L’oro di Bankitalia per sanare il debito pubblico
31 Luglio 2008
Ad un anno esatto dall’ultima volta in cui se n’è discusso, si torna a parlare dell’utilizzo delle riserve auree di Bankitalia. Proprio nell’agosto 2007, poco prima dell’imponente scoppio della bolla subprime, Romano Prodi e Tommaso Padoa Schioppa alimentavano il pubblico dibattito riguardo all’uso di tal strumento per poter ridurre il debito italiano. Ma né l’uno né l’altro avevano inventato qualcosa di nuovo, dato che solo pochi anni prima (nel 2004), anche Giulio Tremonti, attuale ministro dell’Economia, aveva paventato quest’ipotesi. Ipotesi che torna prepotentemente alla ribalta in questi giorni, dopo che il quotidiano economico-finanziario MF-Milano Finanza ha pubblicato un articolo in cui si narra perfino di una possibile nazionalizzazione di Banca d’Italia. Molti grideranno allo scandalo, tanti si chiederanno dove è finita l’anima liberista del governo Berlusconi, ma cerchiamo di dar una visione oggettiva dei fatti.
Doveroso precisare che il capitale di Bankitalia è attualmente detenuto dai maggiori istituti di credito: Intesa Sanpaolo (30.3%), Unicredit (15.7%), Banco di Sicilia (6,3%), Generali (6,3%) ed Inps (5,0%), solo per citare le quote principali. Anche il diritto di voto è detenuto dagli stessi soggetti, anche se non in modo proporzionale alla quota di controllo. Palazzo Koch è quindi in mano alle stesse banche italiane e non allo Stato. Per quanto riguarda le riserve auree, il valore complessivo è stimabile intorno ai 44 miliardi di euro per un totale di oltre 2500 tonnellate di lingotti, stivati nei vari caveau di New York, Basilea e Roma. Una cifra che farebbe comodo, per gestire la situazione disastrata del nostro debito pubblico (1.596.762 milioni di euro nel 2007, dati Ministero dell’Economia e delle Finanze). Ma ci sono un paio di vincoli da non sottovalutare.
Primo, il Central Bank Gold Agreement (CBGA), l’accordo fra le banche centrali sulla vendita dell’oro che prevede la cessione di un massimo 500 tonnellate l’anno per singola nazione, con il conseguente tetto di 2500 tonnellate nel quinquennio di validità dell’atto. Secondo, gli accordi di Maastricht, che rendono vane le idee di diminuire il debito attraverso questo mezzo. Si potrebbe però agire in modo differente, secondo la prassi comune di queste operazioni: vendere le nostre riserve ed acquistare Titoli di Stato, ma questa è un’altra pratica che però rischia di diventare un boomerang per l’economia nazionale.
C’è poco da fare, se si vuol ridurre il debito pubblico, la via da percorrere è quella della riduzione della spesa corrente e lo sviluppo della crescita economica, secondo la più basilare delle regole. Inutile pensare, in questa specifica congiuntura, di utilizzare lo strumento aureo per poter riparare ai danni prodotti da leggi di bilancio pretenziose e spendaccione. Eppure Tremonti sta passando al vaglio la possibilità di una mossa a sorpresa, nazionalizzare Banca d’Italia.
Leggendo indiscrezioni come queste, lecito è domandarsi se ci si trova nell’Unione Sovietica o nella Repubblica Popolare Cinese. Sia chiaro che non sarebbe il solo caso europeo di questo genere (basti pensare a Banque de France), ma non si comprendono le ragioni che stanno dietro a questa scelta, specie se giungerà da un governo che si autoconsiderare liberale. Poter gestire in prima persona una Banca Centrale Nazionale (BCN) nel Sistema Europeo di Banche Centrali (SEBC) significa veicolare in modo più diretto le politiche monetarie che a mano a mano vengono definite dal board della BCE. Ma c’è il timore che si possa creare un appiglio per l’ostruzionismo economico nel caso un governo di centrosinistra andasse al potere.
Se già furono forti le critiche a Prodi nel 2007, proprio ad opera della coalizione di cui fa parte Tremonti, viene da chiedersi che senso abbia adottare le stesse misure, in una fase del ciclo economico del tutto sfavorevole. Sì, perché in Italia, nonostante il sistema bancario abbia attutito il colpo dei subprime in modo più che dignitoso, l’economia reale ha risentito (e continua a farlo…) delle crisi internazionali. Piuttosto che svendere il nostro oro, la necessità dovrebbe essere quella di ridurre tutti i buchi neri che fanno perdere milioni di euro al giorno ai nostri enti pubblici. Con buona pace di tutti coloro che pensano che la spesa pubblica sia utile per la crescita.