L’Occidentale aderisce al Comitato per il no ai referendum sulla “privatizzazione” dell’acqua
22 Luglio 2010
di redazione
L’Occidentale aderisce al Comitato per il no ai referendum sulla “privatizzazione” dell’acqua. Piercamillo Falasca e Carlo Stagnaro, due dei promotori dell’iniziativa, spiegano in poche righe il significato del decreto Ronchi e di una campagna pilotata e strumentale che è riuscita a raccogliere un milione e quattrocentomila firme. Vi invitiamo a partecipare al dibattito commentando quella che ai nostri occhi appare come una riforma essenziale, che risponde prima di tutto alla richiesta di efficienza da parte dei cittadini.
“E’ la classica battaglia del buonsenso contro il populismo e l’ideologia. Se avessero spiegato ai firmatari dei quesiti che stavano firmando contro il principio della gara pubblica per l’affidamento dei servizi idrici, in favore della gestione da parte della Casta, moltissimi avrebbero cambiato idea. Nessuno ha mai messo in discussione la proprietà pubblica della risorsa idrica: i firmatari si scagliano contro la ‘privatizzazione’, in realtà la loro è una guerra ideologica al mercato, alla concorrenza, all’idea democratica del “chi consuma paga”. Spero però che il dibattito referendario possa servire per informare i cittadini delle vere questioni aperte: la gestione pubblica spreca più del 30% di acqua, intere regioni sono afflitte da carenze strutturali, le reti fognarie sono carenti. Mancano all’appello almeno 60 miliardi di investimenti. Solo una modernizzazione del settore idrico che replichi le migliori esperienze dell’energia elettrica può portare a maggiore qualità e minori sprechi”. Piercamillo Falasca, promotore del Comitato per il no ai referendum sulla “privatizzazione” dell’acqua.
“Un milione e quattrocentomila persone sono state ingannate: gli è stato chiesto di firmare contro la ‘privatizzazione’ dell’acqua e contro gli aumenti tariffari, quando in realtà stavano firmando per consegnare alla casta il controllo delle risorse idriche. In Italia, infatti, l’acqua non è mai stata privatizzata e nessuno propone di privatizzarla: semplicemente, il nostro paese si è parzialmente allineato agli standard europei che prevedono di affidare il servizio idrico tramite gara. Solo in questo modo è possibile costruire una cornice legale e regolatoria favorevoli agli investimenti necessari in tutto il ciclo idrico, dalla captazione delle acque fino alla depurazione. L’alternativa, naturale conseguenza dell’eventuale vittoria dei sì ai referendum, è la gestione politicizzata, clientelare e sprecone che ci ha portato nell’attuale situazione in cui più di un terzo dell’acqua va sprecata e troppi comuni sono ancora privi di impianti di depurazione decenti. La normativa esistente è per molti versi inadeguata, ma occorre farle fare dei passi avanti verso una maggiore apertura al mercato, non un balzo indietro verso un passato partitocratico che nessuno rimpiange”. Carlo Stagnaro, promotore del Comitato per il no ai referendum sulla “privatizzazione” dell’acqua.