L’obiettivo di Israele è distruggere l’infrastruttura nucleare iraniana
27 Maggio 2009
Nell’ottimo rapporto del CSIS la questione di un eventuale attacco all’Iran è analizzata molto nel dettaglio. Un lavoro ben fatto che mette in luce le varie implicazioni tecniche e operative e le possibili conseguenze. Nella prima parte si analizzano le capacità del programma nucleare iraniano, mentre la seconda parte è dedicata all’analisi delle possibili opzioni in mano israeliana. Seguiremo anche noi questo filo logico entrando nel merito della questione partendo proprio dell’attuale stato del programma nucleare iraniano e chiudendo poi il tutto con un prossimo articolo dedicato alle opzioni israeliane.
Su molti organi di stampa, specializzati e non, si dice comunemente che l’Iran è molto vicino alla Bomba. Secondo gli israeliani, Teheran potrebbe avere una bomba atomica già il prossimo anno, mentre per gli americani la data più probabile è il 2013. Al di là del delle disquisizioni sulla tempistica, che ultimamente hanno raffreddato le relazioni tra USA ed Israele, la realtà è però molto diversa da come le semplificazioni giornalistiche la dipingono. L’Iran è vicino alla costruzione di un ordigno atomico, sì, ma di un ordigno rudimentale con una base di una ventina di chili di uranio. Difficilmente spendibile da un punto di vista operativo-militare. Per avere un termine di paragone la bomba di Hiroshima aveva una base di
Ma qualora Teheran dovesse realizzare un ordigno di questo tipo, come sembra che stiano facendo i nordcoreani e come hanno fatto tutti i paesi nucleari all’inizio, ci sarebbe poi l’ulteriore problema di portarlo sul bersaglio. L’Iran attualmente non può farlo. Non ha gli aerei – in quanto la sua Aeronautica non dispone di bombardieri ed anche gli stessi Su-24 dovrebbero essere equipaggiati con un ordigno di dimensioni molto minori – né tantomeno i missili. Difficile poi stabilire se l’Iran ha ottenuto i disegni per realizzare un ordigno miniaturizzato in grado di adattarsi ai propri aerei o ai missili Shahab.
Nell’ultimo rapporto dell’AIEA si parlava proprio di questo e si riportava la notizia dell’acquisizione da parte di Teheran dei disegni per la produzione di testate atomiche. Sarebbe interessante capire di cosa si tratta. Anche perché per arrivare a produrre bombe miniaturizzate, in grado di essere lanciate dai missili Shahab o dagli aerei iraniani, occorrerebbe come base il plutonio piuttosto che l’uranio arricchito. Perché è solo il primo che dà la capacità di realizzare ordigni nucleari piccoli e compatti. Altrimenti, appunto, con l’uranio arricchito ci si deve “accontentare” di bombe di grandi dimensioni che, per essere trasportate, necessitano di bombardieri strategici o di missili balistici con carichi utili notevoli (per intendersi, di missili intercontinentali). Ma i quantitativi di plutonio necessari per avviare la produzione di ordigni del genere non dovrebbero essere disponibili prima del 2015, ovvero fino a quando il reattore ad acqua pesante da 40 MW di Arak, attualmente ancora in costruzione, non sarà a regime. Per cui la minaccia iraniana non potrà assumere un’effettiva concretezza e credibilità se non ben dopo tale data.
Nel complesso l’infrastruttura nucleare iraniana si basa su quattro siti principali: l’impianto di arricchimento di Natanz, il sito di conversione dell’uranio di Isfahan, il reattore ad acqua pesante di Arak ed il reattore ad acqua leggera di Busher. Il primo è sicuramente il bersaglio più complicato da distruggere. Natanz è l’impianto dove l’esafluoride di uranio diventa uranio arricchito grazie all’opera delle centrifughe. Tutta la struttura si sviluppa su due livelli. In superficie si trovano i sei edifici che ospitano l’impianto pilota per l’arricchimento, impiegato per l’assemblaggio, la manutenzione e il test delle centrifughe. Poi ci sono i due vasti locali sotterranei, di 23.000 mq e 32.000 mq rispettivamente, capaci di alloggiare fino a 50.000 centrifughe e collocati a una profondità stimata tra gli otto e i
Per gli aerei israeliani, eventualmente, sarebbe molto più facile distruggere gli altri obiettivi che, almeno secondo quanto è dato sapere ad oggi, non si presentano, come si dice in gergo militare, particolarmente induriti. Tutto il sito di Isfahan, per esempio, copre una superficie di 15.000 mq e non ha altri stabilimenti interrati connessi come nel caso di Natanz. Ed in parte è così anche per Arak e Busher. Il complesso di Arak comprende il reattore, in fase di ultimazione, e gli adiacenti gruppi di torri, che coprono una superficie complessiva di quasi 17.000 mq, dove avviene la produzione dell’acqua pesante vera e propria. Secondo Teheran, l’impianto di Arak serve solo per la produzione di isotopi radioattivi per il trattamento medico. Nessuno gli crede, persino l’ONU e l’AIEA. Il fatto che tutto intorno al complesso ci siano dei lavori di scavo, come mostrato dalle rilevazioni satellitari, fa sospettare infatti che qui i tecnici iraniani stiano mettendo a punto anche gli impianti di riprocessazione delle barre di combustibile per ottenere così il plutonio necessario per armare una bomba. Già nei suoi primi anni di vita, il reattore di Arak potrebbe garantire la produzione di 1 o 2 bombe nucleari l’anno.
Infine, l’ultimo obiettivo è il reattore di Busher da 1000 MW per la produzione di energia elettrica. Il bersaglio sicuramente più soft e quello che dà meno problemi. C’è da notare che, secondo gli accordi stretti tra Teheran e Mosca, una volta esauste, le barre di combustibile dovrebbero essere riconsegnate alla Russia ma, nel caso ciò non avvenisse, potrebbero essere riprocessate in Iran per estrarne plutonio. In realtà, oltre al fatto che per il momento l’Iran non dispone di un impianto industriale di riprocessamento, le barre impiegate in reattori ad acqua leggera, come quello di Bushehr, non sarebbero comunque adeguate per l’estrazione di plutonio di qualità sufficiente a realizzare un ordigno nucleare affidabile (per questo l’Iran sta puntando molto su Arak ed anche l’AIEA concentra i principali sospetti sul reattore ad acqua pesante).
Per la protezione di questa infrastruttura l’Iran dispone di un’Aeronautica e di un sistema di difesa antiaerea non certamente all’altezza delle capacità d’attacco israeliane. L’Aeronautica, pur imponente nei numeri, in quanto eredità dello Scià, versa in condizioni operative tutt’altro che buone e si basa per la gran parte su aerei antiquati. Inoltre tutti i velivoli di produzione americana – F-14, F-4 ed F-5 – hanno il problema della mancanza di pezzi di ricambio nonostante l’impegno dell’industria locale a realizzare surrogati in loco e i diversi tentativi fatti per acquistarle sul mercato nero (alcuni dei quali andati a segno). La minaccia più seria per gli aerei israeliani restano allora i circa 40 MiG-29 ancora in servizio, comunque troppo poco per creare seri problemi agli F-16 e agli F-15 da superiorità aerea dell’Hel Aavir.
Anche le difese antiaeree basate a terra sono poca cosa. I sistemi, tutti quanti di produzione ex-sovietica, sono obsoleti e sono serviti da radar altrettanto vecchi che negli ultimi 20 anni sono stati sottoposti solo a limitati interventi di aggiornamento. Probabilmente questi apparati non vedrebbero nemmeno gli aerei israeliani o vedrebbero altre cose. La sola eccezione è rappresentata dal sistema a corto raggio Tor-M1 che Mosca ha venduto di recente all’Iran. Oggi tutti i 29 sistemi rientranti nell’accordo dovrebbero essere stati schierati a protezione dei bersagli più sensibili. Il Tor è un sistema moderno in grado di operare anche in un ambiente ad alta densità di disturbi elettromagnetici (il cosiddetto jamming). Un motivo di preoccupazione in più per gli israeliani. Resta il fatto che il Tor è un sistema a corto raggio le cui batterie, di conseguenza, potrebbero essere lo stesso eliminate con una certa sicurezza usando armamento di tipo stand-off (di cui gli aerei israeliani SEAD, Suppression of Enemy Air Defense, sono dotati). Altra cosa semmai è se gli iraniani iniziassero veramente a ricevere i sistemi antiaerei a lungo raggio S-300 ordinati alla Russia – le cui consegne però continuano ad essere mantenute in stand-by da Mosca per motivi politici – ed a metterli a protezione dei propri obiettivi nucleari. A quel punto veramente Israele non avrebbe altra scelta se non un attacco preventivo.