Lupi: “L’accordo con Etihad può rilanciare Alitalia nel mondo”
22 Maggio 2014
Alitalia-Etihad, la crisi in Ucraina, l’esplosiva situazione nel Mediterraneo. Con il ministro Maurizio Lupi parliamo di ‘geopolitica dei trasporti’, del grande network infrastrutturale europeo e trans-europeo che ha l’Italia tra i suoi assi irrinunciabili.
Ministro Lupi, chiudere l’accordo con Etihad su Alitalia avrebbe conseguenze positive sui bilaterali tra Italia e UAE e per il nostro made in Italy?
Chiudere l’accordo con Etihad avrebbe molte conseguenze positive. Il rilancio di Alitalia come compagnia internazionale e non come compagnia regionale a cui certi progetti la volevano ridurre, il rilancio di tutto il sistema aeroportuale italiano, e anche positive conseguenze, come lei mi chiede, nei nostri rapporti con un’area del mondo in effervescente sviluppo.
Parliamo di Europa. Nel decennio scorso la programmazione delle reti e dei corridoi trans-europei di trasporto ed energetici si orientava verso Est. Che impatto ha avuto sullo scenario descritto la recente crisi in Ucraina?
Per ora gli scenari non sono cambiati, la direttiva Est-Ovest è ancora considerata strategica nei grandi corridoi infrastrutturali approvati dall’Unione Europea. La Tav di cui tanto discutiamo fa parte del corridoio 5, che unisce Spagna, Francia, attraversa la pianura padana e terminerà a Kiev. Mi auguro che la crisi ucraina si avvii verso una composizione pacifica. E’ anche nell’interesse di quel Paese il collegamento, non solo ferroviario, con l’Europa.
Negli ultimi anni la nuova programmazione ha favorito anche il Mediterraneo nell’ambito della strategia di Barcellona. Ma poi sono arrivate le primavere arabe e il caos libico. Come andranno le cose nel “Mare Nostrum”?
Come andranno dipenderà dall’Europa. E dalla forza che l’Italia avrà in Europa, soprattutto nel semestre in cui guiderà il Consiglio europeo. L’abbiamo detto più volte, ma vale ribadirlo, il Mediterraneo non è il confine italiano, ma il confine europeo. Di un problema, che assume spesso i tratti del dramma, come quello dell’immigrazione clandestina di massa, deve farsi carico, e non solo economicamente, l’Unione europea. Noi del Nuovo Centrodestra chiediamo una sede del Frontex in Italia. Ma è una nuova coscienza della sicurezza, dell’accoglienza e del rapporto con i Paesi che stanno dall’altra parte del Mediterraneo, del lavorare per la loro stabilità, quella che deve maturare a livello delle istituzioni comunitarie.
A volte si parla dell’Alta Velocità Torino-Lione come se dovesse unire solo Francia e Italia. Può spiegarci perché infrastrutture strategiche come la Tav sono alle radici della politica comunitaria sui trasporti? Perché l’alta velocità è necessaria?
Chiedetelo a chi viaggia tra Torino e Milano in 44 minuti, tra Milano e Bologna in un’ora, tra Bologna eFirenze in 37 minuti, tra Roma e Napoli in un’ora e 5 minuti. L’alta velocità ha cambiato il modo di spostarsi della gente. E aumenta la possibilità di trasporto delle merci, che possono viaggiare a oltre 200 km orari su treni molto più lunghi di quelli tradizionali, fino a 750 metri. L’alta velocità migliora l’ambiente (a meno che non si preferiscano gli scarichi dei Tir) diminuisce il rischio di incidenti con tutte le conseguenze, anche economiche, sui sistemi sanitari, e , realizzata in un regime di concorrenza, conviene agli utenti, come proprio il caso italiano ha dimostrato.
Le grandi opere sono una priorità dei governi nazionali ma una opportunità anche per le banche d’investimento e i capitali privati. Come si fa a quantificare la effettiva ricaduta dei megaprogetti sui territori da un punto di vista economico e ambientale?
Basti una stima, che è quella su cui convergono Confetra e tutti gli studiosi del settore: il danno all’economia del Paese dovuto all’assenza di una rete infrastrutturale adeguata è calcolato tra i 40 e i 60 miliardi di euro l’anno. In Italia il costo delle merci trasportate è superiore a quello degli altri Paesi europei del 6/8 per cento. La ricaduta dei progetti in grandi opere è tutta nella diminuzione di questo gap logistico che aggrava le difficoltà competitive delle nostre aziende che già, ad esempio, pagano l’energia il 30 per cento in più rispetto alle aziende di altri Paesi.
Core Network e Comprehensive network. Guardando all’Italia, al momento, che “strozzature” ci sono nella progettazione e realizzazione delle opere e come vanno superate?
Il semestre europeo a guida italiana ribadirà l’importanza dei valichi. In questi sei mesi si dovrà decidere come distribuire i 23 miliardi e 200 milioni del fondo TEN, e a quali interventi dare risorse. I colli di bottiglia del sistema sono i valichi, ma su questi l’Italia sta lavorando bene. Sulla Torino-Lione abbiamo smentito i gufi che dicevano che non sarebbe stato approvato il trattato Italia-Francia, abbiamo stanziato le risorse che ci competono e attendiamo il finanziamento del 40 per cento dell’opera da parte dell’Ue. Sul traforo del Brennero stiamo rispettando sia gli impegni finanziari sia i tempi dell’avanzamento lavori. Sul terzo valico dei Giovi, parte del corridoio Rotterdam-Genova, si è finalmente sbloccata la situazione, stiamo verificando mensilmente l’avanzamento dei lavori, che entro fine anno arriveranno a un valore di 220 milioni di euro.
Nei prossimi anni (e decenni) l’Europa prevede investimenti per centinaia di miliardi di euro nelle reti di trasporto, energetiche e informatiche… Per restare a “Europa 2020”, secondo Lei, agli investimenti previsti dal Connecting Europe Facility seguiranno adeguati fondi stanziati per la realizzazione delle opere? In che tempi?
Gli investimenti previsti a livello europeo sono di 500/600 miliardi di euro. Sulle reti TEN l’Italia negli ultimi anni ha lavorato per circa 74 miliardi di risorse in infrastrutture, nel prossimo quinquienno dovremo investire altri 40 miliardi. Nella legge di stabilità per il 2015, a cui stiamo già lavorando, vorremmo inserire due novità. La prima è quella della parificazione delle reti immateriali a quelle materiali. La seconda è la previsione di una percentuale fissa del Pil stanziata dallo Stato per le infrastrutture. La mia proposte è lo 0,3 per cento. Questo darebbe certezza al mondo finanziario, forza al project financing (cioè all’intervento dei privati come finanziatori di grandi opere) e renderebbe possibile indebitamenti sul lungo periodo abbassando in modo sostanziale l’incidenza dei parametri di Maastricht sugli investimenti pubblici.