L’Occidente dovrebbe sfruttare le divisioni tra Ahmadinejad e Khamenei
17 Febbraio 2010
Un Ahmadinejad “riformista”? Sembra una contraddizione in termini ma è questa la tesi di Jamsheed K. Choksy, professore all’Università dell’Indiana, riportata dalla rivista americana Newsweek. “Ahmadinejad non è il fanatico religioso che viene dipinto in Occidente”, sostiene Choksy, e il Presidente potrebbe modificare il suo atteggiamento bellicoso proprio grazie alla impopolarità che circonda la Guida Suprema Khamenei e l’establishment religioso. Da una parte il clero fondamentalista dall’altra i "falchi" dell’entourage presidenziale: una svolta forse inavvertita della politica interna iraniana su cui gli Stati Uniti e i loro alleati dovrebbero far leva con accortezza e preveggenza.
Ci sono parecchi segnali che vanno in questa direzione. Sembra che da un po’ di tempo Ahmadinejad e i suoi ministri non partecipino più alle riunioni del “Consiglio per la Determinazione delle Scelte”, un organo messo in piedo da Khamenei per controllare l’operato dell’esecutivo. (Proprio il Consiglio ha messo il veto su qualsiasi accordo negoziale sul nucleare.) Ma l’obiettivo di Ahmadinejad sarebbe ancora più ambizioso: modificare la forma di governo del Paese. Il capo del suo staff, Esfandiar Rahim Mashaei, ha dichiarato recentemente: “Un governo islamico non è in grado di gestire un Paese vasto e popoloso come l’Iran”, e in un discorso tenuto all’università ha aggiunto che “Dio non unifica gli esseri umani perché la nozione di Dio varia da persona a persona”. Parole grosse che ptevano costargli caro se non fosse un uomo del Presidente.
L’obiettivo di Ahmadinejad è probabilmente quello di svuotare le rivendicazioni di chi manifesta contro il governo concedendo agli iraniani una relativa liberalizzazione dei costumi. Le restrizioni imposte dai religiosi alla vita quotidiana sono troppo oppressive, tanto che il ministro della Scienza, Kamran Daneshjou, ha esortato a non recitare più i versetti del Corano durante i funerali, limitandosi a osservare un minuto di silenzio. Secondo Javad Shamaghdari, un altro consulente del governo, il velo non dovrebbe essere un indumento obbligatorio per le donne. Addirittura il capo dei Pasdaran ha dichiarato che “preservare il Governo è un aspetto più vitale delle preghiere quotidiane”.
Lo stesso Ahmadinejad ha proposto la nomina di tre donne alla guida di altrettanti ministeri, chiedendosi: “Perché mai non dovrebbero esserci donne nel governo?”. La sua consorte, intervenuta al congresso "Le donne nella scienza", ha spiegato che il sesso femminile, la conoscenza e la Scienza sono “le pietre miliari” del firmamento di Allah. Anche sulla questione del nucleare, il Presidente sembra muoversi con circospezione, da una parte alimentando i timori del clero tradizionalista che teme un’eccessiva apertura nei confronti della comunità internazionale (la occintossicazione), dall’altra minacciando Israele e il resto del mondo arabo per tenersi buoni i mullah mentre il suo piano di arricchimento dell’uranio progredisce.
Queste presunte “aperture” sono state innescate dal dissenso e dalle proteste interne, esplose lo scorso giugno con il movimento dell’Onda Verde, una spontanea protesta popolare nata dai brogli elettorali che avevano portato alla rielezione di Ahmadinejad. La Guida Suprema ha riconosciuto la vittoria del Presidente, ma con l’aggravarsi della crisi interna sono aumentate le frizioni tra Khamenei e quel mondo laico, vicino al potere militare, che si sente minacciato dai venti rivoluzionari che attraversano il Paese e ritiena l’instabilità sociale anche un prodotto del rigorismo religioso.
Solo un ingenuo può credere che questa situazione determini di per sé una evoluzione democratica del regime. Ahmadinejad è un leader totalitario, un modernista reazionario che non persegue unicamente gli obiettivi della mullocrazia perché pensa prima ai suoi interessi personali e a quelli della sua cerchia ristretta. Il futuro dell’Iran sarà quindi una lotta tripartita, fra integralisti religiosi, "presidenzialisti" e ribelli dell’Onda. I primi si battono per conservare il dominio della fede coranica nella società, i secondi per un internazionalismo più aggressivo e l’opzione nucleare, gli ultimi per la libertà e il cambiamento. L’Occidente dovrebbe sostenere i ribelli, contenere il decollo atomico dell’Iran fino a quando non sarà necessario un intervento militare, e intanto giocare sulle divisioni interne al regime per cercare di rovesciarlo dall’interno.