L’overparenting, quando le attenzioni per i figli sono troppe

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L’overparenting, quando le attenzioni per i figli sono troppe

09 Agosto 2011

Una volta si diceva semplicemente viziare. Il figlio viziato si riconosceva al volo, era insopportabile. Ma erano tempi diversi. Il viziato di una volta era un bambino/a che aveva molti giocattoli, molte cose di cui disporre; erano quei bambini che una volta grandi avrebbero avuto sempre qualcosa in più degli altri. Vestiti, macchina, soldi in tasca. Ragazzi con molte possibilità, poche regole e zero divieti.

L’overparenting ha però caratteristiche diverse rispetto al viziare. In quest’ultima modalità di comportamento dei genitori troviamo spesso un innamoramento nei confronti dei figli, pigrizia, e magari una grande disorganizzazione; insomma non trapela un progetto. Al contrario in questo eccesso di attenzione per i figli che riscontriamo oggi dall’America, al Giappone, all’Italia il progetto è molto evidente. Si vuole molto per questi ragazzi. Devono avere tanto. Attenzioni, amore, possibilità, stimoli. Un investimento eccessivo pesa su di loro.

Sin dalla scuola materna i bambini sono sollecitati ad eseguire molte attività. Diventano dei veri lavoratori. Lingue, sport, musica e mille altri impegni spesso si accavallano nelle loro vite lasciandoli stremati e privati del tempo del gioco. I genitori sono contenti e si sentono bravi poiché convinti di dare ai loro figli delle grandi possibilità. Una volta alle scuole primarie si va a ripetizione di materie ritenute importanti a scapito spesso dei rapporti amicali che dovrebbero essere altrettanto tutelati in questa età. Alle scuole secondarie i ragazzi vanno a ripetizione di molte materie scolastiche che si affiancano allo studio delle lingue e agli sport togliendo quel tempo libero, vuoto, fondamentale per la crescita.

Si mischiano diverse cause per questo eccesso di attenzione per i figli. I sensi di colpa delle mamme che lavorano, l’ansia di dover fare avere ai ragazzi molte abilità per inserirsi in un mondo lavorativo complicato e il desiderio che il figlio abbia tutto ciò che il genitore non ha avuto e non ha potuto fare. Tutti questi desideri dei genitori si tramutano in “overparenting”, una trappola soffocante per i figli, che rischiano di demotivarsi poiché spaventati dall’aspettativa che grava su di loro. Spesso nonostante le molte abilità questi ragazzi dopo percorsi intensi di studio, sport, attività varie e lingue all’estero, si fermano. Non desiderano e non vogliono fare nulla. Si spaventano e tornano a casa dai genitori.

Forse un’educazione così invasiva non è detto che assicuri buoni risultati. L’idea che gli stimoli ambientali siano fondamentali è giusta, ma non esclude che le caratteristiche genetiche siano altrettanto determinanti. Inoltre è importante non annullare quel tempo vuoto, quella noia che permette all’individuo di auto motivarsi, auto stimolarsi. Attraverso il riconoscimento del proprio desiderio, dei propri interessi si sviluppano quelle specifiche abilità messe in atto istintivamente o ricercate con sforzo per ottenere i risultati desiderati.

Vale la pena quindi fermarsi a riflettere e non esagerare con questa pressione educativa che crea una grande ansia nei ragazzi e nei genitori. Si è partiti con l’idea di arrivare prima a bruciare le tappe i traguardi e si rischia di arrivare molto più tardi. I ragazzi cresciuti così rischiano di lavorare e fare famiglia molto più tardi. Si perdono nello stress e nella debolezza determinati dalla paura di sbagliare, di non essere adeguati. Queste sono le difficoltà in agguato per i nostri figli con overdose di stimoli educativi. Il rischio che si corre è quello di vederli fragili e incapaci di gestirsi. Forse è meglio tornare a metodi meno ansiogeni per avere ragazzi più sicuri e costruttivi.