L’unico effetto della riforma Monti sarà ingessare ancor più il mercato del lavoro

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L’unico effetto della riforma Monti sarà ingessare ancor più il mercato del lavoro

12 Aprile 2012

Che cos’è la “stabilità” di un rapporto di lavoro? La domanda, messa così crudamente in incipit, è il fulcro della questione su cui sta ruotando e giravoltando la discussione sulla riforma del mercato del lavoro. Da Monti a Camusso, da Fornero a Marcegaglia, da Alfano a Bersani sono tutti d’accordo sul fatto che la riforma debba contribuire a creare occupazione – “in qualità e quantità” come viene affermato nel primo dei 72 articoli del disegno di legge di riforma (una Bibbia del lavoro!) – al fine di favorire la crescita economica e sociale.

Nonostante questa unanimità di consenso sul fine ultimo della riforma, non tutte le posizioni si ritrovano poi concordi sulle modifiche normative necessarie a perseguirlo; anzi la divergenza è spaventosamente ampia, inconciliabile, dimostrata dallo stop and go del governo nell’esasperato (quanto inutile) tentativo di cercare un consenso unanime. La causa di tutto sta in quel concetto di “stabilità” del rapporto di lavoro, che da circa cinquant’anni è croce e delizia del nostro mercato del lavoro, contribuendo a schedare il mercato del lavoro in occupazioni di serie A e B e, peggio, in lavoratori di prima e seconda categoria. E’ l’art. 18 insomma, foriero di una lotta puramente ideologica sulla concezione del lavoro e del diritto del lavoro.

Quanto detto proverò a darne riscontro in un confronto parallelo tra due proposte di riforma: quella approdata in Parlamento e quella avanzata dalla Fondazione Magna Carta nel libro “L’Italia non è un Paese per giovani”, di cui sono autore, con prefazione dell’ex ministro del lavoro, Maurizio Sacconi, e con postfazione di Giuliano Cazzola, vicepresidente commissione lavoro della Camera. In una necessaria sintesi imposta dalla brevità di questo articolo, le due riforme (nel prosieguo: MONTI e FMC) sono confrontate nei tre aspetti della flessibilità in entrata, degli ammortizzatori sociali e della flessibilità in uscita. 

1)      Flessibilità in entrata

Riforma MONTI: ribadisce il rilievo prioritario del lavoro subordinato a tempo indeterminato quale forma comune di rapporto di lavoro (“contratto dominante”). In 10 articoli ecco le principali novità:

·         contratto a termine = più costoso e meno flessibile per aziende, salvo che in occasione del primo contratto di sei mesi per il quale non occorrerà giustificare il motivo dell’assunzione a termine;

·         contratto di inserimento = abrogato;

·         contratto di apprendistato = meno flessibile nelle assunzioni delle grandi aziende, con vincoli relativi alla presenza di dipendenti qualificati e alla stabilizzazione dei precedenti rapporti di apprendistato;

·         contratto a tempo parziale = burocratizzato e sindacalizzato su clausole flessibili ed elastiche;

·         lavoro a chiamata = burocratizzato (comunicazione obbligatoria preventiva in caso di chiamata);

·         lavoro a progetto = è il fine che giustificherà le nuove co.co.pro., che vengono legittimate ad un  risultato finale, certo e collegato a un progetto altrettanto specifico. I sindacati avranno più voce con facoltà di circoscrivere l’ambito operativo individuando attività proibite e consentite. Costo del lavoro alle stelle con aliquota contributiva (gestione separata Inps) che salirà al 33% nel 2018;

·         partite Iva = saranno considerate co.co.pro., salvo prova contraria del committente, se ricorrono due di questi presupposti: collaborazione oltre sei mesi in un anno; corrispettivo più del 75% del reddito di un anno; postazione di lavoro presso la sede del committente. Quando il “rapporto con partita Iva” è ritenuto “co.co.co.” sarà necessario, per la sua legittimità, la presenza di un progetto; se manca scatta la conversione in rapporto subordinato a tempo indeterminato;

·         associazione in partecipazione = limitazione a tre associati di lavoro (o di capitale e lavoro). Salirà l’aliquota contributiva (gestione separata);

·         voucher = limitato salvo che in agricoltura, dove c’è in pratica una liberalizzazione. Salirà il contributo Inps, oggi al 13%, in funzione degli incrementi dei co.co.pro.

·         tirocini formativi = prevista delega di riforma.

Proposta di riforma FMC:

·         approva l’utilità della convivenza sul mercato del lavoro delle attuali tre tipologie di lavoro e occupazione – dipendente (ossia subordinato), indipendente (ossia parasubordinato) e autonomo (ossia intraprendente) –, quali alternative possibili per realizzare le aspirazioni professionali della ‘persona’ del lavoratore;

·         assegna prevalenza assoluta (rectius esclusiva) al rapporto a tempo indeterminato, quale forma ordinaria di contratto di lavoro “subordinato” (dipendente) a prestazioni continuative, ripetitive ed esclusive nei confronti di un unico committente;

·         (di conseguenza) propone l’introduzione del divieto delle prestazioni non intellettuali esplicate sotto forma di rapporti parasubordinati o autonomi, cioè l’esclusività del contratto di lavoro subordinato per tutte le attività manuali.

2)      Ammortizzatori sociali

Riforma MONTI: ristruttura l’attuale sistema di ammortizzatori sociali, con ripartizione a tre vie:

1.      ammortizzatori sociali = introduce un’unica forma di disoccupazione, chiamata Aspi, di cui possono fruire i lavoratori dipendenti (titolari di contratto di lavoro subordinato), compresi gli apprendisti e i soci lavoratori di cooperative con rapporto subordinato; riformula i requisiti per l’una tantum a favore dei lavoratori a progetto e co.co.co., già prevista dal ministro Sacconi;

2.      tutele in costanza di rapporto di lavoro (solo “subordinato”) = riformula la cassa integrazione straordinaria e la mobilità;

3.      prevede interventi per l’esodo dei lavoratori anziani da aziende in crisi (con oneri a carico delle imprese per prepensionamento e contributi); e introduce incentivi alle assunzioni di lavoratori ultracinquantenni e donne.

Proposta di riforma FMC: sulla base del principio costituzionale (articolo 4) che il lavoro ha pari dignità e pari diritto a essere tutelato in ogni sua forma ed espressione, a prescindere dalla tipologia di svolgimento, prevede l’universalizzazione degli ammortizzatori sociali, con estensione a favore di tutti i lavoratori e con oneri contributivi a carico di tutte le aziende/lavoratori. Quale unica e sola specificità, propone l’introduzione di un’indennità aggiuntiva a favore dei soli lavoratori dipendenti in caso di licenziamento, da erogarsi a cura dell’Inps o enti bilaterali, finanziata con un contributo aggiuntivo pagato solo dalle imprese (ad esempio, allungare il tempo di godimento dell’indennità di disoccupazione fino a 24/36/48 mesi).

3)      Flessibilità in uscita

Riforma MONTI: ridisegna la disciplina vigente, con i seguenti interventi:

·         riformulazione dell’art. 18 (reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro), distinguendo tre casi: 1) licenziamenti discriminatori (reintegro); 2) licenziamenti disciplinari (reintegro o indennizzo); 3) licenziamenti economici (reintegro nei casi di infondatezza delle ragioni poste a base del licenziamento consistenti nell’inidoneità del lavoratore o di manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento; altrimenti indennizzo);

·         riformulazione dei licenziamenti collettivi sulla base del nuovo art. 18;

·         introduzione di un rito specificatamente dedicato alle controversie giudiziali sui licenziamenti in base all’art. 18.

Proposta di riforma FMC: abrogazione dell’art. 18 della legge 300/1970.

Conclusioni

A questo punto vanno tirate delle conclusioni. La riforma Monti restringe la flessibilità in entrata, dà poco o niente di nuovi ammortizzatori e poco o niente modifica la flessibilità in uscita; in una sola parola, contribuirà ad ingessare il mercato del lavoro. Dunque, a riforma compiuta, le imprese avranno minor convenienza ad assumere, e i lavoratori di conseguenza minori opportunità di lavoro: la disoccupazione crescerà e le aziende guarderanno ancora con più attenzione ai mercati esteri verso cui spostare i propri insediamenti produttivi, come pure le imprese estere guarderanno molto meno al nostro paese quale mercato per poter investire. Ma perché dovrebbe succedere proprio questo? Provo a spiegarlo dal punto di vista delle imprese.

Sul mercato del lavoro il reclutamento di manodopera è possibile oggi attraverso tre principali modalità: lavoro subordinato, parasubordinato e autonomo. Per ciascun tipo è prevista una specifica disciplina retributiva e contributiva e di regime di protezione d’impiego. Il totale di queste tre discipline (retributiva, contributiva e di protezione d’impiego) rappresentano il “costo” del lavoro per l’impresa: costo diretto le prime due, costo indiretto (aleatorio, probabile) la terza. Il lavoro subordinato è quello più tutelato, in ogni aspetto; il lavoro parasubordinato e quello autonomo, invece, sono assistiti da minori tutele retributive e contributive e da nessuna garanzia sull’impiego (non vale l’art. 18). Sul mercato del lavoro, inoltre, vige un sistema di ammortizzatori sociali che interviene, per un periodo limitato di tempo, a tutelare economicamente (il reddito) i lavoratori che perdono l’occupazione (indennità di disoccupazione), nonché in caso di crisi occupazionali consentendo di rinviare (nella speranza della ripresa della capacità produttiva dell’impresa) lo stato di disoccupazione (cassa integrazione o mobilità). Anche sotto questo aspetto, la tutela è massima per il lavoro subordinato, mentre è praticamente nulla per quello parasubordinato e autonomo.

Un mercato del lavoro così strutturato manifesta più di una limitatezza in ordine a una allocazione ottimale (occupazione e tutele). Dal punto di vista della domanda di lavoro, cioè delle imprese, la garanzia d’impiego (ed eccoci arrivati alla domanda posta all’inizio: il principio della “stabilità”) influenza negativamente la tipologia di lavoro subordinato. I vincoli al licenziamento, infatti, condizionano l’assunzione di nuovo personale laddove la necessità di maggiore manodopera dovesse presumersi non definitiva per la produzione: si crea, dunque, un clima di aleatorietà per la decisione e l’impresa preferirà rinviare la scelta (per non rischiare di accollarsi costi “inutili”), rinunciando se necessario anche a quote ulteriori di produzione, se ciò dovesse bastare a preservare il risultato finale d’impresa. In questo caso si verifica una potenziale perdita di occupazione perché, seppure ci sia disponibilità di contratti flessibili per l’assunzione temporanea di dipendenti, questi sono comunque caratterizzati da una certa dose di aleatorietà sugli effetti circa l’applicazione delle garanzie di stabilità all’impiego (cioè resta il rischio di un eventuale contenzioso per la conversione del rapporto temporaneo a tempo indeterminato); questi aspetti peggioreranno con la riforma Monti.

A questo punto si può azzardare una giustificazione della bontà presunta nella proposta di riforma FMC. La presenza di un alto livello d’influenza della garanzia d’impiego sulla domanda di lavoro lascia presumere la possibilità, sul mercato del lavoro, di introdurre misure che consentano di raggiungere un livello di occupazione migliore di quello attuale, sia quantitativamente (numero) che qualitativamente (tutela invariata del lavoratore), cioè in termini di efficienza ‘giuridica’. A tal fine, serve una riduzione delle attuali norme sulla garanzia di impiego, che significa una riduzione del costo del lavoro. Per far questo la soluzione possibile è quella di liberare le imprese dagli oneri indiretti rappresentati esclusivamente dal regime di stabilità dell’impiego: l’art. 18 in altre parole. Tuttavia l’abrogazione dell’art. 18 (che concorre a migliorare ‘quantitativamente’ l’occupazione) non deve produrre un arretramento delle tutele dei lavoratori (per far si che non si venga a produrre un peggioramento ‘qualitativo’ dell’occupazione); a tal fine, la riforma deve “riallocare” la garanzia della stabilità spostandola dai costi indiretti (dove oggi risiede nella piena aleatorietà: succederà o no la reintegrazione del giudice?) a quelli diretti. Pertanto, accanto all’abrogazione dell’art. 18, andranno introdotte nuove misure di ammortizzatori sociali (i costi vanno comunque a carico delle imprese) per sostituire quella stabilità che oggi, comunque a carico dei datori di lavoro, continua a condizionare negativamente, dal punto di vista quantitativo e qualitativo, l’occupazione italiana.