Luci e ombre delle “wiki-costituzioni”

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Luci e ombre delle “wiki-costituzioni”

26 Maggio 2013

C’è un Paese europeo dove Internet è stato sinonimo di riforme costituzionali. L’Islanda. Qui, nella «Terra del Ghiaccio» e del vulcano Eyjafjoell, in questo pezzo di roccia nordica che vanta la più antica assemblea parlamentare d’Europa, «l’Albing», governo e cittadini hanno scelto di riscrivere la Costituzione usando Internet. Il web è diventato il luogo dove discutere e condividere le proposte di modifica elaborate dalla Consulta formata dai membri della società civile incaricati di riscrivere la Carta del 1944. La legge di riforma costituzionale è stata poi approvata con un referendum popolare nell’ottobre del 2012. L’esperienza islandese può servire da pietra di paragone per il processo riformatore italiano? Probabilmente sì perché di quel processo ci aiuta a comprendere luci e ombre.

L’Islanda è stato il primo Paese occidentale travolto dalla crisi della finanza internazionale, prima ancora degli Usa e dell’Europa. Si dice che nel regno degli antichi vichinghi la situazione degenerò tanto da spingere alcuni banchieri a lasciare precipitosamente il Paese sotto la pressione della «Rivoluzione delle pentole». L’economia dell’Islanda che aveva conosciuto una lunga serie di dati positivi e una crescita annua del 6% (il triplo di quella europea), una delle nazioni più floride al mondo, veniva spezzata come un fuscello dai singulti della deregulation. La crisi economica era anche crisi politica. Dal 2007 al 2009 l’Islanda è stata guidata da un governo delle «larghe intese» cioè da un’alleanza tra il conservatore Partito dell’Indipendenza e la Coalizione socialdemocratica. Nel 2008, mentre la politica cercava di compattarsi per resistere allo tsunami finanziario, nasce l’idea di riscrivere la Costituzione per modificare quella nata dopo l’indipendenza dalla Danimarca, avvenuta alla fine della Seconda Guerra mondiale. L’obiettivo è molteplice, cambiare l’assetto istituzionale della Repubblica, trovare antidoti alla sregolatezza finanziaria, preservare l’ambiente e la natura dell’isola. Riforma delle istituzioni e dei mercati si fondono in una idea di sviluppo sostenibile che nel 2009 premia la signora Sigurdardottir, il nuovo premier a capo di una coalizione tra socialdemocratici, sinistra e verdi, che nel 2010 dà il via ufficiale al processo costituente.

Viene creata una Consulta costituzionale  – «Stjornagarad» – composta da cittadini comuni, senza tessere di partito, che hanno il compito di riscrivere la bozza della nuova Carta sulla base del corposo documento (700 pagine) redatto dal National Forum. Nella Consulta ci sono docenti universitari e sindacalisti, avvocati e contadini, giornalisti e registi del cinema. Durante il 2010 ai cittadini islandesi viene data la possibilità di seguire in diretta streaming i lavori della Consulta contribuendo online alla stesura della bozza costituzionale. I diversi passaggi del processo vengono scanditi sul sito istituzionale dell’organismo costituente mentre i social network come Facebook, Twitter, You Tube, servono a diffondere dubbi idee e risultati. Flickr, ad esempio, viene usato per postare le foto dei “Padri costituenti” e renderli volti familiari al grande pubblico. Gli esperti di Internet dicono che è il trionfo del «crowdsourcing», la risposta di Internet al collasso del sistema bancario e alla instabilità della classe politica islandese. Il web mobilita i cittadini e produce un documento "scritto dal popolo e per il popolo". Era proprio sulla base di questi principi che i mille cittadini del National Forum avevano selezionato i membri della Consulta.

«Credo che sia stata la prima volta che una Costituzione è stata scritta quasi completamente grazie a Internet,» dice Thorvaldur  Gylfason, uno dei rappresentanti della Consulta, «i cittadini hanno visto la Carta prendere forma proprio sotto i loro occhi, è stato qualcosa di molto diverso dal passato, quando le costituzioni venivano redatte nel chiuso di un Palazzo». Gylfason è un professore universitario ed è convinto che anche il livello della discussione, la qualità degli interventi, i commenti giunti dagli internauti siano stati «di grande aiuto per la Consulta» e che abbiano avuto «un effetto positivo sul risultato finale». La partecipazione virtuale è favorita dall’altissima diffusione della banda larga nell’isola e dalla forte alfabetizzazione informatica della popolazione: l’80% dei cittadini ha una connessione e 2/3 degli islandesi sono iscritti a Facebook. Nel luglio del 2011 la Consulta presenta la “wiki-costituzione” al Parlamento che indice un referendum confermativo. Nell’ottobre del 2012 il SI vince e la riforma passa alla discussione degli «Albingi», il Parlamento.

Da un punto di vista dell’ordinamento dello Stato non sono state riforme da poco. Viene definito il limite di tre mandati per la Presidenza della Repubblica specificando ruolo e funzioni del Capo dello Stato; ribadita l’indipendenza del potere giudiziario, toccata la legge elettorale, fissate le regole per le consultazioni referendarie. Una grossa novità è quella di permettere all’elettorato di inviare al Parlamento delle proposte di legge. E’ evidente che innovazioni del genere vanno nella direzione della democrazia diretta, rischiando di bypassare il tradizionale sistema rappresentativo e di eliminare quelle «mediazioni» tra cittadini e potere che contraddistinguono i sistemi costituzionali d’impronta liberale. L’alternativa è quindi tra democrazia elettronica diretta e un sistema in cui Internet è un «primus inter pares», tra il sogno grillino di eleggere il Presidente della Repubblica con un clic e il realismo di chi preferisce mediare tra reale e virtuale, tradizione e innovazione, dentro un processo di consultazione popolare dove al lavoro svolto dai «tecnici» si affianchi il web con le sue potenzialità di apertura e trasparenza.

La sperimentazione islandese da questo punto di vista presenta luci e ombre. La fretta – una parola che risuona spesso anche nei social network e nei blog italiani, «sbrigatevi!, fate in fretta!» – secondo alcuni in Islanda è stata cattiva consigliera. «Scrivere una Costituzione in quattro mesi non ha assolutamente senso,» ha detto Gunnar Grimsson, fondatore della Citizen Foundations, una organizzazione non-profit che promuove la democrazia elettronica nell’isola. Secondo Grimsson la Consulta ha fatto un buon lavoro ma il Governo ha economizzato troppo sui tempi del processo, stretto com’era dalla congiuntura finanziaria negativa. «Il Governo non aveva l’esperienza adatta per affrontare un’operazione così grande di democrazia interattiva,» sostiene Kristinn Mar Arsaelsson, un’attivista che ha studiato i lavori della Consulta e seguito il processo di revisione costituzionale sul web, «Non c’è stato un interesse concreto del Governo verso un cambiamento del sistema democratico in direzione della democrazia diretta». Magari è un bene.

«Il premier Sigurdardottir non si è mai confrontata con noi, non è venuta a trovarci, non ci ha parlato», è l’accusa lanciata di un altro mediattivista, Astros Signyjiardottir, «stavamo scrivendo una nuova pagina della nostra storia e sembrava che non interessasse a nessuno. I media stranieri hanno raccontato che la Nazione ha redatto la Costituzione, ma a farlo in verità sono stati solo quelli interessati a visitare il sito della Consulta e a lasciare un commento».  Come dire, c’è il rischio che sia venuto fuori un documento parziale, inadeguato rispetto alle aspettative, contraddistinto da intoppi procedurali. E qualche buco nero. La questione della sicurezza legata ai processi di riforma costituzionale sul web, infatti, fu il piatto forte del «hackaton» tra cervelloni e programmatori di Internet riuniti al capezzale della Rivoluzione del Loto, in Egitto, per cercare di salvare la primavera araba attraverso un processo riformatore catalizzato da Internet. Anche in Italia evitare che “troll” e guastatori possano infiltrare la democrazia elettronica è un problema serio,  neanche i guru di Casaleggio & Associati sono stati capaci di fermarli.

Un altro punto di debolezza appare il reale coinvolgimento della popolazione attraverso l’informatica. Nonostante i dati citati in precedenza sulla grande familiarità dei cittadini islandesi con Internet, rispetto a una popolazione di quasi 320mila abitanti i commenti sul sito della Consulta sono stati solo qualche migliaio, i “wiki-suggerimenti” di modifica alla bozza costituzionale qualche centinaio, i “mi piace” sulla Fan Page Facebook circa 6.000. Pochino rispetto a un obiettivo così ambizioso. In Italia, dove l’alfabetizzazione informatica, la diffusione della banda larga, l’educazione civica, sono molto più basse, cosa accadrebbe aprendo la porta alla democrazia diretta? Se venisse data la possibilità ai cittadini di inviare proposte di legge al Parlamento e fossero allargate le maglie giuridiche dello strumento referendario finirebbe che pochi deciderebbero per tutti. Una percentuale minima della popolazione avrebbe dei diritti che nelle democrazie parlamentari le minoranze semplicemente si sognano.

Illuminare le ombre dell’esperimento islandese non significa disconoscerlo. Un suggerimento ai nostri “Costituenti” potrebbe essere quello di coinvolgere nel processo riformatore qualche testa d’uovo dei grandi colossi di Internet, per capire effettivamente lo stato dell’arte della tecnologia a disposizione. Si potrebbero esplorare strumenti come Google Moderator, “spugna” capace di parlare al proprio pubblico e ascoltarlo simultaneamente, oppure gli editor collaborativi come Etherpad o il più conosciuto Pirate Pad (protagonista del processo costituente on line dopo la Rivoluzione del Gelsomino in Tunisia). Infine migliorare dove possibile il sempre funzionante e reattivo modello Wikipedia. Siamo quindi di fronte a una doppia necessità, stimolare un sincero coinvolgimento popolare e stare al passo con le tecnologie.

Una Costituzione non nasce dall’interesse anche nobile di pochi ma dalla convergenza di molti. Il risultato dovrebbe star bene a tutti, compresi quelli che non lo condividono fino in fondo. C’è chi crede che il mondo possa essere cambiato dando la banda larga a tutti e chi invece ritiene che affidarsi ancora a rappresentanti liberamente eletti nelle istituzioni sia la scelta migliore. La democrazia diretta sul web ha un’estrema fiducia in se stessa. La democrazia come l’abbiamo conoscita nel Novecento oggi sembra non avere più fiducia nei suoi rappresentanti. La quadra sarebbe trovare un punto di equilibrio tra decisione e rappresentanza, azione diretta e mediazione politica, Internet e la realtà. Ma non è facile è non si tratta di un processo da inventare in una notte.