L’Occidente dona e Abu Mazen incassa
19 Dicembre 2007
Le cifre sono da capogiro: 7.4 miliardi di
dollari a favore dell’Autorità Nazionale Palestinese, un’immensa colletta messa
in piedi da ottantasette paesi e organizzazioni internazionali. Il tutto finirà
nelle casse di Abu Mazen nel corso dei prossimi tre anni: questo è stato deciso
– e stanziato – lunedì a Parigi, nel corso della Conferenza internazionale dei
donatori per lo Stato palestinese.
Sarà l’aria di Annapolis, sarà che la pace con Israele appare più vicina che in
passato, fatto sta che la conferenza di lunedì passerà agli annali della storia
come la più proficua raccolta di fondi per la causa palestinese, da undici anni
a questa parte. Neppure Abu Mazen si aspettava tanto: si pensi solo che, nel
suo discorso di fronte ai paesi e alle organizzazioni giunte nella capitale
francese, il leader dell’Anp aveva chiesto un finanziamento di 5.6 miliardi.
Risultato: quasi due miliardi in più.
Ma andiamo con ordine. La conferenza di Parigi, si diceva, è stata organizzata
per raccogliere finanziamenti a favore della causa palestinese. Moltissimi i
partecipanti, dagli Stati Uniti – nella persona del segretario di Stato
Condoleezza Rice – all’Europa, rappresentata anche da esponenti dei singoli
Paesi dell’Unione. L’urgenza degli aiuti è stata ben esplicitata dallo stesso
Abu Mazen: “Senza il proseguimento di questi aiuti e senza la liquidità
necessaria per il bilancio palestinese, avremmo una catastrofe nella Striscia
di Gaza e nel West Bank”.
Insomma, stando all’Anp questi soldi sono necessari per evitare una catastrofe
economica nei territori palestinesi. Non a caso, degli oltre sette miliardi
stanziati, quattro saranno un immediato e “liquido” supporto al budget
dell’organizzazione, al fine di favorire la creazione delle istituzioni per il
futuro Stato palestinese tratteggiato a fine novembre nella tre giorni del
Maryland.
Lo stretto legame tra l’iniziativa di Annapolis e quella di Parigi è stato
messo in luce dal segretario di Stato americano Condoleezza Rice, che per mesi
ha seguito da vicino le trattative tra Olmert e Abu Mazen: se ad Annapolis si è
parlato delle questioni strettamente politiche, in primo piano a Parigi ci sono
stati i problemi strettamente economici. La conferenza, ha detto la Rice,
rappresenta “l’ultima speranza per evitare la bancarotta” dell’Autorità
Nazionale Palestinese.
Passando ai dati concreti, tra i principali donatori svetta senza dubbio
l’Unione Europea, con 650 milioni di dollari nel solo 2008. I singoli Stati
dell’Unione si sono poi impegnati in offerte personali dilazionate nell’arco di
un triennio: Francia e Svezia verseranno 300 milioni di dollari, la Gran
Bretagna mezzo miliardo, la Norvegia 420 milioni, la Spagna 360 e la Germania
200. Nel solo 2008, lo stanziamento degli Stati Uniti sarà invece pari a 555
milioni. Degno di nota, infine, è il versamento triennale di 500 milioni di
dollari da parte dell’Arabia Saudita.
Per quanto riguarda l’Italia, secondo le dichiarazioni del viceministro degli
Esteri Patrizia Sentinelli, vi sarà un’aggiunta di 80 milioni ai 108 già
programmati per il triennio 2008-2010. Il viceministro, che ha preso
direttamente parte all’evento, ha parlato di una conferenza di “grande
soddisfazione e molto partecipata”, foriera di un buon risultato in quanto “i
tanti attori internazionali hanno contribuito a dimostrare con concretezza come
è possibile trasformare in un qualcosa di reale e realizzabile le linee dettate
ad Annapolis”. I soldi italiani, nello specifico, saranno utilizzati dall’Anp
nei settori della giustizia, delle istituzioni, dell’istruzione e della sanità.
Ma l’Italia non è nuova a queste iniziative: a novembre aveva già versato
850.000 euro all’Unrwa, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il soccorso e
l’occupazione dei profughi palestinesi, e 650.000 euro alla Fao per il
sostentamento degli agricoltori della Cisgiordania.
Molto soddisfatto si è mostrato il primo ministro palestinese Salam Fayyad, che
già da marzo potrà attingere dai primi versamenti: “Vediamo la conferenza come
un importante voto di fiducia da parte della comunità internazionale”.
Un ruolo di primo piano, nella conferenza, lo ha avuto anche Israele. Il muro
israeliano in Cisgiordania e la limitazione dei movimenti da e verso la
Striscia di Gaza, infatti, sono additati dai palestinesi come la prima causa di
povertà della popolazione dei Territori. A questo proposito, a Parigi, si è
espresso anche il presidente francese Nicolas Sarkozy consigliando a Israele di
assicurare la libertà di movimento e di congelare la pratica degli
insediamenti. Solo così, ha concluso Sarkozy, per i palestinesi sarà possibile
lavorare, rilanciare l’economia e smorzare l’odio nei confronti dei vicini
israeliani. Le stesse richieste di Sarkozy sono giunte poi per bocca della
Banca Mondiale e dello stesso Abu Mazen.
Di fronte a queste richieste non si è fatta trovare impreparata Tzipi Livni,
ministro degli Esteri israeliano, secondo la quale gli israeliani “a dispetto
delle difficoltà, sono pronti ad agire in questo senso e a rispettare gli
obblighi della Road Map, inclusa la questione del congelamento degli
insediamenti”. Maggior intransigenza, però, la Livni ha esibito sulla questione
dei checkpoint (che Israele vede come irrinunciabili baluardi di sicurezza).
Niente di nuovo, verrebbe da dire: anche se quest’anno si è toccata una cifra
record, da anni i maggiori Stati mondiali versano dei soldi per salvare l’Anp
dalla bancarotta. Niente di nuovo anche perché i problemi sul tavolo restano
sempre gli stessi: ma anziché cercare di risolverli, andando alla radice, l’Anp
preferisce travestirsi da grande Organizzazione Non Governativa a caccia di
fondi per garantire la vita della sua gente.