L’Occidente compie un grave errore se crede a Fatah

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L’Occidente compie un grave errore se crede a Fatah

10 Luglio 2007

di Barry Rubin

“In questo paese”, dice Edipo, un personaggio della tragedia greca,  “chi cerca troverà; chi siede con le mani in mano o dorme è un cieco”. Ma così, come la gran parte delle cose riguardanti il Medio Oriente, il cieco non siede con le mani in mano o dorme, ma detta le regole del gioco.

Troppo spesso, la mancata comprensione di quanto le cose siano bizzarre – o, per dirla in un altro modo, come sono perfettamente logiche se analizzate dal punto di vista di convinzioni e obiettivi diversi – rende impossibile capire la regione e averci a che fare.

Considerate sempre le politiche palestinesi come un esempio di questi principi. La nuova teoria vuole che Fatah, punito dalla sconfitta nella Striscia di Gaza, diventerà più moderato e ricercherà la pace. Di conseguenza, anche se niente è cambiato nel suo programma o nel suo comportamento, dovrebbe essere generosamente ricompensato in quanto protetto dell’Occidente. E questa sarebbe la presa di posizione più saggia da parte occidentale; l’alternativa peggiore sarebbe infatti appoggiare Hamas.

Ma anche la strategia pro-Fatah ignora molte cose: il continuo disinteresse nei confronti delle riforme mostrato da questa organizzazione politica, una leadership debole, l’incitamento del terrorismo anti-israeliano e la compiacenza nei suoi confronti, il nazionalismo, la corruzione, il maltrattamento della propria gente e molto altro ancora.

Aiutare Fatah a sopravvivere è probabilmente la migliore delle soluzioni, ma questo aiuto deve essere offerto solo se serve a spingere Fatah a comportarsi diversamente da Hamas, il suo fratello gemello.

Per tenere in vita un drogato è meglio costringerlo ad uscire dalla dipendenza invece di dargli del denaro per comprare altra eroina. Lo stesso vale per Fatah. Quella parte dell’opinione pubblica che si scandalizzerebbe se il mondo libero supportasse con entusiasmo e incondizionatamente i repressivi dittatori latino-americani o africani, non avrebbe problemi invece a considerare Fatah un alleato sui generis che non va pressato affinché faccia le necessarie riforme. Ricordatevi queste mie parole: la loro barca affonderà.

L’ex primo ministro britannico, Tony Blair, è considerato il leader occidentale più abile, ma ora si è messo a lavorare come portaborse di Fatah, diventandone il raccoglitore di fondi a tempo pieno. Senza dubbio i banchieri svizzeri e quanti per mestiere procurano beni di lusso ai funzionari di Fatah avranno le loro ragioni per ringraziarlo. Ciononostante, i mezzi di comunicazione palestinesi e arabi già si lamentano perché Blair è filoisraeliano e quindi un nemico. Prenderanno ugualmente i soldi, ma senza ringraziare.

I palestinesi, anche dopo cinquant’anni di sconfitte dovute a strategie e tattiche estremiste, non hanno ancora capito che la pace e la moderazione rappresentano l’unica via d’uscita e preferiscono imboccare strade alternative. Ad esempio, come risulta da un recente sondaggio Pew, quella palestinese è la sola popolazione al mondo a essere a favore di un Iran nucleare. Dovrebbero stare attenti. Data la loro fortuna, se l’Iran lanciasse una testata nucleare contro Israele potrebbe atterrare nel mezzo della Cisgiordania o della Striscia di Gaza.

Ma di alternative ce ne sono anche altre. Fais Hamdan, trentaquattrenne tagliapietre di un villaggio vicino Nablus, ha dimostrato di comprendere la situazione molto più dei raffinati politici occidentali. A un reporter americano ha riferito che se Hamas vuole “far naufragare ogni accordo politico, deve solo colpire un insediamento o un altro bersaglio israeliano. Non crediate che Hamas sia così debole in Cisigiordania”. Hamdan ha ragione: Hamas sicuramente lancerà attacchi contro Israele anche dalla Cisgiordania in modo da screditare il regime di Fatah.

La risposta occidentale, allora, sarà che questa è la prova dell’assoluta necessità di sostenere Fatah. Si tratta però di un errore. La vera questione è la seguente: un governo Fatah agirà davvero contro i terroristi di Hamas, o vorrà imitare questi presunti patrioti combattendo il vero nemico? Se Fatah dovesse fermare Hamas figurerebbe agli occhi dei palestinesi come “protettore” di Israele andando incontro a una totale delegittimazione popolare. Così funzionano la politica e l’ideologia palestinese.

Se non credete ad Hamdan, chiedete a Hani al-Hassan, membro del comitato centrale di Fatah e forse l’ultimo sopravvissuto della sua leadership originale. Hassan è considerato un conservatore per la sua vicinanza politica con l’Arabia Saudita ed è stato anche, stando a un ex-agente del KGB molto attendibile, una delle spie più importanti dell’Unione Sovietica all’interno dell’OLP. Questo già dovrebbe dire molto su quelle che sono state finora le dinamiche della politica mediorientale.

Hassan ha messo in imbarazzo il capo dell’Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas, dicendo che la lotta a Gaza era tra Hamas e i traditori filoisraeliani manovrati dall’America. Simpatizzando per coloro che hanno massacrato i suoi compagni di partito, Hassan non ha fatto altro che esprimere la tipica ideologia nazionalista araba: o sei un rivoluzionario che combatte per la vittoria totale attraverso la lotta armata e l’eliminazione di Israele o non vali niente.

L’affermazione di Hassan ha un’altra implicazione assai pericolosa: Hamas sembra avere la meglio, ma Fatah vuole stare a sua volta dalla parte del vincitore. Ecco perché Israele non dovrebbe mai rilasciare Marwan Barghuti, il più importante leader di Fatah in prigione, dove sta scontando un ergastolo per aver organizzato l’intifada tra il 2000 e il 2005.  Barghuti è stato anche il principale sostenitore di un’alleanza tra Fatah e Hamas.

Per quanto riguarda gli altri alleati dell’Occidente, sono da considerare fidati? Basta guardare la condotta dei governi egiziano e saudita al summit di Sharm el Sheikh voluto dagli Stati Uniti in appoggio ad Abbas. Questi paesi dovrebbero – almeno secondo la percezione che i governi stranieri hanno dei loro interessi  – ergersi contro l’Iran, la Siria, Hezbollah e Hamas, eppure non lo fanno. Al contrario, il Cairo e Riyahd hanno sollecitato Abbas a trovare un accordo con Hamas.

Teresia, il cieco indovino, aveva capito che era lo stesso Edipo la causa delle disgrazie del regno. Quando Edipo lo consultò, nella consapevolezza di non trovarsi nelle condizioni per vincere, Teresia si lamentò: “Ahimè, ahimè, che miseria essere saggi quando la saggezza non porta profitto! Ho dimenticato questa antica massima, altrimenti non sarei qui”.

Barry Rubin è Direttore del Global Research in International Affairs Center (GLORIA), Editore del Middle East Review of International Affairs Journal (MERIA) e dei Turkish Studies.

Traduzione a cura di Andrea Holzer