L’Occidente non si può fidare della Russia, la posta in gioco è troppo alta

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L’Occidente non si può fidare della Russia, la posta in gioco è troppo alta

13 Agosto 2008

Dalla guerra in Georgia si possono trarre utili insegnamenti sull’approccio della Russia alle questioni euro-asiatiche. L’Europa deve fare i conti con Mosca sui principali punti della propria agenda internazionale, dalla pacificazione dei Balcani al negoziato con l’Iran, dall’accesso via Caucaso alle risorse energetiche dell’Asia alla collocazione internazionale dell’Ucraina, e farebbe  bene a imparare le lezioni del caso georgiano per dissipare le illusioni sul Cremlino in cui si è cullata negli ultimi anni.

In primo luogo, la guerra russo-georgiana ha reso evidenti i due obiettivi di fondo della politica estera di Mosca: ristabilire l’egemonia sui paesi confinanti che facevano parte dell’Unione Sovietica, e rafforzare il controllo sulle materie prima dell’Asia centrale che finanziano lo stato russo (a partire dalle forze armate) e costituiscono un ottimo strumento di pressione  verso l’Europa. Come ai tempi dell’Urss, Mosca agisce razionalmente e coerentemente per raggiungere questi obiettivi, e non certo in risposta a segnali di amicizia o di inimicizia provenienti dall’Occidente. Chi si illudeva che ritardando l’ingresso della Georgia nella Nato si sarebbe ammorbidita la posizione del Cremlino in Caucaso è stato ripagato con l’avanzata dei carri armati russi verso Tbilisi.

In secondo luogo, la Russia ha confermato l’indifferenza sovietica verso il diritto internazionale e le Nazioni Unite, considerati solo come una foglia di fico per ammantare di legalità il fatto compiuto e i rapporti di forza messi in campo. Stati Uniti e Nato non sono certo nella posizione migliore per dare lezioni in merito dopo gli interventi militari in Iraq e Kosovo, tuttavia la deliberata aggressione di Mosca verso la Georgia non può essere equiparata a quella degli Stati Uniti verso l’Iraq, dittatura pesantemente ed esplicitamente condannata da numerose risoluzioni dell’Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Consiglio paralizzato nel caso georgiano proprio dal veto russo. Chi pensava che la Russia fosse pronta all’integrazione nella comunità occidentale ha avuto un brutto risveglio dai suoi sogni.

In terzo luogo, il Cremlino ha utilizzato in Georgia tutto il suo potenziale militare infischiandosene della proporzionalità della risposta o dei “danni collaterali” che i bombardamenti sulle città georgiane avrebbero provocato. Questi limiti all’azione bellica sono propri delle democrazie occidentali e non certo dell’autocrazia russa che, come l’Urss, conta sul controllo dell’opinione pubblica interna e sull’impermeabilità all’opinione pubblica internazionale. Chi riteneva che permettere l’arresto e la reversione della transizione democratica russa non avrebbe aumentato l’aggressività della Russia paga con il sangue georgiano la propria miopia politica.

In quarto luogo, la leadership russa ha agito in piena armonia come un’orchestra che suona uno spartito ben conosciuto, quello sovietico. In un accurato gioco delle parti, mentre Putin era in Caucaso a coordinare le operazioni militari Medvedev era a Mosca a mostrare al resto del mondo il volto diplomatico del Cremlino. Intanto la diplomazia russa, dal Ministro degli esteri all’ambasciatore all’Onu, si occupava della propaganda negando sia i bombardamenti che in quelle stesse ore uccidevano giornalisti europei sia l’avanzata dei tank russi che erano già nelle vicinanze di Tbilisi. Chi sperava che Medvedev costituisse un contrappeso e un freno rispetto a Putin ha scoperto di aver decisamente sbagliato la sua analisi.

Ovviamente, vi sono significative differenze tra l’approccio odierno della Russia alle relazioni internazionali e quello dell’Urss ai tempi della Guerra Fredda. La prima è che l’imperialismo del Cremlino ha abbandonato la maschera del comunismo, oggi inefficace, per utilizzare sul fronte interno la carta del nazionalismo, ben più allettante per i russi, e sul fronte esterno la retorica dell’autodeterminazione dei popoli e dei diritti umani, paragonando efficacemente il separatismo in Georgia al quello kosovaro. La seconda differenza è che mentre il sistema comunista sovietico era economicamente disastroso oggi l’autocrazia russa oggi sfrutta efficacemente tutti i meccanismi del mercato internazionale, a cominciare da quello dell’energia, per finanziare le sue politiche. Inoltre, grazie alla passività occidentale, nel fare ciò Mosca non paga alcun pegno per quanto riguarda aspetti come libera concorrenza internazionale, trasparenza commerciale, apertura del mercato energetico interno, ecc.

Sembra dunque che oggi l’Occidente si trovi seduto al tavolo da gioco con un player che utilizza con maestria tutte le carte che ha in mano, pescandole sia dal mazzo sovietico che da quello dell’era post Guerra Fredda. Questa mano georgiana è stata vinta dal Cremlino, che aveva tutti gli assi e li ha giocati alla perfezione di fronte al bluff di Tbilisi. Speriamo che Stati Uniti ed Europa capiscano come giocare meglio le prossime mani, perché la partita sarà lunga e la posta in palio molto alta.