
Luci e ombre della candidatura Blair alla presidenza del Consiglio Europeo

07 Ottobre 2009
La spinta necessaria alla candidatura di Tony Blair alla nuova e più prestigiosa carica dell’Unione Europea, quella di Presidente del Consiglio Europeo, è arrivata: anche la Gran Bretagna sosterrà il suo ex primo ministro nella corsa alla Presidenza. Questa mossa, dal punto di vista inglese, ha un doppio significato: da una prospettiva europeista, sembra essere un utile strumento per controbilanciare e temperare il prevedibile euroscetticismo del futuro governo conservatore di David Cameron (se stiamo ai sondaggi); da una prospettiva conservatrice, appare una strategia finalizzata a mantenere, per mezzo di Blair, un ruolo chiave e di prestigio in un’Europa sempre più germanocentrica.
In realtà, la nuova Europa del Trattato di Lisbona, dopo il sofferto sì irlandese, ha ancora di fronte a sé una strada irta di ostacoli. Anche la partita per la Presidenza dell’Europa è ancora in gioco, sebbene sia alle sue battute conclusive. E’ solo questione di tempo: la carica andrà affidata entro la fine dell’anno. Sulla nomina di Tony Blair, però, ci sono ancora parecchie riserve. Si oppongono il neo-governo Merkel un blocco di Paesi diffidenti che comprende, tra gli altri, il Belgio e l’Italia. Non piace l’idea di un primo Presidente europeo cittadino di un Paese estraneo all’Unione dal punto di vista monetario, fuori dall’area Schengen e non di certo europeista.
Un paese ed un candidato poco inclini a rappresentare l’Europa Unita progettata a Lisbona. Si aggiunga il turbolento passato di Blair, la guerra in Iraq, e le polemiche che ne sono seguite lasciando tutt’ora dei segni nella figura dell’ex premier. Infine, ad ostacolarlo, la concorrenza di pericolosi outsider candidati alla presidenza, dallo spagnolo Felipe Gonzales all’irlandese Bertie Athern, al lussemburghese Jean Claude Junker. Tuttavia, la candidatura Blair gode ancora di autorevoli appoggi: l’importante investitura politica di Sarkozy; ma anche in patria, dove la trasversalità del candidato laburista piace ai suoi ma anche a numerosi conservatori; e ancora la sua dimestichezza a trattare con gli Stati Uniti; l’essere un progressista vicino alla strategia di Barack Obama, senza il pericolo di essere oscurato dal Presidente americano, perché forte della sua viva personalità, della sua alta immagine pubblica e della sua grande esperienza politica.
In definitiva, il nodo sulla prima e più importante presidenza europea (due anni e mezzo senza rotazioni semestrali) non si è ancora risolto del tutto. Anche i bookmakers inglesi sembrano molto equilibrati: Bertie Athern parte favorito con una quota di 5/2, Junker viene quotato al secondo posto a 3/1 e Tony Blair rimane al terzo posto con una quota pari a 7/2; vista, però, la proverbiale cecità in ambito politico dei bookmakers britannici, l’ex primo ministro inglese, scoprendo la sua quotazione, avrà probabilmente tirato un sospiro di sollievo.