L’ombra di D’Alema sulle riforme fa tremare Veltroni

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L’ombra di D’Alema sulle riforme fa tremare Veltroni

L’ombra di D’Alema sulle riforme fa tremare Veltroni

17 Dicembre 2007

Il
suo destino è quello di sempre: essere ammirato, ma anche guardato con sospetto
dentro il suo stesso schieramento. Sarà per il suo marchio di fabbrica,
quell’intelligenza politica accompagnata dal marchio e dal sigillo del
sarcasmo. Oppure per una carriera politica che ha spesso lambito i grandi
traguardi senza arrivare davvero a tagliarli, accreditandolo così di una
irrisolta inquietudine.

Fatto
sta che anche questa volta l’avvicinarsi di Massimo D’Alema sulla scena della
grande trattativa della legge elettorale accende timori e preoccupazioni. Lui,
il vicepremier, si candida al ruolo di “problem solver”, di “facilitatore”
rispetto a una situazione che si aggroviglia ogni giorno di più. E gli altri ne
pesano le mosse, le vagliano con attenzione, non nascondendo qualche brivido
lungo la schiena rispetto alla sua non richiesta mediazione.

L’impasse,
in verità, è sotto gli occhi di tutti. E lo stesso Walter Veltroni è il primo
ad esserne consapevole. La rivolta dei piccoli dell’Ulivo, la resistenza
passiva di Romano Prodi e le bordate quotidiane di Gianfranco Fini aumentano il
pessimismo, in queste ore, circa la possibilità di arrivare a un accordo sulla
legge elettorale. Le lancette dell’orologio della trattativa scorrono veloci. I
tempi sono strettissimi. E l’opposizione degli alleati del centrosinistra rende
quasi impossibile approvare un testo base prima del vertice del 10 gennaio. E
così, tra gli uomini vicini al segretario del Pd, qualcuno comincia a veder
crescere le possibilità che si arrivi al referendum.

E’
in questo contesto disastrato che torna ad acquistare credito l’ipotesi del
sistema elettorale “alla tedesca”, ovvero esattamente il modello caro al
ministro degli Esteri e inviso a Walter Veltroni. D’Alema, svestiti i panni
dell’osservatore, ha ormai iniziato a giocare la sua partita. Il vicepremier ha
avuto modo di sondare non solo l’Udc, attraverso Franco Bassanini, constatando la
disponibilità dei centristi ad accettare anche l’indicazione preventiva del
premier. Ma anche An, contattata da Nicola Latorre.

Veltroni,
a sua volta, osserva le manovre in corso. E fa sapere che se è vero che “il referendum
per noi non è una soluzione”. E’ altrettanto vero che “ non possiamo accettare
di fare qualunque legge pur di evitarlo”. Tanto più che dopo il referendum si
potrebbe comunque rimettere mano alla legge elettorale, a quel punto tenendo
conto del risultato delle urne, cioè attuando un sistema capace davvero di
premiare i partiti più grandi.

La
partita resta decisamente aperta. E a questo punto molto dipenderà
dall’atteggiamento di Forza Italia. Se Silvio Berlusconi manterrà fermo l’asse
siglato col segretario del Pd, sarà difficile far passare un’intesa sul tedesco
puro. Su quest’asse preferenziale tra “azzurri” e “democratici”, però, è proprio
lo stesso D’Alema a nutrire evidenti perplessità. Una convinzione che il
vicepremier avrebbe ribadito anche a Veltroni, dicendogli a chiare lettere che
non si può fare un accordo con Forza Italia, schiacciando il centro e An. Per
trovare un accordo vero bisogna cercare un’intesa più larga. Il tutto
accompagnato da una didascalia auto-assolutoria: se sondo An e Udc non lo
faccio per fare complotti, ma per aiutare a trovare un’intesa.

Il
segretario del Pd, però, su questo punto la pensa un po’ diversamente: giusto
che non ci sia nessun dialogo preferenziale con Forza Italia, ripete, ma
nemmeno è possibile riconoscere diritti di veto a chiunque. E, aggiunge, il
tedesco puro non va bene, fotografa l’esistente, finisce per dare un potere di
veto al centro, alla eventuale cosa bianca. E, come ripete Giorgio Tonini, «un
conto è prendere atto che la cosa bianca c’è e che bisogna farci i conti. Altro
conto è favorirne la nascita».

D’Alema, a sua volta, appare poco convinto della “forza salvifica” del
referendum. Intanto perché il referendum metterebbe a rischio il governo. Ma
anche perché quel modello produrrebbe listoni disordinati, pronti a sfaldarsi
un giorno dopo il voto. La missione del “problem solver”, insomma, appare
complessa. E rischia, qualunque strada venga intrapresa, di lasciare sul campo
morti e feriti, mettendo in discussione la sopravvivenza stessa del governo
Prodi. Per il momento D’Alema prende la parola ufficialmente per smentire (ma
non troppo) alcune intenzioni di cui viene accreditato. “Non sto  inseguendo uno scenario politico che preveda
la nascita di un nuovo centro” dice in una intervista a Vanity Fair. «Il Centro
c’è già – spiega – Casini, Pezzotta, Mastella. Ci sono forze moderate che non
riusciamo a conquistare al Partito Democratico e che non si riconoscono in Berlusconi.
Sono destinate, se ci sarà una nuova legge elettorale,
a fare fronte comune. Ma a un ritorno del Centro motore immobile della
politica, come è stato nel passato, non ci credo proprio, anche se è stato
scritto che io auspicherei la nascita di un nuovo Centro. Penso infatti che il bipolarismo
sia ormai entrato nella testa degli italiani».

Sull’altro
fronte, però, non sembrano fidarsi. E il timore del sindaco di Roma che nella
geografia politica italiana possa tornare a manifestarsi un luogo di tutti e di
nessuno dove il bipolarismo si impantana, si fa sempre più forte. L’eterno
duello Veltroni-D’Alema, insomma, continua ad andare in scena, sia pure in
stagioni politiche diverse. Un braccio di ferro che cancella, ogni giorno di
più, l’aspirazione veltroniana di approdare a un modello sostanzialmente
bipartitico.