L’Unione, i Trattati di Roma e il disamore dei popoli europei
22 Marzo 2017
Oggi alla Biblioteca del Senato si celebrano in modo critico, o perlomeno problematico, i Trattati di Roma, che tra due giorni, sabato prossimo, saranno ricordati durante il sessantennale degli accordi del ’57, che diedero vita alla Cee, la comunità economica europea, insomma all’Europa un po’ come la conosciamo oggi. Sui giornali di sabato leggeremo che è stato il più lungo periodo di pace della storia europea, che ci abbiamo guadagnato un mercato unico dove persone, merci e capitali possono spostarsi liberamente, che l’Euro e l’Europa hanno dato ai cittadini prosperità e stabilità.
Nelle loro relazioni, i senatori Quagliariello e Tremonti e il professor Masera, spiegano al di là di facili retoriche cosa è rimasto di questa Europa a sessant’anni di distanza, cosa non ha funzionato, cosa c’è alla radice della crisi che ha investito negli ultimi anni il Vecchio continente. Perché una cosa bisogna chiedersi, c’è o non c’è un sempre maggiore disamore dei popoli europei verso le istituzione della Unione? Per la generazione over quaranta l’Europa è stata per molto tempo la panacea di tutti i magli, doveva non solo permetterci di viaggiare o studiare con l’Inter Rail o l’Erasmus ma creare un continente più unito, con regole condivise, l’Unione avrebbe dovuto sostenere i governi nazionali nel tenere in ordine i conti pubblici e sotto controllo il debito. Ma ad anni di distanza, cosa ci resta oltre l’ideologia del “rigore”? Una profonda disillusione e il disamore verso Bruxelles, se è vero che una buona fetta degli italiani guarda con occhi critici alle istituzioni europee e una minoranza degli italiani da questa Europa vorrebbe uscire.
A questo dobbiamo aggiungere cosa sta accadendo da un punto di vista della geopolitica interna all’Unione e al livello internazionale, dove con la vittoria di Brexit e di Trump abbiamo assistito a un profondo cambio di paradigma. A livello interno, se sgombriamo il campo dalla retorica dell’ex premier Renzi sul ritorno allo spirito di Ventotene, ai valori originari dei padri fondatori, la realtà dei fatti è che l’Europa è sempre più divisa in blocchi di influenza concorrenti, vedi la Germania che oggi arriva fino al porto di Rotterdam in Olanda, il blocco dei paesi nordici, il V4 o gruppo di Visegrad – nella Europa centro-orientale – che fa da anni manovre militari congiunte. Ci sarebbe anche l’Europa del Sud, l’Europa meridionale e mediterranea ma non è chiaro se l’Italia può avere l’ambizione di guidare questo blocco, non fosse altro per le divisioni fisiche che ci separano da Spagna e Grecia.
A livello internazionale, si diceva che Brexit non avrebbe mai potuto vincere e invece ha vinto, si diceva che Trump non sarebbe mai diventato presidente degli Usa e invece oggi siede alla Casa Bianca, insomma, Brexit, Trump, l’avanzata delle forze noeuro sono altrettanti scricchiolii nella costruzione europea che conoscevamo e se vogliamo evitare che divengano uno smottamento allora bisogna fare un tagliando all’Europa e la domanda a questo punto diventa: la politica sarà in grado di fare un tagliando a questa Europa e come?