Luci e ombre della collaborazione Italia-Usa nella Difesa

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Luci e ombre della collaborazione Italia-Usa nella Difesa

30 Maggio 2009

(Tratto da www.affarinternazionali.it)

La collaborazione transatlantica nel mercato della difesa ha fatto registrare, nell’ultimo mese, segnali sia positivi che negativi. Questa alternanza di elementi contraddittori ha creato un inevitabile clima di confusione, quasi di sbandamento, fra quanti riescono o devono concentrarsi su questi temi, sfuggendo alle assordanti campagne di opinione sulle tragicommedie nazionali. Non è, oltre tutto, facile guardare avanti in un paese abituato a vivere e decidere sul breve periodo. Ma i rapporti transatlantici riguardano le prospettive strategiche del nostro paese e devono, quindi, essere esaminati nel medio-lungo periodo. Questo vale anche per un segmento specifico come il mercato della difesa.

I segnali positivi
Il 3 maggio è entrato in vigore il nuovo Memorandum of Understanding (MoU) sul Reciprocal Procurement for Defence, firmato il 20 ottobre 2008 a Washington dai ministri della Difesa italiano e americano. Dando prova di un’inaspettata efficienza, le nostre istituzioni sono riuscite a ratificare il nuovo accordo nel giro di sei mesi: un vero e proprio record nel campo dei trattati internazionali. Questo MoU sostituisce quello firmato nel 1978 che formalmente non è mai stato ratificato dall’Italia, nonostante riguardasse la collaborazione con il nostro principale alleato. In compenso sono stati ratificati la metà degli ottanta accordi stipulati dall’Italia nel campo della difesa, inclusi alcuni con paesi con i quali non abbiamo praticamente nessuna attività comune e, per di più, impegnando in molte occasioni il Parlamento in lunghi e defatiganti dibattiti. Questo MoU è destinato a fornire un’adeguata cornice giuridica alle attività della Difesa che coinvolgono gli Stati Uniti e a fare da ombrello ad alcuni accordi settoriali che, nel frattempo, sono stati realizzati.

Il più importante è quello sulla entrato in vigore il 1Ëš agosto 2006. Sulla sua base sessanta imprese italiane hanno sottoscritto il Codice di Condotta col nostro Ministero della Difesa che le fa entrare nel sistema di garanzie reciproche fra i due paesi. In questo modo sono considerate “affidabili” come fornitori sia del Dipartimento della Difesa (DoD), sia di eventuali imprese americane che le volessero utilizzare come sub-fornitori. Grazie a questo accordo, inoltre, l’Italia è esonerata dai vincoli “protezionistici” americani che impongono un certo livello di contenuto americano in alcuni tipi di equipaggiamenti militari ed è più tutelata nell’utilizzo di prodotti/componenti di provenienza americana. Già alla fine dello scorso anno una fornitura per le nostre Forze Armate ha potuto beneficiare di questa posizione privilegiata.

Un secondo segnale positivo è la disponibilità recentemente manifestata dal DoD di appoggiare la prossima richiesta italiana relativa alla riduzione dei controlli americani sulle loro esportazioni militari verso il nostro paese. La complessità e la rigidità della normativa Itar scoraggiano, infatti, una più stretta collaborazione e rischiano anzi, di comprometterla in futuro. Quando, infatti, fra tre anni andrà a regime la Direttiva europea sui trasferimenti intra-comunitari, l’utilizzo di componenti americani in prodotti italiani ne impedirà la libera circolazione nell’Unione europea, sfavorendone la vendita. Già da ora, inoltre, tale utilizzo danneggia le nostre imprese nell’ambito dei programmi intergovernativi europei. Soprattutto di quelli che, come il Joint Strike Fighter (Jsf), hanno anche una parte basata sulla competizione, e anche nelle loro attività svolte sul territorio americano, non consentendo poi un diretto ri-trasferimento delle innovazioni di prodotto e di processo in Italia. Non sarà facile ottenere l’auspicato allentamento dei controlli, come dimostra l’esperienza inglese non ancora conclusa dopo tre anni, ma è una strada obbligata per rafforzare la cooperazione transatlantica.

Un terzo segnale positivo è stato il parere favorevole del Parlamento sulla partecipazione italiana alla fase di produzione del velivolo F- 35/JSF. Come è già stato sottolineato su questa rivista, si tratta di una decisione di fondamentale importanza per le Forze Armate italiane e per l’industria, destinata a condizionarne il futuro. Anche se resta qualche problema da risolvere sul piano del nostro coinvolgimento industriale, dovuto alla non sufficiente attenzione e disponibilità della capo-commessa Lockheed Martin, in breve dovrebbe poter essere presto raggiunto un accordo definitivo. Ed è proprio il carattere “strategico” di questo accordo che dovrebbe consentire di superare sia gli ultimi ostacoli, sia le potenziali implicazioni derivanti dai segnali negativi che, nel frattempo, sono arrivati da oltre-oceano.

Il rovescio della medaglia
Il primo segnale negativo è la cancellazione della seconda fase del programma per l’elicottero presidenziale VH 71. Al di là delle comprensibili preoccupazioni americane sull’aumento dei costi, per altro dovuto alle loro continue nuove richieste di cambiamenti, resta il fatto che il programma, dopo essere stato il simbolo dell’apertura del mercato americano alle imprese europee, rischia ora di diventarne il simbolo della chiusura. Nella storia del procurement americano vi sono state altre fasi di attacco a quello che viene definito “imbarocchimento” tecnologico (la poca attenzione al rapporto fra incremento dei costi e delle prestazioni e, a volte, l’inutile esasperazione delle prestazioni richieste), ma desta perplessità la scelta dell’elicottero VH 71 come “agnello sacrificale”. È opinione diffusa che l’Amministrazione americana abbia ampiamente sottovalutato le implicazioni politiche di questa sua decisione che va, per altro, a colpire proprio i due paesi europei che più hanno scommesso su uno stretto rapporto con gli Usa, ovvero Italia e Regno Unito. Oltre tutto, l’attuale elicottero andrà presto sostituito e, a meno di non degradare le esigenze in modo sospetto, la macchina europea resterà il migliore candidato.

Il secondo segnale negativo è il dimezzamento del programma per il velivolo da trasporto tattico C27J. Anche se è presto per considerare questa decisione definitiva (i suoi effetti si sentiranno solo fra alcuni anni) e pur potendo essere compensata da vendite a paesi terzi via Foreign Military Sales (Fms), resta un problema di fondo legato alla credibilità dello stesso DoD come cliente. Quando il programma fu lanciato, gli unici due competitori (per altro europei) furono spinti a cercare partner americani sia per rispettare i previsti tempi di consegna, sia per adeguare il prodotto alle specifiche esigenze e tradizioni delle Forze Armate americane, sia per avere maggiore supporto politico dal Congresso. I loro piani si sono basati sulle dimensioni e sulla durata del programma inizialmente previsti. È evidente che cambiare le carte in tavola a programma avviato comporta costi e difficoltà che rischiano di ridurne il valore industriale, oltre che finanziario.

Per consolidare un futuro mercato transatlantico della difesa è necessario fare, quindi, molta attenzione ai segnali che possono derivare indirettamente da decisioni prese in base a altre considerazioni, perché si interviene su un rapporto ancora non consolidato e il rischio è quello di scoraggiare proprio i paesi più disponibili e interessati.

© AffarInternazionali