L’unità di noi ragazzi e la bandiera che rappresenta una costituzione dipinta
17 Marzo 2011
Correva l’anno 2006, si usa dire in storia, quando la sera del 9 luglio tutti fummo pieni dentro d’essere italiani; ce lo ricordiamo bene noi ragazzi con le facce dipinte e sbavate da lacrime leggere. Ciascuno di noi forse per la prima volta spingendo il peso di una bandiera come la nostra o sentendone i colori sulla schiena.
La nostra bandiera questi giorni affiora dappertutto per il suo anniversario ed è proprio a noi ragazzi spesso descritti nei modi più coloriti e meno veritieri che tocca chiederci quale sia il perché della nostra bandiera, cosa può volerci dire un pezzo di stoffa dopo più di cent’anni. Io la definirei una costituzione dipinta, la tela dei nostri valori che devono attraversare le dimensioni temporali: ci ricorda la nostra storia, ci accompagna nel presente e deve orientarci in un futuro in cui i confini strettamente geografici nazionali e infra-territoriali diventeranno sempre più labili.
In una riflessione sull’Unità è giusto procedere partendo dalla bandiera senza la fossile retorica che molti usano contro la modernità; è giusto invece affermare che qualsiasi forma di sviluppo che il nostro paese intenda intavolare, qualunque sia l’area geografica che interesserà, è imprescindibile partire dalla conoscenza delle nostre radici, dalla storia, per non cadere in errore, per non cedere a facili mistificazioni, per poter avere un substrato di confronto per analizzare il precedente, criticarlo e migliorarlo. In un momento in cui certi giornali sono organi di giudizio preliminare e in cui certi tribunali sono pagine di gossip, in cui c’è a livello sociale la convinzione maturata e stabilizzata che ciascuno possa agire in nome di se stesso senza mai sentirsi sanzionabile, in cui si subisce la disgregazione reazionaria che il dopoguerra ha apportato a tutto un catalogo di valori, in cui istituti secolari e naturali vengono continuamente discussi, è importante partire dai nostri colori per ricostruire, rinforzare e indottrinare chi molto spesso ignora, molto spesso in malafede.
Verde come i prati e i boschi e le pianure che per secoli hanno costituito la nostra economia fondiaria e che oggi si impongono soprattutto nel mercato internazionale delle produzioni di nicchia nelle quali l’Italia si è sempre distinta. Verde come l’immaginario di qualcosa che si può fare, quindi come idea di libertà di agire, di esprimersi, libertà di impresa. Il Bianco, come diceva Carducci, delle nevi perenni sul cancello privato delle nostre alpi; bianco come una pagina nazionale in cui si mira ad esaltare l’uguaglianza nell’assenza di discriminanti tra gli uomini a livello civile, politico e giudiziario. Rosso come il sangue dei soldati caduti per fare dell’Italia ciò che è , come il sangue che ci fa essere fratelli perché figli dell’idea che la bandiera non è uno strumento demagogico superato ma racchiude in sé arte, letteratura, politica, scienza e storia.
Intrecciando il mito con la storia e con le arti è innegabile per chiunque affermare il primato che l’Italia ha detenuto per anni in campi diversi;e è questo che oggi apre alla crisi perché a volte mancano o sono scoraggiate a progredire le personalità che facciano la differenza, che scrivano la storia che è giusto ricordare, che portino l’Italia ai vertici della scienza, dell’arte, dello sport; cosicché quando questo succede dimentichiamo la crisi, le liti di condominio, le lotte comunali per le doppie file nelle strade, la malavita organizzata e la delinquenza meridionale, l’istruzione insufficiente e l’università corporativa, gli impieghi precari, e le diatribe sull’aborto, sull’eutanasia e tutte quelle mezze verità che da sole ci rappresentano spesso all’estero tralasciando la parte di noi migliore ovvero l’essere vincenti dopo l’ultimo tornante, fuori dall’ultimo tunnel.
Dopo Roma, che tracce indelebili ha lasciato prima di auto distruggersi per mano di spinte personalistiche troppo forti, tutte le lingue, le mani e le corone che hanno transitato sul nostro paese hanno pagato pegno lasciando a noi qualcosa di sé: i bizantini, ripresi successivamente dai normanni, hanno introdotto nel nostro diritto la benedizione sacerdotale del matrimonio e la limitazione compartecipativa tra potere spirituale e temporale che sarà poi alla base del filone giurisdizionalista che maturerà in Italia fino ad arrivare alla Questione Romana e alle Guarentigie per completarsi nei Patti Lateranensi ancora oggi documento peculiare di diritto internazionale. Passando per i feudatari e le corti mecenati di molti artisti, per i comuni come prime esperienze proto-democratiche, per le corporazioni come germoglio della futura legislazione commerciale.
I tre moschettieri all’Italiana chiamati Dante, Petrarca e Boccaccio di cui il primo ci dice tramite la lingua infuocata di Ulisse:”fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza” spingendoci al sapere nel limite cristiano oltre il quale la nave di Ulisse affondò, oltre il quale oggi troviamo la nostra vita troppo frenetica che ci allontana dall’essere felici perché, statistiche alla mano, oggi l’italiano è una persona stressata e infelice. E che faccia farebbero oggi i poveri Paolo e Francesca, adulteri nella bufera, a sentire dei divorzi, dei tradimenti e delle varie mistificazioni all’italiana che investono ogni livello sociale riempiono i tribunali. E Francesca, l’angelo di Petrarca che c’entra con le donne italiane vittime di stalking, con i soprusi e le violenze; da dove passa oggi quell’antico desiderio verso l’ineffabile quando oggi tutto è bene di consumo dalle cose alle persone, ai sogni?
Le Grazie di Canova, il telefono, la Cappella Sistina, il progetto sul nucleare, il Cantico delle Creature tutte meravigliose figlie d’Italia, alcune quando ancora non sapeva d’essere tale ma portava in sé già il seme della grandezza, dell’unicità, dell’indelebile. Allora alla faccia di chi usa il federalismo fiscale contro Garibaldi e Cavour per spicciola propaganda senza spiegare che invece ciò si innesta in un disegno tributario nato sulla scia dello statuto del contribuente e sul bisogno che siano rispettati i criteri di efficacia, efficienza ed economicità nell’utilizzo delle risorse pubbliche, alla faccia di chi scarica la questione meridionale sui Sabaudi che guarda caso erano stanziati agli antipodi tra Piemonte e Sardegna,alla faccia di chi guarda attraverso il buco della serratura, alla faccia di chi un momento di caos si prende il lusso di tradire le proprie idee, dico auguri all’Italia, a quella buona, per la quale c’è chi ancora muore in terre nemiche forse non solo per soldi.
All’Italia di noi ragazzi ancora illesi, ancora illusi, ancora capaci di sognare e segnare con dignità, che ce ne freghiamo dei baroni rampanti e dei visconti dimezzati (per citare qualcuno che ne sa più di me), evitiamo giornalmente migliaia di azzeccagarbugli seguendo la nostra retta via.
Auguri all’Italia di tutti i giorni non solo del 17 Marzo 2011 per celebrarci sempre oltre un giorno che guarda caso nella nostra smorfia è anche poco fortunato.