L’ossimoro delle elezioni in Serbia: vince Nikolic, il nazionalista moderato
22 Maggio 2012
di Lavdrim Lita
La crisi ha sacrificato un altro capo di stato (ma anche di governo). Boris Tadic è il dodicesimo leader europeo a cadere dall’inizio della crisi finanziaria. Dopo otto anni alla guida della Serbia è uscito di scena Boris Tadic, che ha condotto fino all’ingresso principale dell’Unione europea. La vittoria a sorpresa alle elezioni presidenziali di ieri in Serbia del nazionalista-moderato, Tomislav Nikolic, contro il favorito filo-europeista uscente, Boris Tadic, ha mischiato non di poco le carte in tavola. Guardando alla stabilità politico-istituzionale del Paese – considerata unanimemente fattore chiave dell’intero equilibrio regionale – nella migliore delle ipotesi, si profila uno scenario di non facile coabitazione tra il nuovo capo di stato di centro-destra, leader del Partito progressista serbo (Sns), e un governo frutto dell’accordo di coalizione che il Partito democratico di Tadic e il Partito socialista serbo (Sps) avevano già chiuso dopo le legislative del sei maggio. Peggiore prospettiva è che l’inattesa vittoria di Nikolic scateni ‘un terremoto elettorale’, per usare le parole dell’analista politico, Slobodan Antic.
Su un piano allargato, poi, ci si interroga sull’euro-integrazione di Belgrado, che Tadic ha condotto fino allo storico traguardo, lo scorso marzo, della candidatura ufficiale all’adesione Ue. Nikolic si dice pronto a raccogliere il testimone, coerentemente con la sua svolta moderata del 2008, quando lasciò la leadership del Partito radicale serbo (Srs), voce del nazionalismo di estrema destra. "La Serbia continuerà il suo cammino europeo", ha rassicurato il neo-presidente. Messaggio per quanti, soprattutto a Bruxelles, guardano perplessi ad un ex vice ministro della dittatura Milosevic, come nuovo interlocutore. Nikolic fu uno dei protagonisti dell’ascesa dell’iper-nazionalismo serbo che condusse i Balcani alla rovina: nel ’99 era vice primo ministro di Slobodan Milosevic e membro del governo quando nel ’99 la Nato bombardò la Jugoslavia ed era, inoltre, manager di stato ai tempi del Maresciallo Tito. Nikolic si è poi difeso con successo dalle accuse di aver partecipato nel ‘91 alla pulizia etnica di Antin in Slavonia e nel corso del tempo si è distaccato dalle posizioni più radicali, rompendo nel 2008 con il partito radicale di Seselj.
Negli anni le sue posizioni si sono ammorbidite parecchio, soprattutto dopo la creazione del suo nuovo Partito Progressista nel 2008, tanto che Nikolic ha più volte ripetuto che durante la sua presidenza la Serbia “non abbandonerà il cammino verso l’Unione Europea” intrapreso da Tadic, anche se ha tenuto a precisare che questo non dovrà avvenire “a ogni costo”. Nikolic inoltre, ha detto che con lui la Serbia si riavvicinerà decisamente anche alla Russia. La sua elezione renderà probabilmente più aspro il conflitto tra la Serbia il Kosovo, che già con Tadic era stato piuttosto teso, anche negli ultimi tempi. La politica mediana di Tadic “sia Ue, sia Kosovo” molto probabilmente proseguirà a essere parte della retorica di Nicolic. Ma la strategia "sia Kosovo che UE" ha anche portato la Serbia a un bivio storico. Scegliere l’Europa vuol dire andare avanti. Il contrario, invece, significherebbe fare marcia indietro verso conflitti etnici senza fine con molto sangue.
La Serbia, inoltre, si trova in una grave situazione economica: il tasso di disoccupazione è al 25 %, l’inflazione all’11 e la corruzione, soprattutto in politica, è molto diffusa. Questa è l’altra faccia di un’Europa che con la crisi della Grecia e dell’Euro dovrà di nuovo fare i conti con i fantasmi dei Balcani.