L’obiettivo: riformare il porcellum per risuscitare i centristi e far fuori il Cav.

Banner Occidentale
Banner Occidentale
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

L’obiettivo: riformare il porcellum per risuscitare i centristi e far fuori il Cav.

25 Ottobre 2010

Da qualche mese, nel dibattito pubblico, si è ripresentato un vecchio tormentone; si è tornati a parlare, e con sempre maggiore insistenza, della necessità di una modifica della legge elettorale. Questa ripresa della discussione ci sembra un cattivo segno. Mascherata sotto l’esigenza di migliorare la normativa esistente (a dire il vero tutt’altro che esaltante), la volontà di riforma appare uno dei tanti sintomi di restaurazione centrista che ci arrivano dai palazzi romani.

Per capire come questi non siano i cattivi pensieri di un cittadino deluso, basta richiamare un piccolo dettaglio rivelatore. Qualche settimana addietro, un pomposo appello per la riforma elettorale, esortava ad abbandonare il sistema attuale per passare al collegio uninominale ovvero al sistema tedesco. Una simile affermazione (dove si equiparano con superficialità due opzioni diversissime e fra loro incompatibili), può essere il frutto o di una forte confusione mentale o di una profonda malafede, ma certo non rassicura sullo spirito con cui la riforma della legge elettorale viene propugnata.

Peraltro, quando si parla di sistemi elettorali l’equivoco è molto facile. Per definire un modo di elezione non basta indicare genericamente la formula matematica che si adopera per trasformare i voti in seggi, ma occorre definire anche altri aspetti come la grandezza dei collegi o il numero di seggi da assegnare in ogni circoscrizione. Semmai, un indicatore più preciso è quello che tiene conto della soglia di accesso al riparto dei seggi. Facendo ricorso a questo parametro è possibile capire facilmente che effetto potrà avere una determinata legge elettorale. Per intenderlo basta fare qualche esempio. Il voto singolo trasferibile, il sistema di scrutinio che si adopera nella Repubblica Irlandese e che viene classificato come sistema proporzionale, ha una soglia di accesso che si colloca tra il 15 ed il 18 per cento. In Spagna, dove anche vige un sistema formalmente proporzionale, poiché nella gran parte dei collegi eleggono tre deputati, la soglia di accesso risulta sufficientemente elevata, attestandosi attorno al 10 o 11 per cento.

In sostanza, il maggior difetto del cosiddetto "Porcellum" è quello di non fissare una soglia di accesso abbastanza elevata. Se si evitano apparentamenti fra le liste, la soglia è del quattro per cento, per la camera dei deputati, mentre per il senato arriva all’otto. Livelli appena appena sufficienti per evitare una proliferazione incontrollata di partitelli parassitari. Basti ricordare che, grazie a questa misera barriera, alle ultime elezioni si è raggiunto un risultato storico, per la prima volta dal 1946, non sono presenti in parlamento formazioni che si richiamano al comunismo. In sostanza, se si dovesse modificare la legge vigente la prima cosa da fare sarebbe di aumentare queste soglie. Anche un piccolo rialzo avrebbe un effetto salutare.

Di tutto questo, però, nei richiami accorati alla riforma elettorale non c’è traccia. Si denuncia, invece, che il Porcellum coarta le scelte dell’elettore perché non consente di esprimere preferenze. Dimenticando che il voto preferenziale, foriero di corruzione e di cannibalismo di lista, era una delle piaghe della prima repubblica.

Per intendere quanto sia strumentale questo martellamento sulla legge elettorale basta pensare all’accoglienza ricevuta dalla proposta presentata dal senatore Ceccanti (Pd), sponsorizzata recentemente da Angelo Panebianco. Il progetto di legge prevede il cosiddetto voto alternativo o sistema australiano. In collegi uninominali l’elettore può esprimere due voti. Se nessuno dei candidati ottiene la maggioranza relativa, viene eletto il candidato che ha raccolto il maggior numero di primi e secondi voti. In questo modo si salvaguarda la possibilità di scelta dell’elettore, ma al contempo si penalizzano, in modo meno cruento che con le soglie di esclusione, i partiti estremi. Candidati e partiti estremi, infatti, non sono in grado di attrarre un numero sufficiente di seconde opzioni.

Personalmente la proposta mi appare ottima, perché combatte la frammentazione partitica e favorisce i partiti e i candidati moderati. Pure, non mi sembra che nelle perorazioni che sentiamo venire dal centro e dalla sinistra dello schieramento politico il voto alternativo sia diventato una bandiera da sventolare con entusiasmo.