L’offensiva laicista nell’Italia laica

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L’offensiva laicista nell’Italia laica

10 Aprile 2007

Molti liberali si sono resi conto che la libertà individuale assoluta, se non è temperata dalla saggezza della Chiesa, porta al fallimento educativo. La pensava così il laico e studioso liberale Nicola Matteucci quando, dalle colonne de il Giornale, parlava di “unione tra lo spirito di religione e lo spirito di libertà”; citando Friedrich A. von Hayek,  uno dei maggiori teorici liberali del XX secolo, definiva la Chiesa cattolica “custode della tradizione”.

Non è una novità che il Papa e i vescovi abbiano il diritto-dovere di valutare un progetto di legge e segnalarne la coerenza o meno con i valori della persona, della società e della famiglia. Questo non è ingerenza politica, né un tentativo di dare indicazioni legislative né ancor più una opinione impegnativa rivolta ai fedeli (politici compresi), ma piuttosto un servizio all’uomo. Ora quanto è successo in seguito alle dichiarazioni dell’arcivescovo di Genova Angelo Bagnasco, sulla presunta frase “Dico, il nostro no è come a pedofilia e incesto” e il conseguente accostamento pedofilia e incesto ai Dico, non è stato felice e appare come l’ennesima campagna contro la Chiesa e i vescovi. A colpire, non sono tanto le scritte ingiuriose apparse in alcune città italiane; hanno sorpreso nelle scorse settimane le dichiarazioni di alcuni politici dell’Unione – il Presidente della Camera, e non solo – che accusano la Conferenza episcopale italiana di “alienare la sovranità del legislatore” semplicemente perché fanno il loro “mestiere” di difensori del matrimonio tradizionale e della famiglia come la natura e la storia insegnano.

A molti è parso come l’ennesimo comportamento ingerente negli affari dello Stato e un modo per rivendicare una sorta di primato della Chiesa nei rapporti con l’Italia. Ma, l’istituzione religiosa più vicina alla coscienza degli italiani e alla cultura di tutto il Paese, compreso i non credenti, compie il suo dovere quando, come insegnamento e monito, forma la coscienza morale dei cattolici. D’altra parte, di fronte a quelli che ieri erano Pacs e oggi Dico “Diritti e doveri dei conviventi” (e un pre-riconoscimento pubblico delle unioni omosessuali), la preoccupazione della Chiesa è l’equiparazione delle famiglie a ogni altro tipo di unione.

Il documento della Cei sui Dico ovviamente si può non condividere o considerarlo una ingerenza. Difficile però non riconoscere il diritto ai vescovi di esprimersi liberamente, specie su questioni ritenute di tanta rilevanza per la vita delle persone e per la società nel suo insieme. La Chiesa fa solo il suo dovere: si rivolge ai cittadini tutti, credenti e non credenti e, il messaggio, la preoccupazione che ne emerge è espressa in toni equilibrati e senza accenti di scomunica. Parla ai membri della sua comunità, non pone istanze di una parte ma pone il problema di quale visione dell’uomo sarà la base del nostro futuro. Spetta a ognuno di noi il compito di valutare e decidere secondo coscienza. E’ un criterio che vale per i cittadini credenti e i non credenti, per i cattolici e i laici, ed è un criterio che anche i laici e cattolici impegnati in politica dovrebbero praticare. Non è una questione di morale cattolica, la Chiesa non prescrive comportamenti morali o di vita religiosa. Non solo. Il ragionamento di monsignor Bagnasco, durante una conversazione in un incontro pastorale, era volto a segnare i caratteri di una “corretta antropologia”. “Quando si nega la natura umana”, questo in sostanza il suo argomento, “vengono a mancare i criteri oggettivi per distinguere il bene dal male”. “Se il criterio è semplicisticamente quello dell’opinione pubblica generale, allora è difficile dire dei no” e faceva l’esempio dei due fratelli inglesi che vivono more uxorio e hanno una serie di figli, o del partito dei pedofili in Olanda. Due situazioni dunque, non altre. E nessuna equiparazione, nelle sue parole, tra i Dico e l’incesto o la pedofilia.

E comunque nel nuovo Concordato, firmato dal Governo italiano di Bettino Craxi e la Santa Sede il 18 febbraio 1984, all’articolo 9 “la Repubblica italiana riconosce il valore della cultura religiosa” e afferma che “i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano(…)”. Qui si fonda il diritto della Chiesa a pronunciarsi quando lo Stato mette mano a quei principi fondanti dell’intera comunità. Lo Stato emana leggi che sono vincolanti per tutti, indipendentemente dal loro credo religioso: questo è il fondamento della sua laicità. Alle leggi si arriva attraverso un confronto e un dibattito democratico, l’esclusione di una voce da questa dialettica è una negazione della laicità dello Stato che si basa sulla garanzia della libertà di opinione, e non sull’imposizione di una opinione.

Oggi tutto questo non piace a parte della sinistra, specialmente ad alcune forze politiche che hanno esaurito la forza propulsiva verso il sociale – sostituendola con la cultura dei diritti civili – e invocano la laicità per il timore che la politica italiana finisca per “subire il ricatto dell’etica religiosa”. Naturalmente una condizione di sana laicità sia anche quella di ascoltare le istanze della Chiesa. Tuttavia c’è chi preferisce la rissa e l’estremizzazione delle posizioni, forse, per acuire la tensione tra laici e cattolici, mentre occorrerebbe una maggiore serenità nel confronto e un nuovo rapporto tra fede e politica. E soprattutto questo Paese non ha bisogno di guerre di religione e di crociate, che non hanno mai portato bene ad alcuno, ma di una politica meno ideologizzata e mossa più dai sentimenti che dalla ragione.

Solo il preziosissimo punto d’incontro tra il pensiero cattolico e laico più aperto all’uomo e, il rispetto, il dialogo vero tra credenti e non credenti risultano fruttuosi. In questo contesto, se si valuteranno questi dati di fatto, si potrebbe avere una discussione più seria. Altrimenti, considerato lo scenario intransigente, tutto diventa sempre più ideologico e confuso.