando di incappare nelle forche caudine degli scontenti di turni (fuori e dentro la maggioranza) o degli oppositori a prescindere. L’opposizione, appunto che pure ieri è rimasta appesa a disegni e geometrie sul se sia meglio un governo istituzionale, di responsabilità nazionale, di larghe intese e quant’altro; non facendo i conti ancora una volta con l’unico conto che c’è da fare: i numeri della maggioranza alla Camera.
La Lega sembra essere rientrata nei ranghi dopo le minacce di sfasciare tutto sulle pensioni e dunque adesso ha l’interesse a stare allineata con l’alleato del Pdl per incassare la madre di tutte le riforme: il federalismo che tra febbraio e marzo dovrebbe essere completato definitivamente. Gli ex Responsabili (oggi Popolo e Territorio) non danno segni di particolare insofferenza e su un paio di deputati più malpancisti ieri garantiva il capogruppo Silvano Moffa. Gli scajoliani, seppure in movimento costante, non dovrebbero tirare brutti scherzi, anche perché il loro leader punta a rientrare dalla porta principale di Palazzo Chigi dalla quale era stato costretto ad uscire un anno fa; o in alternativa mira a un ruolo di peso nell’organigramma del partito, come spiegano alcuni deputati facendo notare la critica di immobilismo lanciata dal’ex ministro dello Sviluppo economico al coordinatore nazionale e ministro Ignazio La Russa. Oltre a ciò proprio Scajola seppure invocando una scossa sull’azione di governo, ha già detto e ridetto che non sarà lui a far capitolare il Cav. C’è da ritenere che se le sue richieste verranno accolte, la fronda potrebbe rientrare, soprattutto adesso che la distanza dall’altro frondista Beppe Pisanu sembra essersi ampliata.
Dunque il Cav. deve fare e fare in fretta. L’idea della decretazione e del ricorso a voti di fiducia non viene esclusa a priori e tuttavia non è così agevole da praticare visto le perplessità e i moniti più volte sollevati da Napolitano, l’ultimo dei quali proprio ieri a proposito del “sensibile scadimento del processo legislativo”, in parte dovuto “all’arbitrio dei partiti di governo”; e perché non sarà facile portare in Aula riforma del mercato del lavoro (e con essa l’articolo 18) e farla passare a colpi di fiducia, con le opposizioni e i sindacati sul piede di guerra.
C’è poi un altro fattore altrettanto importante per capire da che parte tirerà il vento nei prossimi due giorni: giovedì a Cannes il G20 dovrà potenziare il fondo salva-Stati e consolidare le misure di protezione verso quei paese considerati a rischio contagio, Italia compresa. Sarà anche interessante vedere come Tremonti e Berlusconi arriveranno a questo vertice, con quali idee e soprattutto con quale comunanza di intenti sulle modalità per rilanciare la crescita. Non è infatti passata inosservata la posizione alquanto defilata che il ministro del Tesoro ha tenuto prima, durante e dopo la stesura della lettera all’Europa nella quale molti leggono la volontà di tenersi fuori da cose difficili da tradurre in atti concreti. Non è un mistero, del resto, che Tremonti finora abbia continuato a privilegiare la linea rigorista a quella dello sviluppo considerata come una voce che tornerebbe ad intaccare la spesa pubblica.
Il suo ‘tutto dovrà essere a costo zero” è di per sé eloquente, anche se adesso l’impegno del governo italiano non è solo con gli italiani ma con l’Europa che se ha deciso di confermare la credibilità dell’Italia non può certo accontentarsi degli annunci.
Va anche detto che ieri, buona parte dell’andamento dei mercati è stato in un certo senso condizionato dal timore di un contagio della crisi del debito su tutti i titoli sovrano, quando si sono diffuse voci su piano di emergenza di Europa, Fmi e banche centrali a tutela di Spagna e Italia. Per questo i mercati hanno deciso di mantenere un atteggiamento prudente in attesa di capire cosa accadrà. Va poi aggiunto che lo stesso timore ha tenuto in pressing tutti i mercati europei con Parigi che ha chiuso a -3,16 per cento; Francoforte a -3,23 per cento e Madrid a -3,82 per cento.
Tra due giorni la Bce potrebbe optare per un taglio dei tassi oltre a decidere sugli acquisti dei titoli di Stato già a quota 174 miliardi di euro. Sarà quello il banco di prova per il neo-governatore centrale Mario Draghi e per Berlusconi che al G20 come ultimo atto da presidente del Financial stability board, la lista dei 29 istituti finanziari che in caso di difficoltà potrebbero generare danni all’intero sistema. Per il Cav. sarà il banco di prova per difendere la credibilità del paese dagli assalti degli speculatori. Stavolta non con una lettera.