L’Unità d’Italia è una cosa seria. Serve un’iniziativa all’altezza dell’evento

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L’Unità d’Italia è una cosa seria. Serve un’iniziativa all’altezza dell’evento

28 Luglio 2009

Ancora troppi progetti, poche buone intenzioni e niente di concreto per i festeggiamenti del 150° anniversario della nascita del Regno. Da più parti sono emerse critiche all’organizzazione, al sistema dei finanziamenti ma anche alla sostanza della stessa celebrazione. Lo stesso Carlo Azeglio Ciampi, presidente dell’organo istituito per organizzare l’evento, non ha escluso di dimettersi. Abbiamo chiesto allo storico e senatore del Pdl, Luigi Compagna cosa ne pensa della vicenda.

Professor Compagna, venerdì scorso ha presentato un’interrogazione parlamentare al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e al ministro dei Beni culturali Sandro Bondi. Perché lo ha fatto?

Ritengo che le iniziative celebrative del 150° anniversario dell’Unità d’Italia non siano adeguate. Sia in termini storici che in termini simbolici. Non esiste neppure un progetto all’altezza dell’evento. Da più parti ci sono state numerose critiche per l’organizzazione e la sostanza stessa della festa: basti pensare che non si capisce quali risorse verranno utilizzate e da chi saranno finanziate le spese.

Nella sua interrogazione ha proposto di istituire un nuovo organo che sovraintenda la celebrazione.

Molti dei componenti hanno annunciato le loro dimissioni dal “Comitato dei Garanti” e lo stesso presidente Carlo Azeglio Ciampi, in una intervista giornalistica, non ha escluso di dimettersi. Ho chiesto di sciogliere il cosiddetto comitato e di creare al suo posto un comitato nazionale di storici. Un’altra grave mancanza è mancato coinvolgimento dell’Archivio Centrale dello Stato, che è il custode della memoria storica nazionale e che, in seno al Comitato Nazionale presieduto allora dal senatore a vita Leo Valiani, nel 1986 fece un gran lavoro per i festeggiamenti del quarantesimo anniversario della Repubblica, anche grazie al suo futuro direttore professor Aldo Ricci.

E che differenza c’è tra il “Comitato dei Garanti” e quello che lei ha proposto?

In primo luogo, sarebbe formato da storici e specialisti nella materia col compito di sovrintendere alle iniziative per le celebrazioni dell’Unità d’Italia, che operando poi in seno all’Archivio Centrale dello Stato, potrebbe elaborare con la collaborazione di altri istituti dei beni culturali, università ed altri centri di ricerca un programma di manifestazioni culturali tutte di carattere nazionale. Ad esempio, solo se includiamo l’Archivio si potrebbe contare con l’importantissimo apporto degli Uffici Storici dello Stato Maggiore della Difesa, essenziali per la ricostruzione storiografica e di grande valore scientifico.

Lei ha anche criticato che sia stata lasciata alle Regioni troppa autonomia.

Sì, perché non si comprende per quale ragione tali iniziative debbano consistere in “un intervento infrastrutturale per ciascuna regione”, quasi a voler per forza identificare nelle istituzioni regionali il filo conduttore della vicenda dello Stato nazionale. Nessuno critica le iniziative a base regionale ma, come ha fatto bene a sottolineare Ernesto Galli della Loggia, il co-finanziamento va bene solo se c’è chiarezza. La collaborazione con Regioni ed Enti locali deve essere finalizzata al tema dell’identità nazionale nella storia d’Italia, e non viceversa. Nel 2011 insomma si deve festeggiare l’identità della Nazione italiana, e non la sua articolazione regionale.

Visto che una caratteristica del nostro Paese è proprio la diversità culturale e storica, qual è il problema di svolgere le celebrazioni con un’impronta più locale?

Il rischio è, innanzitutto, di finire nel caos istituzionale. Non critico i progetti regionali. Ritengo solo che le iniziative di carattere locale devono avere un’ispirazione nazionale che può essere garantita solo da un coordinamento unico. Poi c’è il problema della mala gestione che esiste nel Mezzogiorno. Affidare alle regioni la memoria storica porterebbe a una lotta tra Nord e Sud che rischia di banalizzare questa celebrazione. Lasciare la gestione dell’evento agli istituti scientifici come l’Archivio Centrale dello Stato, l’Istituto Nazionale del Risorgimento o quello di Storia Moderna e Contemporanea, è una garanzia contro una visione puramente propagandistica e limitata della storia d’Italia.

Che cosa si aspetta quindi che esca dal Consiglio dei Ministri che esaminerà la questione della celebrazione dell’anniversario dell’Unità d’Italia?

C’è bisogno di una ridiscussione critica, senza che diventi un’orgia di retorica, di tutti i motivi all’unità nazionale, anche quelli di contrasto. Spero che si corregga l’impostazione di lasciare tutta l’organizzazione in mano alle istituzioni regionali e di servirsi di queste occasioni celebrative solo per far arrivare più soldi al ministero dei Beni culturali. Da sempre, l’Archivio dello Stato è il custode della memoria storica dell’Italia. Mi auguro che grazie al buon senso del ministro Bondi si possa dare l’impostazione originale dello stesso presidente Ciampi quando era capo dello Stato, quello di mettere al centro il tema delle radici della Nazione Italia.

Ernesto Galli della Loggia ha accusato la classe politica di aver perso il senso dell’identità dell’Italia. E Vittorio Feltri ha scritto che la maggioranza degli italiani considera i 150 anni dell’Unità d’Italia “una iattura da non festeggiare”. Ma le cose stanno davvero così?

Nell’articolo di Galli della Loggia ci sono allusioni più maliziose di quelle che, secondo me, ci siano nella realtà. E’ vero che la politica dei Bassolino, dei Loiero e dei Vendola non fanno che svendere il sentimento unitario della nazione, come è altrettanto vero che Calderoli non è il mio ideale di politico. Ma ho la sensazione che gli italiani si sentano più vicini allo Stato e a queste celebrazioni quando viene amministrato bene il territorio. Quando il premier Berlusconi decise di portare il Consiglio dei Ministri a Napoli per combattere il problema della spazzatura, gli italiani si sono entusiasmati perché hanno avuto la sensazione che Napoli fosse stata restituita allo Stato. Il leghismo nasce da un’insoddisfazione dello Stato. Se rispondiamo al problema regionale dando spazio sempre di più al regionalismo e al federalismo ignorando lo Stato, finiremo col dover dare ragione al barone Metternich quando, più di 150 anni fa, disse che l’Italia non è altro che un’espressione geografica.