L’onda riprende la sua corsa ma la Gelmini tiene duro e sfida i baroni

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L’onda riprende la sua corsa ma la Gelmini tiene duro e sfida i baroni

07 Novembre 2008

Avevamo chiesto alla Gelmini una prova di coraggio, il segno della sua volontà di andare avanti nonostante in poche settimane metà Italia le si fosse scagliata contro. Le avevamo chiesto un’ulteriore prova di cambiamento, di non farsi intimidire dalla piazza e di marcare un segno di discontinuità anche attraverso l’impopolarità nell’immediato delle sue scelte. E – dobbiamo ammetterlo – il ministro è andata oltre ogni nostra aspettativa. E ieri, al temine di un Consiglio dei ministri che qualcuno dei presenti ha definito a tratti infuocato, ha tenuto duro sulla sua linea, gettando un piccolo ma insidioso sasso nello stagno con cui per decenni è stata governata l’università italiana. Certo, su qualcosa ha dovuto mollare, ma certamente qualche ora di malumore la deve aver procurata. Con una conseguenza immediata: quei 3700 docenti universitari che dovranno affrontare il prossimo concorso di idoneità, quelli che si sentivano già la cattedra in tasca, per capirci, il sottoprodotto del meccanismo baronale che sta portando alla rovina l’università italiana, si dovranno ingegnare non poco per risistemare tutte le carte in tavola col nuovo meccanismo di selezione dei commissari.

Il CdM, infatti, senza bloccare i concorsi già indetti, ha approvato una revisione nei meccanismi di composizione delle commissioni esaminatrici, introducendo il sorteggio. Le commissioni, di fatto, saranno composte da un membro interno e da altri quattro membri sorteggiati tra una rosa di 12 commissari eletti dal corpo docente. Questo meccanismo, sostiene la Gelmini, dovrebbe garantire una maggiore trasparenza e dare un forte segno di discontinuità rispetto al passato. Il sorteggio, infatti, introducendo l’elemento della casualità nella selezione dei commissari, quanto meno rende più complessi i giochi di potere locale che hanno connotato finora il sistema di cooptazione nell’accademia italiana. Certo, nessuna riforma rende onesti gli uomini disonesti, e soprattutto nessuno ci può garantire che la casualità sia anche sinonimo di meritocrazia nella scelta, tanto che c’è chi dice che alcuni professori la soluzione l’abbiano già trovata, creandosi commissioni blindate anche attraverso una rosa più ampia di commissari designati. Ma certo i giochi saranno un po’ più difficili e si scontreranno fino all’ultimo con la faziosità interna che esiste a tutti i livelli del mondo universitario, forse alla fine anche riuscendo a innescare un meccanismo di competizione virtuosa. Si spera.

Ma torniamo a ieri e al Cdm in cui sono state varate le linee guida per l’università e approvato anche un decreto legge. Due documenti distinti: uno programmatico e di legislatura, offerto al dibattito con il mondo accademico e che sarà oggetto di discussione anche in Parlamento, l’altro che è un “provvedimento piccolo”, ha detto ieri in conferenza stampa Mariastella Gelmini, che non vuole essere e non è la riforma dell’università ma prevede semplicemente una serie di misure urgenti “sul diritto allo studio, sulla valorizzazione del merito e sul ricambio generazionale negli atenei e anche sulla riqualificazione della spesa”.

Tramite il decreto si legge chiaramente l’intenzione del ministro di venire incontro alle richieste dei giovani studenti e ricercatori e di continuare sulla via del merito per le Università più virtuose. Nel primo caso prevedendo lo sblocco del turn over. Un meccanismo per cui per ogni docente che andrà in pensione le Università potranno assumere due in alcuni casi tre ricercatori a costo inalterato (130mila euro l’anno un prof. contro i 40mila di un ricercatore). Questa misura potrebbe favorire l’assunzione di tremila ricercatori nel prossimo anno, anche attraverso incentivi al pensionamento. E poi prevedendo che vengano destinati 135 milioni a borse di studio per “ragazzi meritevoli e capaci”, per un totale di 180mila studenti, e 65 milioni di euro per le residenze universitarie.

Nel secondo caso, quello che premierebbe le università che lavorano meglio, stanziando cinquecento milioni di euro agli atenei più virtuosi, da destinare sulla base del merito e della qualità scientifica della ricerca. “Si tratta – dice il ministro – di un segnale significativo. Vuol dire che è possibile spendere meglio le risorse e puntare sulla qualità. Non è corretto, trattare tutte le università allo stesso modo, quelle virtuose e quelle no”. E per quelle no, che sarebbero quelle che non dimostrano di avere i bilanci in ordine, parte il divieto: non potranno indire concorsi per nuove assunzioni di professori o di personale in genere.

Adesso le mosse che restano da compiere sono due: approvare rapidamente il decreto legge su cui molti si dicono certi non può non esserci un largo consenso, per poi avviare una ampia discussione sulle grandi riforme di struttura dell’Università italiana.

A giudicare dalle poche reazioni negative della prima ora – quelle provenienti dal mondo dell’Università che conta, cioè i Rettori – la Gelmini stavolta ha compiuto passi decisivi e significativi nel modo più cauto che poteva, sapendosi conquistare in via preventiva il suo consenso. A molto deve aver contribuito la strategia messa a punto da Giavazzi e dal Corriere in favore del ministro, Corriere che proprio oggi insolitamente le tributa un atto di coraggiosa iniziativa. Nonostante ciò i giovani continuano a scendere in piazza, quella piazza che si fa palcoscenico dei prof. più improbabili (almeno per chi ancora dà un senso alla funzione educativa) dell’ultima ora come la Guzzanti. Per fortuna un movimento meno chiassoso e più consapevole continua la sua lunga marcia, non sono 40mila ma già molti di più – contano di arrivare a 100mila in breve tempo – e rappresentano, dandogli voce, il silenzio della maggioranza degli studenti italiani. Quelli su cui tutti noi ci sentiamo di puntare per il futuro.