L’Opa di Maroni alla Lega scivola sul no all’arresto di Cosentino

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L’Opa di Maroni alla Lega scivola sul no all’arresto di Cosentino

12 Gennaio 2012

Roberto Maroni ha vinto in Giunta. Umberto Bossi ha vinto in Aula, a Montecitorio. Tattiche di una guerra sotterranea e non dichiarata che da tempo (durante e dopo il governo Berlusconi) attraversa il Carroccio. Fratelli coltelli, sul futuro del partito, quando e se il Senatur mollerà il timone. L’ennesima partita, stavolta, giocata sulla libertà o la galera per Nicola Cosentino. Come avvenuto per Alfonso Papa ma con tutt’altro esito che poi non è stato più quello per Marco Milanese. Lega in confusione? A ben guardare tutto si tiene nel tira e molla di maroniani versus cerchisti (magici) per la ‘gestione’ del movimento. Perché come le altre volte, le beghe interne hanno finito per ‘influenzare’ le questioni sul tavolo della politica. Ma forse mai come questa volta è apparso così palese cosa si stia consumando dentro al Carroccio, compreso il braccio di ferro che ormai si trascina da mesi sul cambio al vertice del gruppo parlamentare, oggi guidato dal bossiano Marco Reguzzoni.

Risultato: nel giro di 24 ore dal sì compatto all’arresto anche se con qualche dissenziente come nel caso di Luca Paolini (che per sua stessa ammissione ha dovuto obbedire agli ordini di partito pur ritenendo che da parte dei pm vi fosse ‘fumus persecutionis’ nei confronti dell’ex sottosegretario all’Economia),  si è passati al sì e al no. Un partito spaccato. Complice il voto a scrutinio segreto, ma dirimente l’indicazione (o il messaggio) di Umberto Bossi che prima della seduta ha lasciato libertà di coscienza ai suoi parlamentari. Un modo, neanche troppo indiretto, per sconfessare la linea che Maroni, invece, era riuscito a far passare in Giunta.

Una decina i voti leghisti insieme a quelli dei radicali a fare la differenza sul dossier Cosentino. La spaccatura interna è stata palese anche nei gesti, oltreché nei voti. Roberto Maroni – come evidenzia il video di Repubblica.it – avrebbe usato lo stesso metodo del Pd quando si trattò di decidere sull’arresto di Papa: nelle immagine si vede che l’ex ministro dell’Interno infila nella fessura per le votazioni solo l’indice e il medio della mano sinistra e sul lato sinistro, quello dove è collocato il pulsante del ‘sì’. Lui stesso conferma di essere stato favorevole all’arresto di Cosentino e di non condividere la linea dettata da Bossi (libertà di coscienza) anche se col capo non c’è alcuna contrapposizione. E con lui i suoi fedelissimi che su Facebook si prodigano in una difesa d’ufficio rispendendo la palla nel campo dell’Udc. Maroni infatti spiega che quelli della Lega non sono stati voti decisivi come in realtà è stato per alcuni ‘no’ arrivati dai banchi centristi e piddini. Corsa alla smentita in tempo reale (Casini in persona che addirittura commenta l’esito della seduta parlando di “grave errore politico” e di “eutanasia del Parlamento”, oltre a molti esponenti democrat) e polemiche a non finire.

Il leghista Luca Paolini che in Aula ha ribadito quanto sostenuto in Giunta a proposito di quella che aveva definito‘fragilità dell’impianto accusatorio, la racconta in un altro modo: “Almeno 25-30 leghisti hanno votato ‘no’ all’arresto. Sono molti quelli che non se la sono sentita di dire ‘si’ alle manette. Molti di più di quelli che si vogliono far credere. Bisogna fare i conti pensando alle dichiarazioni di voto…”. Sull’assenza del Senatur dall’Aula, aggiunge: “Evidentemente non voleva dividere di più le varie fazioni che si sono create nel partito, non voleva creare altri imbarazzi…”. Al gesto di Maroni durante il voto, fa da contraltare la rissa sfiorata tra lo stesso Paolini e il collega leghista Dozzo: due facce di una stessa medaglia, due immagini che raccontano meglio di tante parole l’aria che tira nel quartier generale di via Bellerio. Al tempo stesso, segnalano che nonostante i tentativi, i maroniani nom hanno ancora la ‘forza’ per lanciare e soprattutto sostenere l’Opa al dopo-Bossi.

Anche stavolta, tocca al Senatur metterci una pezza sopra nel tentativo di stemperare le polemiche interne ed esterne. A chi sospetta che dietro al cambio della linea leghista ci sia lo zampino del Cav. risponde che il suo partito “non è mai stato forcaiolo” e che lui Berlusconi non lo ha neanche sentito “né prima, né dopo”. Poi manda un messaggio al movimentista Maroni e lo fa nel suo stile: “Maroni è scontento? Non è che piangiamo per questo…”. Ne ha pure il Pdl: se mercoledì il voto in Giunta era stato letto come una rottura definitiva con Berlusconi, il cambio di rotta ha riaperto qualche spiraglio ma il Senatur non vuole ‘sbracare’ – spiega un parlamentare leghista – o dare l’impressione di voler ricucire in un momento nel quale, invece, la Lega ha investito tutto (in termini politici ma anche di consenso) nella linea dura e pura all’opposizione del governo Monti. Tuttavia, nelle file del Carroccio c’è anche chi legge la mossa di oggi come una sorta di disponibilità a riprendere un dialogo col Pdl, magari ottimizzando il tutto in vista delle amministrative di primavera, ma ancor prima e di più – è il ragionamento – in vista della partita tutta politica che da domani si apre sulla riforma della legge elettorale, dopo il no della Consulta al referendum. Insomma, una mossa per non restare completamente fuori dal recinto della mediazione e da ciò che si determinerà nei prossimi mesi in Parlamento. “Bossi ci vede sempre più lungo di tutti…” commenta un cerchista (magico) della prima ora, per dire che al di là delle beghe per il capogruppo a Montecitorio o alle prove di forza dei maroniani, è meglio guardare all’orizzonte del 2013 e, possibilmente, farlo partecipando.   

Al netto delle tattiche e delle strategie, nella Lega ormai convivono due visioni che appaiono sempre più antitetiche. Il rischio vero è che, di questo passo, il fiume carsico emerga e tracimi. Nonostante Bossi.