Luca Zaia e quei “bravi ragazzi” della Lega Nord

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Luca Zaia e quei “bravi ragazzi” della Lega Nord

29 Marzo 2010

Nei giorni scorsi ci siamo chiesti se la destra italiana avrebbe evitato la “Waterloo” dei conservatori che è toccata ai repubblicani americani o al presidente Sarkozy. Per farlo, scrivevamo, sarebbe stato opportuno abbassare i toni dello scontro. Ebbene, c’è almeno un politico italiano che sembra aver seguito questa strada e oggi appare il trionfatore delle Regionali. Il nuovo governatore del Veneto, il leghista Luca Zaia. Mentre va avanti lo spoglio dei voti, però, ci chiediamo se quei toni non siano scesi un po’ troppo sottozero, finendo per congelare le attese ed eventuali sorprese. Dal Veneto alle Puglie s’avanza infatti una generazione di politici così gentili e perbene da far rimpiangere, almeno per un attimo, i vecchi insolenti di una volta.

C’era una volta la Lega Nord che conosciamo tutti, quella dei “vagoni riservati ai milanesi” e dei maiali a pascolare sui terreni di future moschee. Quei tempi sembrano finiti. Un inedito genere di leghista si affaccia sul proscenio della politica italiana, un leader che ha chiuso nell’armadio la camicia verde e – almeno pubblicamente – ha  rinunciato ai fanatismi. La vittoria di Zaia in Veneto è stata annunciata, schiacciante, e il governatore è stato descritto come persona “competente, che rifugge i toni sgradevoli cari ad alcuni suoi compagni di partito”, come ha sottolineato prima del voto il suo predecessore Galan. E’ la prima volta in cui la Lega conquista una Regione italiana, anzi, due, visto che anche Roberto Cota si è imposto in Piemonte. Un bottino che si aggiunge ai 350 comuni e alle 14 provincie dove il Carroccio è già forza di governo.

Strano leghista, Zaia. 43 anni, ingelatinato ed elegante, solo un angolo del fazzoletto verde gli spunta timido dal taschino della giacca. Invece di ributtare a mare i clandestini una volta ha salvato un albanese rimasto intrappolato nella sua auto in fiamme, e al posto delle ronde ha sempre difeso l’Amarone della Valpolicella e il radicchio trevigiano dall’assalto degli OGM. Per Zaia quella del Veneto è un’identità “glocale”, globale e locale al tempo stesso: quella dei grandi gruppi industriali come Benetton e quella dei piccoli e piccolissimi imprenditori, artigiani, agricoltori, operai, che rappresentano la spina dorsale del Carroccio. L’identità del “McItaly”, se lo avete mai assaggiato. Tutto si tiene nell’ideologia territoriale di questo leghista liberale che spende parole buone per il Presidente della Repubblica Napolitano ("Speriamo di averlo ospite a Vinitaly di Verona”) e che nel suo ultimo libro ha descritto l’Unità d’Italia come “Un progetto nobile, concepito da patrioti sinceri e determinati”.

A ripercorrere la scalata al successo di Zaia ci resta solo un dubbio – un interrogativo che s’ingrossa a vista d’occhio se scorriamo con l’indice sulla mappa dell’Adriatico, raggiungendo le Puglie dell’altro grande vincitore annunciato di questa sfida elettorale, il comunista Nichi Vendola; federalista “solidale” anche lui, che non ha mai alzato la voce per imporsi sugli avversari. Va bene la moderazione se serve a vincere le elezioni (un po’ meno l’elogio sperticato del “glocale”) ma non è che, una volta incassato il risultato, gli elettori veneti e pugliesi torneranno a chiedere a Zaia di dire “qualcosa di leghista” e a Vendola, ahinoi, qualcosa di comunista?