L’unico che ancora conserva il posto fisso (anzi, due!) è Mario Monti
02 Febbraio 2012
di redazione
Anche i musicisti a un certo punto dovettero abbandonare l’idea di un posto fisso. L’aristocrazia declinante di inizio Ottocento li consegnò alla competizione permanente della libera professione e per un po’ l’unica cosa che riuscirono a inventarsi per incantare il pubblico fu quella di coltivare il tecnicismo.
Nell’era dei tecnici al potere, il virtuosismo consiste nel percorrere il cammino all’inverso: dalla precarietà alla stabilità. Un uomo solo però è riuscito nell’impresa di accumulare non un posto fisso, ma due.
Percependo di questi tempi l’incertezza persino del posto di ruolo presso l’Università commerciale Luigi Bocconi di Milano, o forse nel tentativo di esorcizzare omeopaticamente la noia di esservi professore da oltre trent’anni e fino alla pensione, Mario Monti ha accettato il posto fisso anche in parlamento, come senatore a vita. In questo caso, senza neppure un’età pensionabile e semmai con il possibile intervallo di un settennato al Quirinale.
Può un collezionista spiegarci se il diritto al perseguimento della felicità contempli o meno l’illusione del posto fisso e se il suo raggiungimento non si tramuti in fondo in noia?
Vi sono modelli interpretativi concorrenti sul concetto di noia ma certo, come diceva Proust, è uno dei mali meno gravi che dobbiamo sopportare.
Quanto al posto fisso, però, va bene tutto – impegnarsi, inseguirlo, detestarlo, rifiutarlo –, tranne che le prediche e coltivare la pretesa che esso costituisca un diritto di cittadinanza. E questo a prescindere dalle contingenze economiche.