L’ombra di Napoleone che da Mussolini arriva fino al Cavaliere

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L’ombra di Napoleone che da Mussolini arriva fino al Cavaliere

24 Giugno 2007

Il termine “bonapartismo” appartiene da sempre al lessico politico ed è utilizzato per indicare l’atteggiamento autoritario di un leader che legittima il proprio potere sulla scorta di un’investitura popolare di tipo plebiscitario, a premio del carisma personale di cui è in possesso. Si tratta, in buona sostanza, dell’«autoritarismo democratico» sorto dopo la Rivoluzione francese, da intendesi come connubio fra la legittimazione popolare e il leaderismo, fra il potere che viene “dal basso”, secondo il verbo rivoluzionario, e le qualità di comando e guida politica di un uomo fuori dall’ordinario. Ovviamente il termine deriva dall’esperienza di Napoleone Bonaparte ma anche di Napoleone III, anzi è ancora più paradigmatico il caso di quest’ultimo, autore del colpo di Stato che aprì le porte al Secondo impero, a seguito del successo elettorale del 1848.    

È significativa l’associazione che normalmente si istituisce fra “bonapartismo” e “cesarismo”, considerando i due termini sinonimi, diversi soltanto per origine storica (il secondo legato alla figura di Giulio Cesare, che chiuse sotto il suo potere il lungo braccio di ferro fra il partito degli optimates e quello dei populares, finendo per essere considerato dal vecchio Cicerone null’altro che un dittatore).

Esiste poi la cosiddetta “sindrome napoleonica”, espressione transitata dal campo psichiatrico alla vita pubblica per biasimare i presuntuosi e gli smaniosi di potere, fatalmente esposti al ridicolo quando la loro smisurata ambizione si rende palese.    

Alessandro Campi, professore di storia delle dottrine politiche all’Università di Perugia, con il suo ultimo libro suggerisce un interessante arricchimento di questa terminologia proponendo l’utilizzo di “napoleonismo” per indicare uno “stato mentale, una disposizione caratteriale, un modo di atteggiarsi nei confronti del mondo e degli uomini, una febbre interiore, una «personalità», che nella storia è possibile rinvenire solo in alcuni casi particolari”. E per evitare di essere frainteso aggiunge che il napoleonismo riguarda “l’antropologia storica, la psicologia politica e la cultura dell’immaginario”, quando invece il bonapartismo è “un regime e un sistema di potere”. Insomma, “il «napoleonismo» è una mentalità e un modello culturale. Il «bonapartismo» (…) è il prodotto o la conseguenza, possibile anche se non necessario, del «napoleonismo»”.

Il libro è tutt’altro che accademico e, senza reticenze, si propone di rispondere ad un quesito chiaro e semplice, quanto conturbante: nella storia patria, quali uomini politici sarebbero stati “posseduti” dalla febbre del napoleonismo? La risposta non conosce esitazioni: Benito Mussolini e Silvio Berlusconi. Ma si badi, questo parallelo non è giocato, come sempre avviene, per screditare il leader della Casa delle libertà, accostandolo al dittatore del Ventennio, ma per qualificare la statura di entrambi, la loro forza morale e la capacità di “volare alto” in termini di coraggio, di progettualità, di ambizione, di innovazione. Scrive ancora Campi “come nel caso di Mussolini, ma con forme e modalità diverse, si ritrovano anche nel Cavaliere una forza visionaria, un modo di intendere e utilizzare il potere, un desiderio di autoaffermazione, un talento comunicativo, una capacità organizzativa e gestionale, insomma un “sistema operativo”, per dirla con Ernesto Ferrero, l’autore delle Lezioni napoleoniche, che ricordano molto da vicino il prototipo francese”.

È noto a tutti che la storia viene scritta per i lettori contemporanei; in altre parole, come ben sapeva Croce, “tutta la storia è contemporanea”, non intendendo certo che non si possa fare storia di altre età ma che la storiografia è in funzione del presente, e del presente politico in particolare. Sotto questo profilo il libro di Campi non fa eccezione. Leggendo fra le righe del suo affascinante viaggio che passa dal giornalismo alla letteratura, dalla memorialistica alla drammaturgia, dal cinema alla satira, dalla storiografia alla scienza politica, dall’invettiva da pamphlet alla poesia, dall’intervista alla vignetta si avverte moltissimo l’influsso del nuovo stile del far politica nell’Italia della Seconda repubblica, in cui è tornata ad avere un ruolo la personalità del leader politico e la sua diretta assunzione di responsabilità, l’accountability, come dicono gli anglosassoni indicando con ciò la chiave di volta della politica democratica. Sotto questo profilo, e di nuovo senza indulgere in facile demagogia, in filigrana il libro ci invita a riflettere sulle peggiori tare della Prima repubblica, su quello che ha significato la partitocrazia per lunghi decenni della nostra storia recente. In pari misura, Campi ci avverte delle insidie che, nell’odierna società dell’informazione e comunicazione, derivano dalla propaganda e dalle tecniche di persuasione collettiva, dalla deriva emozionale e sentimentale a discapito dell’approccio razionale ai problemi, dal ritorno di forme di chiusura e di esclusivismo nell’accesso alla vita pubblica.

Alessandro Campi, L’ombra lunga di Napoleone da Mussolini a Berlusconi, Marsilio (pp. 184 – euro 11,00)