“L’Occidente sanzioni gli ayatollah e aiuti chi si oppone al regime”
06 Dicembre 2011
Vedendo le immagini dell’attacco iraniano all’Ambasciata britannica è stato difficile non pensare al 4 novembre 1979, quando in Iran furono presi in ostaggio 52 membri dell’ambasciata statunitense per più di quattrocento giorni. Questa volta, però, non ci sono stati rapimenti e tutto si è risolto in poche ore. Quasi fosse un avvertimento.
Ne abbiamo parlato con Davood Karimi presidente Associazione Rifugiati Politici Iraniani residenti in Italia e leader dei Mujahedin del Popolo Iraniano, da pochi anni cancellati dalla lista delle organizzazioni terroristiche dell’Unione europea.
Il movimento in questione è stato infatti considerato per molti anni dall’Unione Europea un’organizzazione terroristica, sebbene la Corte di Giustizia Europea abbia rigettato questa definizione esprimendosi per ben tre volte contro la permanenza dell’organizzazione nella lista nera delle organizzazioni terroristiche. Solo nel gennaio 2009 i 27 Paesi, riuniti a Bruxelles, hanno deciso di cancellare i Mujaheddin del popolo, dalla lista. Il PMOI è la principale componente del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana (NCRI).
Gli ayatollah sono forse troppo deboli (tra alleati in difficoltà, sanzioni, rapporti AIEA, esplosioni di siti nevralgici) per rispondere duramente all’Occidente? Sono in grado solo di “abbaiare e non di non mordere”?
L’assalto all’Ambasciata britannica è stato un atto violento per dimostrare l’identità di un regime che non riconosce né confini né norme internazionali. Nella sua costituzione è stato specificato tutto ciò e in diverse occasioni i suoi dirigenti hanno ribadito questo concetto. Il regime dei mullah non è forte, anzi questi comportamenti aggressivi sono segnali della sua debolezza che è anche una caratteristica palese dell’Occidente che non riesce a dimostrarsi fermo e determinato di fronte al terrorismo iraniano. Un regime forte e popolare non ha bisogno di occupare le ambasciate e incendiare le bandiere straniere. Se avviene tutto ciò significa che la controparte non ha una voce unica ed è vulnerabile alla politica del ricatto del regime iraniano. Devo anche sottolineare che la politica estera iraniana è fondata sul ricatto e sul terrorismo. Dall’assalto all’Ambasciata britannica, condannata fortemente da noi e da tutto il mondo civile, bisogna capire che la politica delle sanzioni è stata un atto giusto e dovuta. Inoltre, evidenzia la veridicità dell’esistenza di un programma militare nucleare per la costruzione della bomba atomica: altrimenti il regime dei mullah poteva anche fregarsene della risoluzione dell’Aiea e delle successive sanzioni della comunità internazionale; dalla sua violenta reazione e dalle sua posizioni si può capire che siamo sulla strada per permettergli di costruire la sua bomba atomica islamica. Tuttavia, dire che “abbaia ma non morde” è sbagliato perché abbiamo di fronte ai nostri occhi le immagini di soldati stranieri uccisi dalle bombe iraniane sia in Iraq che in Afghanistan. Italiani compresi. Le sole sanzioni e azioni unilaterali che escludono la popolazione iraniana non basteranno per fermare la sua corsa verso la bomba atomica. Bisogna, infatti, coinvolgere il popolo iraniano e sostenerlo durante le manifestazioni di protesta. Bisogna adottare una serie di sanzioni severe multilaterali onde paralizzare l’economia petrolifera iraniana che è l’unica fonte di approvvi-gionamento materiale: all’incirca il 70 per cento va speso per la repressione interna, per i progetti militari e per finanziare il terrorismo internazionale per gruppi come Hezbollah, Hamas e altre schiere islamiche dell’America Latina.
Tra Ahmadinejad e Khamenei non ci sono rapporti idilliaci da tempo. A quando si può far risalire il casus belli?
A subito dopo le elezioni farsa del 2009. In quell’occasione la popolazione ha approfittato della situazione per scendere in piazza e nei giorni successivi alle proteste, nonostante la feroce repressione delle forze che dipendono dalla Sepah Passdara, la gente ha continuato a scendere in piazza e ha cominciato a scandire slogan del tipo "Morte a Khamenei, Morte ad Ahmadinejad” e nei giorni successivi gli slogan contro la Guida suprema sono stati più duri. Questo passo è stato molto importante nella distruzione definitiva di una figura che fino a pochi giorni prima veniva considerato la "massima autorità religiosa e politica " del Paese dei mullah. Questo slogan man mano è entrato fortemente in tutte le forme di protesta popolare contro l’intero sistema iraniano. Ormai anche Ahmadinejad ha capito che Khamenei non è più quella figura impossibile da contrastare e ha cominciato a preparare un suo gruppo e un suo acquis costituito prevalentemente da ex colleghi della Sepah pasdaran. L’obiettivo è quello di lanciare un loro futuro candidato alle elezioni e costringere Ali Khamenei a rifugiarsi sotto il loro ombrello onde evitare di bruciarsi al sole della rabbia popolare. Ormai Ahmadinejad è diventato un cane che si è ribellato al padrone perché ne ha conosciuto la fragilità politico-religiosa anche negli ambienti clericali. Inoltre, non va dimenticato che dopo l’elezione di Ahmadinejad, e le successive proteste, numerose autorità religiose del Paese avevano preso le distanze da Khamenei e dalla sua feroce repressione arrivata ormai a toccare gli stessi ambienti che fino a ieri avevano governato il Paese. Stiamo parlando di un Paese in cui il regime dei mullah è seduto su un vulcano popolare e cerca ad ogni costo di ritardare la sua esplosione attraverso le quotidiane esecuzioni di piazza e la violenta repressione di qualsiasi voce di dissenso.
Vedremo ancora l’Onda Verde nelle strade prima o dopo le elezioni? E l’Occidente cosa può fare concretamente?
L’onda della protesta non si è fermata e anzi si è radicalizzata e va avanti con tanta forza e rigore. Al momento opportuno la vedremo protagonista di uno tzunami che travolgerà l’intero sistema, anche se molti leader sono stati arrestati. A proposito dell’Occidente, devo dire che una buona parte delle colpe della repressione applicata ferocemente dallo Stato è anche causa dei Paesi europei e dell’America che non hanno saputo schierarsi a fianco della popolazione e hanno dato un’ulteriore chance al regime di portare avanti la sua politica di repressione, di terrorismo e di corsa verso la bomba atomica. L’Occidente deve, oltre ad applicare le sanzioni generali, riconoscere alla popolazione iraniana il diritto di cambiare le cose e di scegliere chi deve rappresentarlo nella leadership della rivolta. La via maestra è quella del sostegno al popolo e le sanzioni contro gli ayattollah. Questa è una via che non comporterà nessun rischio per l’Occidente e porterà in fretta ai risultati tanto desiderati dal popolo iraniano.
Quali pericoli hanno vissuto e vivono i dissidenti iraniani in Italia?
Nel 1993, il terrorismo iraniano – con la complicità dell’ambasciata – ha ucciso a Roma il nostro rappresentante politico in Italia, Mohammad Hossein Naghdi. La magistratura italiana ha attribuito la responsabilità di questo omicidio ai responsabili del regime islamico e lo ha riconosciuto come un attentato politico contro gli oppositori. I pericoli che esistono in Italia sono esattamente gli stessi che in Iran si sentono sulla sua pelle giorno e notte. L’ambasciata iraniana minaccia e ricatta costantemente i suoi concittadini ordinando di non partecipare alle manifestazioni di protesta organizzate dalle associazioni degli oppositori come quelle dell’associazione che presiedo: l’Associazione dei rifugiati politici iraniani residenti in Italia. Spesso riceviamo delle denunce da parte dei cittadini avvicinati dai servizi segreti iraniani che offrono denaro e assistenza per future collaborazioni di spionaggio contro i dissidenti. Stanno creando un’atmosfera di terrore e di paura esattamente come quella che hanno creato in tutte le città iraniane. Da parte nostra, siamo sicuri che lo Stato italiano saprà egregiamente affrontare questo stato di violenza e di terrore garantendo la sicurezza a coloro che hanno chiesto ed ottenuto lo status del rifugiato politico in un paese libero.