Lo sviluppo sostenibile non è “woke”

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Lo sviluppo sostenibile non è “woke”

Lo sviluppo sostenibile non è “woke”

25 Agosto 2023

I Repubblicani al Congresso Usa alzano dei paletti sugli investimenti fatti dai grandi fondi azionari sulle imprese sostenibili dicendo che non è giusto discriminare le aziende non green. Il Governatore De Santis se la prende con Disney e le sue politiche arcobaleno. In UK Nigel Farage, già paladino dei Brexiters, si ribella alla banca che gli ha chiuso il conto per le sue idee politiche, scatenando un putiferio sulla libertà di espressione. Cascano un paio di teste tra i banchieri inglesi che rivolgono altrettante scuse a Farage.

Queste tre vicende spiegano perché il giornale Politico abbia titolato che la guerra contro il “capitalismo woke”, risvegliato, si sta avvicinando ai confini della Ue e diventerà uno dei temi della prossima campagna elettorale per le Europee. Il capitalismo woke è quello delle grandi aziende che abbracciano cause politiche come la tutela della diversity sui luoghi di lavoro o la sostenibilità ambientale, pensiamo a Bezos che ha donato miliardi per la lotta ai cambiamenti climatici. Così lo scontro tra istituzioni finanziarie e mondo politico si riaccende.

L’AfD tedesca plaude al coraggio di Davide Farage contro Golia (le grandi banche). Tanto da spingere qualcuno a fare il seguente ragionamento: visto che la battaglia sulla “invasione degli immigrati in Europa” sembra aver raggiunto il suo picco in chiave di marketing elettorale, con i governi sia di destra che di sinistra costretti a fare i conti con gli sbarchi, allora al variegato mondo di trumpisti, brexiters e populisti conviene reindirizzare gli strali polemici altrove.

Da qui l’assalto al capitalismo woke schierato in difesa dell’ambientalismo o della parità di genere. La ricetta alla Farage è sempre la stessa, auto-vittimismo, provocazioni e grande capacità di montare delle polemiche che però ci si chiede fino a quanto siano credibili. Perché è vero che gli eccessi del politicamente corretto hanno spinto una parte del Big business tra le braccia della profetessa Greta o degli estremisti BLM, esagerando con le rivendicazioni ambientaliste e di gender. Peccato però che a un eccesso ne corrisponde un altro.

Quello delle nuove destre europee con la fissa del grande complotto multinazionale nonché del superstato europeo che tutti ci sorveglia e controlla. La solita polarizzazione alla quale assistiamo da anni. L’assalto dei nuovi anticapitalisti però sottovaluta una cosa e cioè che non si possono buttare via battaglie come la parità di genere o lo sviluppo sostenibile con l’acqua woke. Del resto, a ben vedere, i Cda dei grandi gruppi bancari ancora non sembrano il ritratto di un gineceo. Come pure il fabbisogno energetico dipende dalle fonti fossili e in tanti Paesi il gran salto alle rinnovabili entro il 2030 sembra abbastanza complicato da fare.

Gli anti-woke ridefiniscono i confini del campo di battaglia politico, svuotando di senso questioni che però un senso ce l’hanno eccome, dall’ambiente alla sfida dei futuri modelli produttivi, passando per l’uguaglianza di opportunità tra uomini e donne sul luogo di lavoro, la gestione condivisa dei figli e delle carriere. Tutte cose sulle quali riflettere, magari togliendosi un attimo le lenti ideologiche e ragionando con realismo sul futuro europeo.