L’Spd continua a nascondere la verità storica sui crimini della DDR
08 Agosto 2008
di Vito Punzi
Nei giorni scorsi il Governo federale tedesco ha respinto la mozione presentata dal parlamentare indipendente (ex CDU) Henry Nitzsche, con la quale si chiedeva una modifica del paragrafo 130 del Codice Penale. Secondo l’attuale Codice, può subire un condanna da uno a cinque anni di carcere solo chi “riduca, neghi o sminuisca” determinate azioni verificatesi “durante il regime nazionalsocialista”.
Di fronte alle frequenti banalizzazioni delle azioni criminali provocate dal regime della DDR, di cui spesso sono stati protagonisti attuali membri del partito “Die Linke”, Nitzsche ha chiesto al Governo guidato da Angela Merkel se non fosse necessario un ampliamento del citato Paragrafo, così che accanto alla negazione dei crimini nazisti fosse compresa anche la negazione dei crimini commessi durante la dittatura della SED, il Partito Comunista tedesco-orientale.
Il Ministero della Giustizia, in mano alla socialdemocratica Brigitte Zypries, ha risposto semplicemente che “il Governo federale non ritiene necessaria una modifica del Paragrafo 130 del Codice Penale”. D’altra parte sarebbe stato difficile immaginare una risposta diversa da un membro della SPD ad un anno dalle elezioni nazionali: i socialdemocratici devono guardarsi bene dal prendere decisioni che potrebbero danneggiare il loro prossimo alleato, “Die Linke”. “In questo modo però”, ha commentato Nitzsche, “qualsiasi evento criminale che non sia avvenuto negli anni 1933-1945 può essere ridotto e banalizzato senza che chi se ne fa protagonista possa essere perseguito”. Un esempio: la sanguinosa repressione della rivolta operaia berlinese del 17 giugno 1953, messa in opera con il decisivo sostegno dei sovietici, può essere tranquillamente assunta e definita come “misura a difesa della pace sociale”, senza che una qualsiasi Procura possa intervenire.
Lo studio di Schroeder, a leggere la stampa dei giorni scorsi, ha provocato reazioni di grande stupore. In realtà non sono poche le voci che da tempo si levano allarmate a difesa della verità storica. Una di queste è quella di Hubertus Knabe, direttore scientifico del Centro Monumentale di Berlino-Hohenschönhausen. Da noi interpellato, già più di un anno fa, lo storico segnalava “una propensione molto diffusa ad una posizione acritica verso la dittatura della SED”, denunciando anche come la conoscenza di ciò che essa è stata sia piuttosto limitata. “Molti non sanno che i campi di concentramento di Buchenwald e di Sachsenhausen”, raccontava ancora Knabe, “sono stati utilizzati anche dai comunisti.” Un pericoloso mix di ignoranza e accondiscendenza, dunque.
In questa situazione la recente risposta data dal Governo federale alla richiesta di Nitzsche rischia di rafforzare ancor più l’opera di coloro che per opportunismo politico continuano a leggere l’esperienza della DDR sempre e solo all’ombra del Nazionalsocialismo, fino a ritenerla, in confronto ad esso, un esperimento rivelatosi sostanzialmente “innocuo”. E questo nonostante l’intera sua storia stia lì a dimostrare come essa sia stata per decenni la causa dell’annichilimento di centinaia di migliaia di persone.