L’obiettivo politico di Di Pietro è solo uno: distruggere Berlusconi
21 Gennaio 2009
Dice Di Pietro, rispondendo al suo intervistatore in quella che curiosamente definisce la “mia autobiografia politica”, ‘Il guastafeste’ (per quanto poi aggiunga “scritta dal mio intervistatore"): “Per parlare di Berlusconi bisogna parlare dei suoi processi”.
In realtà molti pensano la stessa cosa di Di Pietro: per parlare di lui occorre parlare dei suoi processi, di quelli che ha condotto come Pm all’epoca di Mani Pulite, e che gli hanno donato un’immensa visibilità, di quelli che ha subito uscendone penalmente scagionato (come direbbe il suo fan Marco Travaglio, che aggiungerebbe però, riguardassero altri: ma non moralmente), di quelli che ha evitato nell’ambito della magistratura anticipandoli con gloriose dimissioni. E poi di scatole da scarpe piene di biglietti da centomila, e di pied-à-terre e auto di lusso in prestito, e di appartamenti, e di forzieri societari gonfi di finanziamento pubblico eccetera. E naturalmente di figlioli che si sottraggono alla patria potestà giustizialista, e del giustizialismo che retrocede per una volta ad atavico familismo.
Qui però parliamo del Di Pietro politico, quello che si vanta delle firme conquistate al Circo Massimo alla bimilionaria manifestazione del PD per il referendum contro il lodo Alfano; quello che rievoca la calda accoglienza degli studenti e degli insegnanti alla manifestazione del 30 ottobre contro la legge Gelmini; quello che sente sulla sua pelle l’incondizionata fiducia ricevuta dai lavoratori di Alitalia (cito dall’”autobiografia”), quello che tra Santoro e Annunziata sceglie di stare dalla parte di Santoro… quello che insomma è in grado di catalizzare tutte le frustrazioni, le rabbie e le paure del suo elettorato senza sentire l’obbligo di dare ad esse una forma.
Quello che, se Veltroni fosse Abu Mazen, sarebbe Haniyeh, con la piccola differenza che Veltroni la sua Hamas se la coltiva e se la coccola, e non fa cadere l’alleanza neppure quando tutti i sondaggi gli svelano quanto rovinoso sia per il Pd il lavoro ai fianchi del suo partito che Di Pietro e i suoi quotidianamente mettono in pratica.
Il Di Pietro politico in realtà è una sola cosa, un solo obiettivo, una sola ragione sociale: la distruzione politica di Berlusconi; proprio come Hamas è una sola cosa, un solo obiettivo, una sola ragione sociale: la distruzione politica di Israele. Ma Veltroni, a differenza di Abu Mazen, è succube del suo alleato.
Il problema è che anche gli elettori del Pd, agli occhi di chi guida il partito, vogliono la distruzione di Berlusconi. Vogliono tante altre cose di sinistra, certo, a differenza di chi si riconosce nell’Italia dei valori, ma sono disposti a tutto, compresa la scomparsa politica della sinistra di governo, pur di non rinunciare all’obiettivo principale. Certo, mai si troverà in un blog del Pd una frase come questa, scritta qualche settimana fa da un tal Rocco a commento del voto di fiducia sul decreto economico, e incredibilmente non cancellata dal sito di Di Pietro (dove per combinazione nel messaggio successivo si lamentano proprio ripetute cancellazioni): “Ogni giorno mi faccio sempre la stessa domanda. Ma come cazzo è che nonostante la gente ormai non sa più come fare a campare, non c’è mai nessuno che esca fuori di testa e va ad ammazzare quel porco? Fosse per me gli farei fare la stessa fine di Mussolini, se mai quel giorno arriverà, bisognerà festeggiare almeno per una settimana”.
No, chi gestisce la comunicazione del Pd, non lo pubblicherebbe mai un messaggio così minaccioso e carico d’odio. Ma cos’è allora, se non la paura di essere scomunicato dai propri elettori, che porta il Pd all’autoaffondamento nella commissione di vigilanza sulla Rai per difendere contro ogni logica una candidatura impossibile voluta da Di Pietro? Che cos’è, se non la paura di essere svergognato davanti ai propri elettori, che porta il Pd a sostenere la candidatura suicida di un dipietrista a governatore dell’Abruzzo, dopo aver abbandonato l’ ”ex-socialista” sì, ma esponente del partito veltroniano, Del Turco nelle fiamme di un’inchiesta giudiziaria pompata senza scrupolo dai massmedia e che si è rivelata quanto meno traballante?
Ora, con un partito che secondo il sondaggio Ispo-Corriere della Sera di qualche giorno fa, si è ridotto a un misero 23,4 per cento dei consensi, dieci punti in meno rispetto alle elezioni del 2008, contro una IDV che raddoppia i consensi fino all’8,8% , riprenderanno forza, è possibile, i moderati del Pd. Come Francesco Rutelli che sul Corriere accusa Di Pietro di aver “usato il profilo monocratico del suo partito per metterci in difficoltà” e dice che “oggi noi possiamo difenderci da questo attacco”. Parole intense, che si accompagnano però all’ennesima invocazione al segretario perché “faccia il leader”, si liberi “dal gioco politico” di Di Pietro e rilanci una politica di opposizione fatta di progetti e cose concrete. Può bastare? C’è da dubitarne, quando ormai un gioco politico è divenuto, per ragioni che appartengono alla storia degli eredi del Pci, un “giogo” psicologico e culturale.