Luci e ombre del crowdfunding in Italia
08 Luglio 2016
Alcune settimane fa usciva sul giornale britannico The Indipendent, un pezzo dal titolo “perché l’economia italiana sta per collassare”. L’articolo in oggetto descriveva uno stato al quanto preoccupante, parlando di un’economia che dal 2007 ad oggi si è contratta del 10 per cento, mentre il Paese sopportava una recessione “triple dip” (con tre periodi di crescita zero o negativa). La produzione si è contratta del 12-13 per cento, con una disoccupazione giovanile intorno al 40 per cento. Per non parlare poi di consumi ed investimenti molto più che fiacchi. A questo si aggiungono i problemi del sistema bancario che hanno aggravato la contrazione. Le banche italiane sono frenate da circa 150-200 miliardi di euro di crediti inesigibili o incerti, aumentando l’esposizione di un capitale insufficiente e delle riserve.
Questo ha fortemente limitato l’erogazione del credito all’economia. Infatti, mentre le aziende più grandi hanno “dribblato” il problema facendo ricorso al mercato dei capitali, la stragrande maggioranza delle PMI italiane (quelle dei distretti per intenderci e ha sempre costituito l’ossatura del Paese) non riesce a farlo, presentando delle ricadute negative sul Pil e sull’occupazione. Uno scenario quasi apocalittico, caratterizzato dal crescente indebolimento delle forme tradizionali di finanziamento, tra tutti il credito bancario, ha reso sempre più impellente e pressante la ricerca di soluzioni alternative.
Il crowdfunding rappresenta una possibile soluzione a questo problema e costituisce, allo stesso tempo, un’innovativa modalità di partecipazione alla produzione attraverso i media digitali. Per crowdfunding, letteralmente finanziamento da parte della folla, si intende un processo di finanziamento dal basso, ovvero un processo collaborativo di raccolta fondi che avviene attraverso il web. Questo innovativo strumento, tipica espressione della sharing economy (“economia della condivisione”, che si sostituisce a quella che aveva al centro il concetto di proprietà) muove già cifre significative ed è utilizzato in campi eterogenei che vanno dal sostegno all’arte e ai beni culturali agli aiuti umanitari, al giornalismo indipendente, fino a start up di imprese innovative oltre che alla ricerca scientifica.
L’innovazione principale apportata da questo sistema rispetto ai classici metodi di finanziamento, consiste nella completa assenza di intermediari, in quanto il richiedente fondi ed i possibili finanziatori hanno la possibilità di entrare in contatto diretto tra loro attraverso la comunicazione e l’informazione online. Al fine di permettere l’incontro tra idee e capitale, però, sono nate diverse piattaforme online che hanno assunto la funzione di mediatori. Il sempre più evidente potenziale del web e delle folle ha dato così inizio alla proliferazione delle future piattaforme di crowdfunding, supportate dallo sviluppo di social network quali MySpace (2003), Facebook (2004) e siti di condivisione di contenuti come Youtube (2005), che hanno molto semplificato il contatto e lo scambio di informazioni senza limiti spazio temporali tra utenti.
Per esempio uno dei primi casi di successo di crowdfunding, fu quello del gruppo rock britannico Marillon che nel 1997 raccolse circa 60.000 dollari per realizzare il loro tour negli Stati Uniti attraverso le donazioni online dei propri fan americani. La prima iniziativa autonoma di crowdfunding in campo culturale, invece, fu la campagna Tous Mecenes promossa dal Louvre, per l’acquisto del quadro Le tre grazie di Cranach da un collezionista privato. Per la campagna, iniziata il 13 novembre del 2010, è stato creato un sito internet ad hoc, che dava la possibilità agli interessati di fare una promessa di donazione online o tramite assegno, che sarebbe stata realmente addebitata solo una volta constatato il raggiungimento della somma di denaro necessaria all’acquisto dell’opera. Alla campagna hanno partecipato 7.000 donatori e sono stati raccolti 1,2milioni di euro.
Un esempio tutto italiano di crowdfunding applicato al patrimonio culturale è rappresentato dal progetto Made in Cloister. Attraverso il ricorso alla piattaforma Kickstarter, sono stati raccolti più di 90.000 euro in poco più di un mese, per il restauro del chiostro-lanificio di Porta Capuana nel centro storico di Napoli.
Quello del crowdfunding sembra essere un settore interessante: ma cosa succede in Italia? Secondo un report pubblicato su crowdfunding.org, oggi nel mondo sono attive 452 piattaforme, di cui il 50% in Europa, che operano nei campi più disparati e le più importanti in assoluto sono: Kickstarter, IndieGoGo e l’italiana Kapipal. Invece, secondo il rapporto realizzato dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano in collaborazione con TIM, in Italia a fine 2015 si contavano 82 piattaforme, di cui 69 attive e 13 in fase di lancio.
Rispetto all’ultima mappatura, si nota un forte incremento: nel maggio 2014 si contavano 41 piattaforme attive, con un aumento ad oggi del 68% fra le 69 piattaforme attive, 31 (pari al 45%) sono basate su Ricompense, 13 (il 19%) su Donazioni, 13 (19%) sono piattaforme Equity e 3 (il 4%) si fondano sul Debito le piattaforme ibride risultano 9 (13%), all’interno di queste, il modello più diffuso è quello Ricompense+Donazioni. Per quanto riguarda la distribuzione geografica delle piattaforme, è possibile notare che essa sia sicuramente sbilanciata a favore del nord del Paese, a discapito di un sud ancora indietro e diffidente rispetto al cambiamento
Per quanto riguarda i fondatori di queste piattaforme, invece, il 68% sono uomini, con un’età media di 40 anni, laureati prevalentemente in economia (32%) ed ingegneria (12%). Lo stesso Rapporto sottolinea come le campagne imprenditoriali che sono state finanziate sono quelle che presentavano un fabbisogno finanziario che andava dai 1.000 ai 10.000 euro. È uno scenario molto interessante quello appena descritto, ma gli ostacoli che questa innovativa forma di finanziamento troverà davanti a sé in Italia non saranno pochi.
Prima tra tutti, la presenza di vincoli e regolamentazioni eccessivamente stringenti potrebbero frenare lo sviluppo di questo processo in Italia. A questo si aggiunge la pressione dei concorrenti internazionali che, a fronte di una situazione allo stadio embrionale, potrebbero diventare attori leader nel mercato nazionale. Infine, la tendenza italiana di ricorrere al sistema del credito tradizionale, la scarsa cultura digitale e la poca diffusione delle forme di pagamento elettronico, potrebbero impedire al fenomeno di diventare anche nel nostro Paese, come in molti altri, una realtà stabile e fondata sulla valorizzazione e sul finanziamento di idee e progetti innovativi.
Sarebbe forse il caso che il Governo intervenga con misure concrete sull’argomento, al fine di risolvere questi problemi? Ai posteri l’ardua sentenza.